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Con-Tatto – Emigrazione, il murales di Nicolàs Menza a San Gregorio Magno per “legare” le generazioni

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Il 2024 è l’anno delle radici italiane nel mondo. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, attraverso la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie, sostiene e promuove il progetto “Turismo delle Radici” quale opportunità per valorizzare le storie di emigrazione, sacrificio e successo degli avi degli italo-discendenti nel mondo e preservarne la memoria.

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Al progetto “Turismo delle Radici” hanno aderito numerosi comuni. Per quanto riguarda il Vallo di Diano, Padula ha ottenuto l’approvazione del progetto “Valle delle radici: le terre dei migranti”, sottoscritto insieme ad altri sei comuni valdianesi (Monte San Giacomo, San Pietro al Tanagro, Casalbuono, Atena Lucana, Polla e Sanza), finalizzato a sensibilizzare le comunità locali sul tema dell’emigrazione italiana e dei viaggi delle radici e a creare sui territori un’offerta turistica rivolta agli italo-discendenti. Nei giorni scorsi a San Gregorio Magno è stata allestita una mostra del pittore italoargentino, Nicolàs Menza, “El grito de la sangre”, il grido di sangue, che simbolicamente lega le generazioni. Inoltre, l’artista ha donato al comune dal quale erano partiti i suoi genitori un murale che è stato inaugurato sabato scorso. Nel corso della settimana dedicata all’emigrazione è stato proiettato il docufilm dell’artista dallo stesso titolo della mostra.

Un fatto è certo: il fenomeno non conosce soste: secondo dati Istat tra il 2002 e il 2021 gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese per trasferirsi all’estero sono stati circa 1.400.000. E parliamo di una emigrazione che, rispetto al passato, spesso è senza ritorno. Sul tema le opinioni sono sempre state diverse. Spero possa essere utile proporre le considerazioni, divergenti, espresse da due autorevoli esponenti del mondo politico salernitano del passato: gli on.li Giovanni Camera e Giovanni Florenzano, vissuti quando il fenomeno era in piena espansione. L’on. Camera, si interessò molto di emigrazione e, nel 1910, per incarico del Governo effettuò una missione in America Latina per verificare di persona i problemi dei nostri connazionali e tentare di rimettere pace tra il nostro paese e quelli latino-americani. La situazione era precipitata quando l’Argentina voleva imporre alle navi italiane ispettori sanitari propri per cui il nostro governo aveva bloccato i visti per l’espatrio. Inoltre, nel 1913, durante la discussione in Parlamento sul problema dell’emigrazione e della relativa tutela, l’on. Camera, intervenendo nel dibattito, chiese l’adozione di una legge di tutela. Negli anni precedenti contrarietà all’emigrazione era stata espressa dall’on. Giovanni Florenzano. Prima di essere eletto al Parlamento, nel 1874 aveva dato alle stampe un libro dal titolo Dell’emigrazione italiana comparata alle altre emigrazioni europee: studi e proposte”. Florenzano considerava l’emigrazione “la perdita di numerose forze giovanili per l’agricoltura”. Naturalmente, coloro i quali erano favorevoli all’emigrazione bollavano le opinioni di Florenzano sostenendo che la sua contrarietà derivava dall’appartenenza ad un ceto molto agiato che aveva bisogno dei contadini. Alcune sue tesi si trasformarono in autentiche denunce; la più agghiacciante riguarda la compravendita dei fanciulli che venivano sradicati dalle loro famiglie e spediti all’estero per lavori troppo faticosi per la loro giovane età.

Ma perché si emigrava? Principalmente per lasciare il lavoro dei campi (durissimo e per niente remunerativo); per andare alla ricerca di condizioni di vita migliori e sottrarsi alla miseria e alle prepotenze che si era costretti a subire. Non mancavano, però, coloro i quali partivano per spirito di avventura, per sottrarsi alle guerre o per sfuggire alla giustizia. Il paese che dalla scoperta dell’America in poi, ha accolto il maggior numero di Italiani è proprio l’Argentina dove i nostri connazionali hanno svolto un ruolo molto importante per lo sviluppo di quel paese. Gli espatri più consistenti dal Meridione si ebbero nella seconda metà dell’800 ma il fenomeno era presente anche prima dell’Unità d’Italia. Ma il problema più grosso che i nostri connazionali hanno dovuto affrontare una volta emigrati rimane quello dell’identità. Circa 60 anni fa alla stazione di Ferruzzano, in Calabria, un giorno scese dal treno un solo passeggero: era un signore anziano ed indossava i tipici pantaloni americani (quelli a quadretti); il capostazione, accortosi che l’uomo si guardava intorno come spaesato, gli chiese: Siete americano?. Antonio Margariti (questo il suo nome) lo guardò pensoso ed esclamò: Ma in America mi chiamano italiano!”.

E quanto sia forte la nostalgia per il proprio paese lo testimonia una breve lettera inviata da Dionigi Lorenzo di Roscigno il 18 marzo del 1931, dal New Jersey al Podestà del paese, il dottor Silvio Resciniti. Dovendo realizzare il monumento ai caduti, il Podestà si era rivolto ai Roscignoli d’America per chiedere un sostanzioso invio di dollari. A nome di altri compaesani Dionigi Lorenzo così risponde: “Carissimo D. Silvio, Tutto bene; farete una cosa guarnita, abasta che viene più meglio di quello di Bellosguardo. Non più mi prolungo, da parte mia ricevete i miei sinceri saluti a voi tutti e sono il tuo aff.mo Dionigi Lorenzo”. Dalla lettera emerge un dato: Dionigi Lorenzo aveva fatto fortuna in America ma non aveva dimenticato il suo paese. Si sentiva Italiano; anzi, roscignolo!

Un interrogativo sul quale una riflessione è opportuna è il seguente: come dobbiamo leggere oggi il fenomeno emigrazione?  Una chiave di lettura importante è data proprio dal docufilm di Nicolàs Menza, “El grito della sangre” che simbolicamente lega le generazioni: rappresenta la memoria e l’identità dei nostri antenati costretti ad emigrare. Chi non è più riuscito a tornare, ha portato con sé un pezzo della propria terra, mantenendo in vita tradizioni culturali, usanze, rituali.  Chi invece gode del privilegio di ritornare, porta con sé non solo il ricordo di chi ci ha lasciati, ma mantiene in vita una forte memoria identitaria anche per le generazioni future, così che nessuno dei figli di questa terra possa mai dimenticare né essere dimenticato. Studiare il passato è importante; significa far rivivere la memoria. Credo che il modo migliore per farlo sia quello indicatoci dall’etnoantropologo Ernesto De Martino: “Per tenere in vita il villaggio vivente della memoria bisogna tornarci non solo con il ricordo, ma qualche volta anche in pellegrinaggio”. Ed è quello che i nostri connazionali all’estero intendono fare.

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