Search

Basket, le storie di Vinnie Del Negro e Mike Iuzzolino: “Paisà” negli USA, supercampioni in Italia

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Quando il Basket americano parlava …salernitano. Si può sintetizzare così la vicenda sportiva di ue “paisà”, Vinnie Del Negro e Mike Iuzzolino, campioni di Basket che dopo gli esordi e la fama conquistata oltre oceano hanno infiammato con le loro gesta i palazzetti dello sport di Treviso e Verona. Entrambi hanno origini salernitane ed entrambi sono venuti nella nostra provincia per acquisire la cittadinanza italiana: Vinny Del Negro ad Atena Lucana, Mike Iuzzolino a San Gregorio Magno. Nei giorni scorsi la Gazzetta dello Sport ha dedicato ampio spazio ai due campioni, ricordando il ruolo avuto durante la loro permanenza in Italia.

Non conoscevo la storia di Mike Iuzzolino. Conoscevo, invece, la storia di Vinnie Del Negro, incontrato nel gennaio del 1991 ad Atena Lucana dove si recò per richiedere la documentazione necessaria per acquisire la cittadinanza italiana. Fu ricevuto dal sindaco Michele Manzolillo, dal suo vice, Arsenio Cestaro, e dall’intero consiglio. Dopo un iter burocratico durato dieci mesi Vincent Joseph (questo il nome completo) diventa italiano. “Rocket man” diventa Vincenzo. Era stato proprio Arsenio Cestaro a scoprire le origini atenesi del campione della Benetton Treviso. “Ad incuriosirmi -ricorda ancora oggi Arsenio Cestaro- era stato il cognome, Del Negro, che era lo stesso di mia madre, per cui quando un giornale sportivo parlò delle sue origini meridionali contattai i vertici della Benetton che confermarono la notizia. Un’attenta consultazione dei registri dell’anagrafe consentì di risalire alle origini dei Del Negro che ancora oggi sono numerosi in paese. Il bisnonno era partito da Atena Lucana agli inizi del ‘900 diretto in America dove trovò subito lavoro. Nel 1919 fu raggiunto dalla moglie, Maria Puppolo, e dai loro tre figli: Biagio, Annino e Carmine. Quest’ultimo era il nonno di Vinny.

I Del Negro si stabiliscono a Springfield dove, purtroppo, Carmine muore giovane, a soli 39 anni. Il figlio Vince si dedica al basket con notevole successo al punto da essere soprannominato “Vince the Prince”. Alto 1,95 m. si arruola e gioca nella squadra dell’esercito, poi in uno Junior College del Mississippi. Un giorno gli arriva una lettera: Adolph Rupp, leggendario allenatore della Kentucky University, aveva ricevuto una relazione su di lui da un paio di scout che avevano assistito a una partita nella quale aveva segnato 49 punti. Pur essendo riuscito ad emergere, a causa di un litigio con l’allenatore lascia la squadra e ritorna a Springfield deciso a voltare pagina. È già sposato, trova lavoro come commesso in un negozio e poi apre un bar. Nel 1966 nasce il figlio e lo chiama come lui, Vince, che però sarà per tutti Vinnie. O meglio Skinny Vinnie, magro, che aiuta il padre a portare i sacchi di ghiaccio nel locale e a preparare il popcorn. Appena mostra anche lui passione per il basket, papà     Vince lo allena nel vialetto. Skinny Vinnie gioca playmaker. A 14 anni papà lo manda alla Suffield Academy, una prep school dove Vinnie vince due campionati statali praticamente da solo. I college fanno la corsa per lui, e la vince Jim Valvano di North Carolina State, “paisà” pure lui. Vinnie si impegna duramente negli allenamenti e diventa una macchina da basket che domina la ACC e va dritta in Nba ai Sacramento Kings. Ci gioca due anni come cambio del play; brilla poco ma brilla in una squadra non trascendentale per cui prende una decisione molto coraggiosa: molla l’Nba e accetta un triennale nella terra di papà, in Italia, a Treviso, ingaggiato dalla Benetton.

Vinny arriva in Italia nell’estate del 1990 e nella gara di esordio a Caserta segna 30 punti mettendo subito in evidenza grandi doti tecniche ed agonistiche. Con lui la Benetton diventa una delle squadre più forti di sempre nel nostro basket fino a vincere lo scudetto. Anche i giornali americani gli dedicano numerosi articoli. Nel frattempo era diventato pure italiano grazie a nonno Carmine, ma lacci e lacciuoli federali fanno sì che non venga mai chiamato a giocare in nazionale. Poi Vinny decide di rientrare negli Stati Uniti anche perché il team San Antonio Spurs gli offre un contratto milionario, e Vinnie inizia la sua vera carriera Nba. Sei anni in Texas con 825 partite di cui 54 di playoff e oltre 7.500 punti. Piace agli allenatori, Popovich in testa, perché “vede” il gioco e prova sempre a superare i suoi limiti. E infatti Vinnie diventa allenatore dopo avere fatto il commentatore delle gare di Basket per sette anni. Gli affidano i Chicago Bulls. Per due anni di fila porta i Bulls ai playoff, poi lo chiamano i Clippers. Stessa situazione: squadra giovane con una stella da lanciare, Blake Griffin, rendimento uguale: li porta ai playoff. Dopo tre stagioni non gli rinnovano il contratto per alcune divergenze di vedute con la società.

*****

Più o meno simile la storia di Mike Iuzzolino. Il nonno, Pasquale, arrivò in America nel 1915 da San Gregorio Magno. Si stabilì in Pennsylvania dove c’era bisogno di braccia per costruire una ferrovia. Su 140mila lavoratori impiegati, uno su dieci viene dall’Italia. Ad Altoona stanno quelli di Buccino, due chilometri da San Gregorio, comunità così solida che ancora esiste la Buccinese Society che all’epoca fungeva da società di mutuo soccorso tra immigrati. Le origini non      non si rinnegano ma si parla inglese perché bisogna integrarsi. È il contesto in cui nel 1968 nasce Michael Alan, per tutti Mike, nipote di Pasquale. La prima cosa che gli mettono tra le mani è un pallone: papà Bob arbitra a livello locale e se lo porta sempre dietro. Al liceo, Altoona High School, è una delle due stelle di una squadra che arriva alle finali statali.

Mike gioca bene ma non riceve offerte allettanti anche perché a suscitare qualche perplessità dovute all’altezza: solo 1,80 m. in un mondo di giganti. A lui tocca Penn State, college vicino casa, dove gioca poco. E per Mike è un problema perché lui la partita la deve vivere per rendere; gli piace vincere ed è competitivo soprattutto con se stesso, ma senza minuti né fiducia non ha un’asticella da saltare. Dopo due stagioni si ferma, e si guarda attorno. Poco distante, alla St. Francis, arriva in panchina Jim Baron: anche lui è giovane e vuole farsi strada. Convince Mike a passare da lui ma c’è un problema: per i regolamenti Ncaa deve stare un anno fermo. La cosa non turba Mike che si ferma ma continua ad allenarsi duramente, più di prima.  Quando riprende l’attività agonistica Mike porta il suo college al torneo Ncaa. Partecipa al Portsmouth Invitational, il più importante torneo estivo prima del draft Nba. Dopo una carriera costellata di alti e bassi arriva la chiamata dall’Italia. Prima a Pesaro; poi nel 1995 a Verona, dove viene ingaggiato a seguito di un grave incidente che coinvolge Lorthridge, play titolare della Mash, Nella prima gara, a Reggio Calabria, la squadra perde e lui chiude con soli 6 punti. Però non si arrende e già dalla domenica successiva si prende la squadra, con cifre simili a quelle che l’avevano lanciato al college. Verona, si innamora del nuovo campione che porta la squadra a vincere contro ogni pronostico la Supercoppa italiana. Poi si fa male per la prima volta in vita sua. A causa di una infiammazione ai tendini torna in America a curarsi e a Verona pensano che non tornerà mai più. Invece, Mike torna, e spinge la squadra ad alzare le ambizioni: in campionato si vivacchia, in coppa Korac è finale contro la Stella Rossa. Mike all’andata fa 27 punti ma in Italia vincono i serbi; il Pionir al ritorno è un inferno ma Verona ribalta la situazione e porta a casa la coppa. 

In virtù delle sue origini e del suo cognome, Mike Iuzzolino diventa italiano e va a San Gregorio Magno per richiedere i documenti. Il paese di basket è a digiuno, ma gli riserva una grandissima accoglienza. Un chilometro tra due ali di folla, costumi tradizionali e piatti tipici, visita alla casa da dove nonno Pasquale era partito. Da italiano poi giocherà a Roma, Salonicco, Milano, Santander, Pavia e Valladolid. Per caso scopre persino di essere la star di un videogame. Tornato negli States, ancora oggi gli appassionati di basket lo fermano per un selfie. Nel frattempo a Verona ritirano la maglia con il suo numero in una di quelle cerimonie che si riservano a pochissimi. Negli Stati Uniti diventa allenatore di college, e spiega la sua carriera più volte usando parole precise come quando tirava da tre: “La storia della mia vita? Per uno che crede in me, mille non lo fanno. E sono quei mille che mi stimolano”. Suo figlio Mike Junior gioca a St. Vincent University, ha 10 centimetri di altezza in più, studia matematica e tira da tre come il padre. Finito col basket Mike inizia a correre e completa quattro maratone, compresa quella di Boston.

Mike Iuzzolino, è tornato a Verona nel maggio del 2022 per la presentazione del libro a lui dedicato “L’Arcobaleno nel canestro”, scritto da Alessandro Fontana. Il volume narra la storia di Mike Iuzzolino, “un ragazzo follemente innamorato della pallacanestro”. È la storia del coronamento di un sogno vissuto al livello più alto: i trionfi al college, l’NBA, l’Italia e, soprattutto, Verona. Alessandro Fontana racconta il percorso umano, spirituale e sportivo di Iuzzolino attraverso aneddoti, ricordi e testimonianze di ex compagni, dirigenti e allenatori. Non a caso è considerato uno dei giocatori simbolo della pallacanestro veronese.

Condividi l'articolo:
Write a response

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close
Magazine quotidiano online
Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
Close