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Cattolici e Politica: dal “Non expedit” di Pio IX ai “Liberi e forti” di don Luigi Sturzo

Nel corso della presentazione dell’Associazione “Liberi e Forti 3.0”, svoltasi presso la sede della Provincia di Salerno, l’intervento del giornalista e storico Giuseppe Geppino D’Amico ha puntato i riflettori sul “Non expedit”. La formula “non giova, non conviene” è conosciuta in modo particolare per come fu utilizzata dalla Santa Sede quando dichiarò inaccettabile che i cattolici italiani partecipassero alle elezioni politiche del Regno d’Italia e, per estensione, alla vita politica nazionale italiana. Conoscere il passato aiuta a comprendere meglio il presente: in questa ottica pubblichiamo a seguire una ampia sintesi della relazione di Geppino D’Amico.

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Il “Non expedit” è la disposizione con la quale Pio IX, il pontefice più longevo della storia (quasi 32 anni, dal 1846 al 1878), decise di impedire ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche del Regno d’Italia ma non alle elezioni amministrative. Sono in molti a ritenere che il “Non expedit” sia stata “la decisione più sciagurata di Pio IX”, perché per mezzo secolo ha tenuto i cattolici lontano dalle elezioni e dalla vita politica.  Il testo più esplicativo sui danni che il “Non expedit” aveva creato nel mondo cattolico è il discorso del cardinale arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, il 10 ottobre 1962, alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II, cioè otto mesi prima di essere eletto Papa (Paolo VI): “La Provvidenza aveva ingannato tutti, credenti e non credenti, e aveva diversamente disposto le cose”. In pratica, qualche cosa mancò alla vita italiana, non fosse altro la sua interiore unità e la sua consistenza spirituale.

PAPA PIO IX

Come si arriva al “Non expedit”?  I primi a porre il problema sono i vescovi del Piemonte che il 30 gennaio 1868 chiedono a Roma se è lecito per i cattolici partecipare alle elezioni politiche. La Congregazione per gli Affari straordinari risponde “Non expedit” (non è conveniente). Si dimostrerà un grave errore strategico perché oltre a privare l’Italia, per cinquant’anni, dell’apporto dei cattolici, ne ritarda maturazione e partecipazione. Nelle prime elezioni del Regno d’Italia nel 1861, don Giacomo Margotti, direttore del quotidiano “L’Armonia” (7 gennaio 1861) lancia l’astensione dei cattolici, “Né eletti né elettori”, come rifiuto del neonato Stato unitario, in difesa dello Stato Pontificio e delle prerogative della Chiesa disconosciute dalle leggi Siccardi del 1850 che avevano abolito  i privilegi goduti fino ad allora dal clero, e da altri provvedimenti ostili alla Chiesa.

In pratica, partecipare alla vita parlamentare significa riconoscere allo Stato una legittimità che il Pontefice, avendo perso il potere temporale, respinge con forza.  Inoltre, va ricordato che con le leggi eversive del 1866/67 lo Stato aveva soppresso diversi ordini religiosi, incamerandone i beni.

La proibizione viene più volte reiterata “per ragioni gravissime”. Non va dimenticato che il 20 settembre del 1870 con la breccia di Porta Pia Roma viene tolta al Papa e assegnata al Regno d’Italia.  L’anno successivo (1871) viene promulgata unilateralmente dal Regno d’Italia la famosa Legge delle Guarentigie che regolava i rapporti Stato/Chiesa, ma non viene accettata da Pio IX che, in tutta risposta, rende ufficiale il “Non expedit” che sarà osservato anche durante il papato di Leone XIII.

Una graduale distensione si registra con Pio X e Benedetto XV. Nell’enciclica “Il fermo proposito” dell’11 giugno 1905, per le elezioni politiche di novembre Pio X, al fine di impedire l’elezione di candidati “sovversivi”, chiede ai cattolici di “prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica per essere in grado di esercitare i pubblici uffici con il fermo e costante proposito di promuovere il bene sociale ed economico della Patria e del popolo e, al tempo stesso,  di difendere gli interessi supremi della Chiesa, che sono quelli della religione e della giustizia”.

PAPA BENEDETTO VX

Per la Penitenzieria apostolica un cattolico può accettare l’incarico parlamentare a condizione che nel giuramento di fedeltà allo Stato dichiari di accettare la clausola “Salvis legibus Dei et Ecclesiae”  e  non votare “leggi contrarie a Dio e alla Chiesa”.

Nel 1913 arriva il cosiddetto Patto Gentiloni, un accordo politico informale tra i liberali di Giovanni Giolitti e l’Unione Elettorale Cattolica Italiana per frenare l’avanzata socialista e questo consente a numerosi cattolici di entrare in Parlamento. Per l’abrogazione del “Non expedit” da parte di Benedetto XV bisognerà attendere il 1919 e questo permette ai cattolici di aderire al Partito Popolare.

GIOVANNI GIOLITTI

***

La seconda parte del mio breve intervento è dedicata all’ Appello ai Liberi e Forti e, quindi, a don Luigi Sturzo che ne fu il promotore in quanto fortemente convinto che la partecipazione dei cattolici alla vita politica fosse una necessità per la Chiesa e per il popolo.   

DON LUIGI STURZO

Nato a Caltagirone nel 1871, sacerdote dal 1894, don Luigi Sturzo è tra i politici più importanti della storia politica contemporanea, al punto da essere nominato nel 1952 Senatore a vita.  Già nel 1905 aveva proposto di dare vita ad un partito a ispirazione cristiana, chiedendo, senza successo, l’abolizione del “Non expedit”.  Rispettoso della disposizione del Papa, concentrò la sua attività nell’ambito amministrativo che era consentita: prosindaco di Caltagirone dal 1905 al 1920, vicepresidente dell’Associazione dei comuni italiani dal 1915 al 1924, fu segretario della Giunta dell’Azione cattolica dal 1915 al 1917.

Per don Sturzo la nascita di un partito a ispirazione cattolica era una necessità per cui in un incontro con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, nel novembre 1918 don Sturzo chiedeva se la Santa Sede fosse disposta, in caso di fondazione di un partito di cattolici, ad abrogare il “Non expedit”. Il cardinale promette di parlarne al Papa ma nel successivo incontro, in dicembre, quando don Sturzo rinnova la richiesta, Gasparri risponde: “Il Papa provvederà quando e come crederà meglio”.

Nel gennaio del 1919 Don Sturzo ritiene che i tempi siano maturi per dare vita al partito dei cattolici per cui, resosi conto che in Vaticano il vento sta cambiando, chiede alla Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano di redigere l’Appello ai liberi e forti che viene reso pubblico il 18 gennaio: “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della “Società delle Nazioni”.

Di fronte alla fondazione del Ppi la Santa Sede assume una “benevola riserva” anche se, all’inizio, nel mondo cattolico non manca una certa diffidenza. È consigliabile iscriversi al Ppi?  La Segreteria di Stato investe del problema la Penitenzieria che l’11 novembre 1919 lascia cadere il “Non expedit” ma non emana un formale atto di annullamento.  La stessa Segreteria di Stato si limita ad inviare una “istruzione privata” con la quale comunica che la Santa Sede è e vuole rimanere estranea al partito“. Alla vigilia delle elezioni politiche del 16 novembre 1919 numerosi vescovi chiedono direttive sul voto dei cattolici e sui candidati. Risposta: “il vescovo è libero di prendere l’atteggiamento che le circostanze consiglieranno se il programma del candidato non è conforme alla dottrina della Chiesa. Il vescovo non solo può, ma deve opporsi con avvertenze paterne e, se queste sono infruttuose, con pubbliche dichiarazioni”. 

E don Sturzo? Nel 1922, contrario al Fascismo e, quindi, alla partecipazione dei popolari al governo Mussolini, nel congresso di Torino dell’aprile 1923 riesce a portare il Ppi all’opposizione. Costretto alle dimissioni sostiene la secessione dell’Aventino mantenendo la sua avversione nei confronti del Fascismo, non disdegnando la collaborazione con i socialisti. Nel 1924 il cardinale Pietro Gasparri gli consiglia di lasciare l’Italia per cui don Sturzo si stabilisce prima a Londra, poi a New York (1940). Rientrato nel 1946 in Italia, dopo 22 anni, quindi dopo la caduta del Fascismo, riprende l’attività politica, pur non aderendo ufficialmente alla Democrazia Cristiana. Particolarmente dura la sua battaglia contro l’intervento statale nel campo dell’economia e la polemica contro la sinistra.

Concludo: l’esempio di don Lugi Sturzo, la sua testimonianza personale in un contesto di crisi e di sofferenza per l’Italia e la forza di quell’Appello potrebbe (o dovrebbe), ognuno scelga il verbo che preferisce, rappresentare un monito e una bussola anche per muoversi meglio nel presente.

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