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Giovanni Russo, giornalista di razza, dal Vallo al Mondo e al Corriere

di Giuseppe D’Amico

Giovanni Russo era nato a Salerno il 15 marzo del 1925 da genitori del Vallo di Diano: il padre era di Sala Consilina, la madre di Padula. Giornalista di razza (una lunga carriera cominciata al “Mondo” di Mario Pannunzio, quindi al “Messaggero” e proseguita per decenni sulle colonne del “Corriere della Sera”) ma anche saggista attento e scrupoloso (ha dedicato molti dei suoi libri allo studio dei problemi sociali e civili della società meridionale), senza dimenticare il paese della Certosa a cui è rimasto legato fino alla morte, avvenuta in Roma il 25 settembre del 2017.

Con i suoi scritti ha analizzato con puntualità la situazione del Mezzogiorno tanto da essere considerato “l’ultimo meridionalista”. A Padula ancora rammentano le sue partecipazioni ad iniziative del Circolo Sociale “Carlo Alberto 1886” che lo aveva voluto Socio Onorario e che lo ha ricordato con un convegno, Giovanni Russo e le memorie padulesi, e intitolandogli, su proposta del presidente Felice Tierno, il salone delle conferenze della storica sede.

Ho avuto il piacere di conoscerlo e di interloquire con lui in diverse occasioni, ad Aliano dove nel 2003 insieme a Walter Pedullà e Gianni Riotta fu insignito del Premio Carlo Levi, e a Padula nel 2009 per la presentazione del suo libro “Con Flaiano e Fellini in Via Veneto. Dalla dolce vita alla Roma di oggi”. Giovanni Russo non disdegnava di rispondere a domande sui cambiamenti che si sono verificati non soltanto nel mondo del giornalismo di oggi rispetto agli anni Cinquanta. Il rapporto con il Sud, affermava convinto, “era dovuto alla mia origine meridionale ed al mio rapporto con il mondo contadino e, in particolare con lo scrittore Carlo Levi”. Al suo rapporto con il medico-scrittore e pittore torinese dedicheremo un apposito servizio.

Giovanni Russo aveva difeso il “Cristo si è fermato ad Eboli” dalle critiche della borghesia lucana che considerava quel volume offensivo per il Sud. Proprio l’amicizia con il medico e scrittore torinese, confinato ad Aliano durante il fascismo, aveva portato nel 1949 Giovanni Russo al periodico di Mario Pannunzio, “Il Mondo”, dove rimase fino al 1966 e per il quale realizzò importanti reportage. Unitamente ad un nutrito gruppo di giovani lucani, fu tra i fondatori, “a Potenza e non a Roma”, ripeteva con orgoglio, del Partito d’Azione, una terza forza di sinistra in forte polemica con il comunismo sovietico.

L’interesse del giornalista scomparso per le vicende padulesi è stato al centro di un interessante analisi del professore Emilio Giordano, che a Giovanni Russo ha dedicato ampio spazio nel volume “Una storia, tante vite” in cui sono state ricostruite le vicende del Circolo Sociale Carlo Alberto 1886: “Il ritorno a Padula rappresentava per Giovannino una imprevista e felice immersione nelle proprie radici, nelle memorie più care che una parola, un volto, un oggetto hanno all’improvviso evocato da un passato lontano”. Si spiegano così alcuni scritti dedicati a Padula tra i quali vanno evidenziati: “Il paese degli Americani” (nel libro del 1955 “Baroni e Contadini”); “La fine del mondo” (nella raccolta di racconti “Le olive verdi”), “I tredici briganti” (nel libro del 1958 “L’Italia dei poveri”) in cui analizza le vicende della famiglia della madre nella seconda metà dell’Ottocento e del sacerdote don Vito Scolpini, rapito dalla banda del brigante lucano Angelantonio Masini, che proprio a Padula sarà ucciso nel 1864. Un ulteriore scritto dedicato a Padula lo troviamo nel libro del 2003 “I cugini di New York, Da Brooklin a Ground Zero”. Tra le altre pubblicazioni ricordiamo ancora “L’Italia dei poveri” (1958), “I figli del Sud” nel 1973; “Terremoto” (1981) in cui mette a fuoco la gestione della riostruzione del dopo sisma del 23 novembre ’80; Carlo Levi segreto nel 2011 e “Nella terra estrema” (2013) che raccoglie tutti i suoi reportage sulla Calabria. Dalla lettura dei suoi scritti dedicati al Mezzogiorno emerge la sua spiccata dote di narratore che si affianca a quella conclamata del giornalista e del saggista, giungendo così, anche attraverso la via inconsueta della provocazione e dell’emozione, a porre il lettore di fronte alle verità che indaga. Si rivolge soprattutto ai giovani per renderli consapevoli, nel modo più diretto ed efficace, del problema e della realtà del Sud.

Indubbiamente, con i suoi interventi Russo riusciva sempre a vivacizzare il dibattito non disdegnando critiche alla stampa   meridionale che considerava “un problema di arretratezza soltanto tecnico-cultutale”, da mettere in relazione con quel “progresso senza sviluppo” che condizionava e continuava ad attanagliare la società meridionale sul piano economico e politico. Nel corso della sua attività Giovanni Russo ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali si ricordano il premio Viareggio 1955; il Premio Saint-Vincent per il giornalismo nel 1964; Il Premio Marzotto nel 1965; il Premio Carlo Casalegno nel 1981; il Premio Pannunzio nel 1991; il Premio Mezzogiorno nel 1993; il Premio Positano 1998 per il giornalismo civile e nel 2003, ad Aliano,  il Premio Carlo Levi alla carriera.  Il 10 aprile 2006 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo aveva insignito del titolo di Grande Ufficiale. Un fatto è certo: Giovanni Russo appartiene alla storia del nostro Paese come testimone di lontane ma importanti vicende di storia e di costume e come personaggio di eccezionale rilievo. Tra i tanti giudizi a Lui dedicati ci piace evidenziare quello del Prof. Pasquale Villani dell’Università Federico II di Napoli, il quale in un lungo elzeviro su “Il Mattino” così scriveva: “Le pagine di Russo appartengono a quel genere tra letteratura e saggistica che diede più diffusione e risonanza alla questione meridionale”. 

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1 comment

  1. Conoscevo questo giornalista ma non sapevo della sua grande produzione intellettuale soprattutto sul nostro meridione.
    Grazie Geppino e complimenti per questa nuova iniziativa editoriale.

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