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Aspettando il 25 aprile: il lungo 1922 da Roma a Salerno nell’analisi di Giuseppe Foscari

Di Giuseppe Geppino D’Amico

È difficile stabilire quando l’Italia riuscirà a chiudere i conti con il proprio passato, in particolare per quanto riguarda il Fascismo e l’eredità che ha lasciato. Analizzando le polemiche scoppiate alla vigilia del 25 aprile a seguito di alcune dichiarazioni rilasciate da esponenti di primo piano della Destra, in un editoriale apparso sulla prima pagina del Corriere della Sera di sabato scorso Antonio Polito ha scritto: “Un tempo neanche troppo lontano le polemiche su natura e sorti di fascismo e nazismo le facevano gli storici, e si citava George Mosse o François Furet, Eric Hobsbawm o Renzo De Felice, Emilio Gentile o Claudio Pavone. Oggi gli accademici hanno lasciato il passo a meno studiosi militanti, che dilaniano la vicenda storica prendendosene ciascuno il suo brandello”. Ma questo esercizio, man mano che si allontana la memoria degli eventi di circa ottant’anni fa e i suoi testimoni scompaiono, diventa paradossalmente anche più pericoloso: perché “Un Paese senza memoria è un Paese senza storia”, come avvertiva già nel 1975 Pier Paolo Pasolini.

Naturalmente il problema investe tutto il periodo del fascismo. In quest’ottica è giusto segnalare un volume fresco di stampa, scritto da uno storico di professione, Giuseppe Foscari, professore associato di Storia Moderna e Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Salerno.

Il volume, “Il lungo 1922: da Roma a Salerno. L’enusiasmo della marcia, il marcio dell’entusiasmo” (D’Amico Editore), analizza con la necessaria acribia le vicende della nostra provincia e va ben oltre l’anno indicato nel titolo. Offre una conferma importante: nella storia di quel periodo la città di Salerno ha avuto un ruolo importante che poi scaturirà in quella fase passata alla storia come la svolta di Salerno, per essere stata sede del Governo di unità nazionale presieduto da Pietro Badoglio, sia pure per un breve periodo, nel 1944.

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La marcia su Roma è stata considerata un forte momento identitario per il regime, facendo emergere non solo la capacità di mobilitazione del partito fascista, sia a Roma che in periferia, ma anche le profonde debolezze ed ambiguità del sistema politico liberale.

Esaminando le ricadute del lungo 1922 tra Roma e la provincia di Salerno, l’Autore analizza le ragioni del successo fascista, affidate a giornali liberali compiacenti che diventarono il megafono del regime, all’entusiasmo irrefrenabile dei giovani, alla propaganda, al radicamento delle sezioni del partito nei territori, alla capacità di assistere iscritti e cittadini nelle piccole cose del quotidiano come nelle più complicate e determinanti esigenze. In tutte queste attività, tuttavia, fu contemplato un uso sistematico della violenza squadrista, per soppiantare il dissenso organizzato di politici e sindacalisti e quello spontaneo, e per intimidire e fiaccare la società.

Analizzando i documenti del Tribunale di Salerno relativi agli anni 1945-46, l’Autore ha ricostruito numerosi episodi di violenza accaduti a Salerno e in provincia proprio a partire dalla data emblematica del 1922 fino al 1926, sulla base di una strategia ben definita e perseguita dagli uomini di punta del partito. Le denunce, le relazioni, le testimonianze varie restituiscono un angoscioso vissuto dei drammi, delle percezioni e degli atteggiamenti, preziosi per la comprensione del fenomeno fascista in una città che si riconobbe progressivamente nel fascismo.

Molto interessante è il capitolo dedicato al ruolo della stampa, “docile strumento per costruire il consenso” in cui si distingue, tra gli altri, il bisettimanale “La Frusta”. Significativa è anche la parte che l’Autore dedica al protagonismo assunto dagli squadristi salernitani nei primi anni del regime che sarebbe poi servito a molti di essi per acquisire credibilità e prestigio tradottosi in posti di rango nel Parlamento, nel governo e nel Partito Nazionale Fascista, legittimando di fatto l’uso che essi avevano fatto di quella violenza.

Il lungo 1922 prosegue oltre l’Anno 1 del Fascismo (come data di nascita del calendario fascista viene considerato il 29 ottobre, giorno successivo alla marcia su Roma) con la ricostruzione dei casi di violenza perpetrati tra il 1922 e il 1926. Interessanti sono le testimonianze difensive rese dagli imputati nel 1945-46 fino all’epilogo rappresentato dall’amnistia del 22 giugno 1946. Tra gli uomini salernitani di maggiore rilievo che evitarono il processo troviamo Matteo Adinolfi, parlamentare per tre legislature, vice segretario nazionale dal 1931 al 1933 e Membro del Gran Consiglio; Mario Jannelli, originario di Tricarico, responsabile dei Fasci del Circondario di Sala Consilina, anch’egli parlamentare e per un breve periodo sottosegretario al Ministero della Comunicazione; Roberto Cantalupo, deputato e sottosegretario al Ministero delle Colonie; e ancora i deputati Gaetano Baccari e Carmine Sorgenti degli Uberti e l’avvocato Settimio Mobilio.

Grazie all’amnistia i capi dello squadrismo salernitano poterono integrarsi pacificamente nella società postfascista.  In pratica, i responsabili di quei danni psicologici e fisici dovuti alle violenze rimasero impuniti, anche perché nessuno ebbe il coraggio di confessare. Del resto, la “resa dei conti” non fu affidata alla Magistratura, che pure aveva iniziato le proprie indagini ascoltando le testimonianze dei protagonisti, ma fu il frutto di una decisione politica dei leader dei partiti antifascisti nel tentativo di pacificare il Paese.

A conclusione del volume, oltre ad una ponderosa bibliografia, Giuseppe Foscari ricorda i nomi di coloro i quali furono protagonisti dell’antifascismo (sia politico-sindacale che spontaneo) “non per costruire eroi ma per comprendere, una volta di più che l’antifascismo è stato una pagina di ribellione del Paese, oltre che dei partiti e dei sindacati…Il tempo tende a rimuovere, a sfumare, ad attenuare, ad affievolire le cose, in un Paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo col fascismo e solo la memoria documentata può aiutarci a sventare quel tentativo in atto nella società italiana da decenni di voler bonificare il fascismo dalla sue degeneranti manifestazioni, per renderlo più digeribile, tollerabile e accettabile”.

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