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Di Pari Passo – La Liberazione delle donne: eroiche Staffette Partigiane prima, ma… “zitte e buone” dopo

DI ROSA MEGA

La ricorrenza del 25 Aprile, segnata mai come quest’anno da polemiche divisive (in un giorno che invece dovrebbe unire), implica anche la presa di coscienza di una parte di storia spesso sottaciuta e che solo da poco tempo comincia ad affiorare in tutta la sua cruda e spesso triste realtà. La storia della Resistenza italiana e della guerra partigiana ha visto nella partecipazione attiva delle donne uno dei suoi punti nodali, forse il più importante. In un’epoca così complessa quale quella che stiamo vivendo, ricordare la passione civile delle cosiddette Staffette Partigiane significa porre l’accento su problemi sempre attuali: da un lato l’affermazione dell’identità femminile in una società patriarcale e, da un altro, l’intersezione tra libertà politiche e di genere.

Ma chi erano le staffette partigiane che seppero ritagliarsi vari ruoli negli anni drammatici della Resistenza? Di sicuro donne e ragazze indomite, spinte da una profonda passione civile e da un radicato ideale di giustizia. Donne che decisero di non stare a guardare inermi dinanzi all’orrore che si consumava, arruolandosi volontariamente a rischio della propria vita nei movimenti partigiani. Molte furono catturate, subirono indicibili violenze e finirono per essere uccise barbaramente, senza fare i nomi dei combattenti partigiani. 

Ma come fu la vita per le altre all’indomani del 25 aprile? Di certo non come immaginavano e come avrebbero voluto!

L’epurazione delle donne dalla memoria pubblica della guerra partigiana, come ricordato nel libro di Benedetta Tobagi “La resistenza delle donne”, comincia proprio con le sfilate della Liberazione. A causa del pregiudizio diffuso sulla presunta immoralità delle staffette che si erano unite nelle battaglie al fianco dei partigiani, viene infatti ordinato loro di non presenziare alle sfilate che si susseguivano senza sosta in quei giorni.  A Milano alcune vengono ammesse alle sfilate a patto di indossare la fascia da infermiera: ruolo, questo, che moralmente sembrava più accettabile, anche se si tratta delle stesse donne che fino a pochi giorni prima avevano rischiato la vita come ufficiali di collegamento. A molte viene suggerito di tornare a cucir coccarde come bravi mogli e madri di famiglia.

Il dopo, insomma, non fu affatto come lo avevano immaginato e le Staffette Partigiane vennero risucchiate in quel modello educativo per cui la donna deve essere modesta, mansueta, tenuta al sacrificio e al dono di sé. E così il sovvertimento della verità storica cominciato con le sfilate della Liberazione prosegue e si consolida. Ma ciò che più d’ogni altra cosa risulta insopportabile è il peso di non poter denunciare gli stupri subiti ad opera dei nazisti e dei fascisti. Del resto, la stessa Teresa Mattei, la più giovane fra le 21 donne elette nel 1946 per entrare a far parte dell’Assemblea costituente, non ne parlò mai per decenni fino al 1997 in un’intervista televisiva con Gianni Minà durante la quale, per la prima volta, raccontò della violenza subita dai nazisti. Durante il racconto distolse gli occhi dall’intervistatore e dalla telecamera per tutto l’orrore e il senso di vergogna che quel ricordo ancora le provocava nonostante fossero trascorsi così tanti anni.

Ada Gobetti, giornalista e staffetta partigiana, per prima intuì l’orizzonte che, per tutte le donne attive nella Resistenza italiana, si affacciava all’indomani del 25 aprile. Convinta che in fondo essere donna è saper scrivere il proprio nome nel grande libro della storia, si rese subito conto che per le staffette era cominciata un’altra battaglia: non più contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza fisica, facili da individuare e da odiare, ma contro abitudini, pregiudizi, mentalità ingannevoli e sfuggenti. Iniziava la difficile lotta per sciogliere i nodi che legano le donne ai macigni del passato: una Liberazione nell’anima e nel mondo, l’essenza stessa della Resistenza delle donne!

ROSA MEGA

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