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Il brigante e il generale – Il nuovo saggio di di Carmine Pinto

di Carmine Pinto

La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola

Estratto dal primo capitolo Soldati e brigantiBaroni e contadini

Quando dai bastioni di Acerenza si guarda verso sud-ovest si svelano gli altipiani. Nella primavera del 1883 uno strano gruppo li osservava dall’alto del centro lucano. Scrutato a sua volta da contadini e notabili curiosi e sorpresi. Cosa cercavano? Perché erano lì? Si seppe che, nella compagnia, l’ospite d’onore era François Lenormant, archeologo e numismatico francese, partito da Catanzaro per esplorare la Puglia e la Lucania. Con l’obiettivo, scrisse, di studiare «una seconda Italia, sconosciuta, non meno interessante dell’altra», di quella delle grandi città. Con lui c’erano il direttore dei Musei del Regno d’Italia, Felice Bernabei, e Michele Lacava, presidente della Provincia e ispettore ai monumenti lucani.

Il francese cercava tracce del mondo antico, i suoi libri di viaggio faranno scuola come esperimenti di ricerca sul campo. Ma in quel momento, si rese conto, tutti pensavano ad altro. Cosa c’era di tanto avvincente in quelle valli? Perché la comitiva discuteva animatamente con i paesani? Furono i suoi accompagnatori a deviare l’attenzione dai resti classici. Gli mostrarono un piccolo paese, Pietragalla, che ben si distingueva dai baluardi di Acerenza. Lì non c’erano i monumenti che cercava, ma la spiegazione a quella pausa. La terra che stavano attraversando aveva molte altre storie e leggende: una su tutte, quella dei briganti, più viva di qualsiasi altra.

Carmine Pinto

Anche Lenormant si appassionò. Cosa c’era in quel paese? Perché tutti ne parlavano con orgoglio? Bisognava andarci, ribadirono. E così scesero, con la carrozza che saltellava su strade quasi impraticabili. Il paese non gli fece certo una bella impressione. Non vi trovò «neppure una tazza di caffè» decente, non aveva mai visto un posto così povero. Nonostante questo, raccontò, gli abitanti erano incredibilmente duri, fieri e orgogliosi, avevano avuto la loro pagina di gloria: quando il Regno di Napoli era crollato e l’Italia appena nasceva, erano stati quegli abitanti, poveri e isolati, a sconfiggere l’esercito dei briganti.

Lenormant, intellettuale brillante e raffinato, capì che non erano i soliti banditi della letteratura romantica, ma uomini che si erano trovati su un palcoscenico straordinario, seguendo «l’esempio memorabile e classico lasciato ai loro successori da fra Diavolo e Mammone». In mezzo a due guerre, con un conflitto civile che disintegrò un antico regno e una rivoluzione nazionale che formò uno Stato completamente nuovo, anche i briganti avevano cercato il loro posto.

Per ore non si parlò d’altro, come spesso nel suo viaggio. Sempre si chiacchierava «di fatti, oramai divenuti leggenda, di quegli anni terribili». Nessuno era indifferente a quella storia. Lenormant scoprì che proprio il suo «compagno di viaggio» Michele Lacava, ex garibaldino, si era «visto una sera riportare il corpo insanguinato di suo padre, noto come liberale e patriota, e in quanto tale assassinato dalla banda di Crocco». Il francese era sempre più curioso, questo nome ricorreva sempre. Chi era davvero? Quali virtù, quali azioni, lo avevano reso il grande capo dei briganti?

I viaggiatori partirono per Potenza. Quel mondo apparteneva alla leggenda, erano passati oramai venti anni da quando il brigante era stato sconfitto sulle rive dell’Ofanto da uno spietato e instancabile generale italiano. E tuttavia la sua ombra si proiettava ovunque andassero, come nella splendida badia di San Michele. Gli raccontarono che proprio lì Crocco aveva la sua ridotta. Una storia che si ripeteva sempre ai visitatori, scrisse pochi anni dopo un altro personaggio giunto in quelle zone, il filosofo Benedetto Croce. Fu questi a raccontare del «convento di cappuccini alle falde del Monte Vulture, circondato dalla magnifica foresta di Monticchio», la base di un altro celebre brigante del Settecento napoletano, Angelo Del Duca alias Angiolillo.

La badia ancora oggi domina i laghi e i boschi sulle colline, nel territorio di Rionero in Vulture, in Basilicata. Nata come fortezza, costruita su un costone, con un solo accesso largo e tante vie di fuga, era un rifugio perfetto per i banditi. Croce cominciò a starci quasi di casa, frequentando il palazzo del personaggio più famoso di Rionero, il meridionalista Giustino Fortunato, oggi trasformato in museo e biblioteca. Lo studio di Fortunato è visitabile, quasi come più di cento anni fa. Si può osservare la scrivania dove scrisse che l’altra celebrità del banditismo, quel Crocco che aveva sorpreso Lenormant, iniziò e concluse «prima e dopo la reazione» la sua carriera proprio lì, a Monticchio.

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