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Artemisia Gentileschi “pittora”. Presentato a Padula il libro di Raffaele Messina “Artemisia e i colori delle stelle”

Di Geppino Giuseppe D’Amico

È stato presentato nella “Sala Limonaia” della Certosa di San Lorenzo a Padula, per iniziativa del Circolo Sociale Carlo Alberto 1886, il romanzo di Raffaele Messina “Artemisia e i colori delle stelle”, edito da Colonnese. Dopo i saluti introduttivi della presidente del Circolo, Rosanna Bove Ferrigno, e della vice sindaca di Padula, Caterina Di Bianco, ho avuto il piacere di dialogare l’Autore sui contenuti del volume e delle vicende storiche della prima metà del ‘600.

Nel corso della serata è stato particolarmente applaudito l’intervento di Annalucy Menafra che, accompagnata da Edoardo Napolitano alla chitarra ha letto alcuni brani del volume.  L’evento è stato organizzato con la collaborazione di Raffaele Agresti con il patrocinio del Comune di Padula e con il contributo della BCC Monte Pruno e della Tubifor di Padula.

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Non si può scrivere un romanzo se si prescinde dalla storia del protagonista e dalle vicende che ne hanno caratterizzato la vita e l’attività. E questo vale ancora di più quando si parla di una personalità poliedrica come Artemisia Gentileschi anche se l’Autore precisa che non è una biografia ma soltanto il tentativo, certamente riuscito, di restituire Artemisia a se stessa e alla città di Napoli dove, se escludiamo gli anni della giovinezza, ha vissuto gran parte della sua vita tribolata. Questo perché altre ricostruzioni della sua vita, ancorché importanti, come quelle di Anna Banti e Alexandra Lapierre toccano appena gli anni napoletani che hanno invece una parte preponderante nella vita e nell’attività di Artemisia. La prima si sofferma sulla contrapposizione tra Artemisia e i maschi; la seconda chiude con Artemisia che torna da Londra a Napoli dove rimane per oltre 15 anni. Punto. Francamente un po’ poco se consideriamo le sue vicende artistiche e professionali.

Artemisia nasce a Roma dove vive la giovinezza; a 17 anni viene stuprata da un pittore, Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva e amico del padre Orazio. Dopo lo stupro, subito da un uomo di cui lei è comunque innamorata, le danno un marito che non ama con il quale si trasferisce in a Firenze dove è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia degli Artisti; torna a Roma anche perché il matrimonio, vissuto senza amore, quindi come una riparazione, naufraga ben presto. Quindi, una breve presenza a Venezia, l’approdo a Napoli dove resta per 7 anni per poi trasferirsi per due anni a Londra. Rientrata in Italia, dopo una breve permanenza a Genova rientra a Napoli dove resta poco meno di venti anni.

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Il romanzo di Raffaele Messina ci offre una importante chiave di lettura di una vicenda del ‘600 che presenta diversi aspetti sui quali poter riflettere. Lo stupro la segna profondamente anche perché lei è innamorata di Agostino Tassi che, forse per evitare la denuncia, il processo e la condanna le promette di sposarla pur sapendo di non poterlo fare perché già sposato. Per comprendere l’aspetto giudiziario della vicenda bisogna partire da un dato importante: per la giustizia del tempo la vittima non è lei, bensì il padre Orazio che ha perso l’onore, non la figlia che è stata violentata. Orazio Gentileschi denuncia Agostino Tassi per ottenere il riconoscimento del danno morale da lui subito ma anche perché il Tassi si sarebbe impossessato di una quadro realizzato dallo stesso Orazio. Sullo sfondo è ben visibile la condizione della donna che non aveva alcuna possibilità di autodeterminazione soggetta com’era prima all’autorità del padre (ed è il caso di Artemisia) poi all’autorità del marito.

C’era una concezione del diritto allucinante non soltanto perché a chiedere giustizia possa essere il padre ma anche per le modalità con le quali si svolge il processo. Al cospetto dei giudici è Artemisia a dover dimostrare la veridicità di quanto asserito dal padre nella denuncia e cioè che è stata effettivamente violentata. E per dimostrare la veridicità delle sue affermazioni viene interrogata in presenza dello stupratore e sottoposta alla “tortura dei sibilli”, che consiste nel legare delle cordicelle intorno alle dita del testimone mentre è sotto giuramento e stringerle per forzarlo a dire la verità: le cordicelle, grazie ad un legno, venivano strette sempre di più intorno alle falangi. La conseguenza poteva essere la perdita completa dell’uso delle dita, che avrebbe significato la rovina professionale di Artemisia. E le va pure bene perché la morsa della sibilla è certamente meno afflittiva rispetto alla tortura praticata con l’uso della corda. Comunque, la ragazza conferma lo stupro.

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Questa drammatica vicenda la segnerà anche nell’attività professionale.  Artemisia è decisa a seguire la professione paterna in un periodo in cui alle donne dedite alla pittura viene consentito soltanto di dipingere qualche paesaggio. Lei invece, dimostrerà di essere all’altezza dei pittori maschi. E oltre ad essere brava dimostra di essere anche una brava imprenditrice che apre e gestisce una propria bottega. Come pittrice raggiungerà vette molto elevate ed avrà rapporti con le più alte personalità del tempo quali il Papa, il Granduca di Toscana, il Vicerè di Napoli ed altri. Lo stesso avviene anche nel campo artistico frequentando e stringendo amicizia con pittori del calibro di Massimo Stanzione, Bernardo Cavallino, Francesco Guarini e Francesco Fracanzano.

La “pittora” ci insegna che la vita richiede tenacia, forza di volontà e capacità di reagire. E come, se reagisce: reagisce dipingendo molti personaggi biblici femminili (Giuditta, Betsabea, Ester, Lucrezia, Susanna, Cleopatra,) che lottano e vincono contro un nemico forte e soprattutto uomo. Le sue tele parlano; esprimono il suo tormento, la sua rabbia che troviamo principalmente in due tele: “Giuditta e Oloferne” e “Susanna e i vecchioni” che ricordano vicende personali. Ma sono tante le tele che hanno un valore notevole sia dal punto di vista artistico che economico.

Dopo il matrimonio la sua vita non sarà facile e sarà attraversata dal dolore.  Madre di cinque figli ne perderà tre in tenera età e non c’è niente di più drammatico per una madre perdere un figlio. “Se muore un genitore -scrive Messina- i figli diventano orfani; ma se muore un figlio per i genitori non c’è un vocabolo adatto”.

Il libro merita la massima attenzione anche perché consente importanti riflessioni soprattutto sulla condizione della donna. Parallelismi importanti tra la vicenda di Artemisia, considerata un simbolo contro la violenza sulle donne, e la storia contemporanea proprio in merito alla condizione delle donne, da anni impegnate in una lunga lotta per l’emancipazione.

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