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Il Codice di Camaldoli e i cattolici in politica: ieri e oggi. E domani?

Di Giuseppe Geppino D’Amico

L’anno in corso propone alcuni anniversari storici. Ci siamo già occupati della “Notte del Gran Consiglio” che il 25 luglio del 1943 sanciva, di fatto, la caduta del Fascismo e la fine politica di Mussolini.

Sono trascorsi 80 anni ma quella notte è una notte che non passa e che ancora oggi è oggetto di studi e riflessioni da parte di storici e politici.

Proprio nei giorni precedenti il 25 luglio del ‘43 si verificò un altro avvenimento, passato alla storia come “Il Codice di Camaldoli”.

Il Codice di Camaldoli

Anche se non molto conosciuto ha avuto conseguenze positive dopo la caduta del Fascismo, quando si scrisse la Costituzione Repubblicana del 1948. Sempre a luglio, ma nel 1993, quindi 30 anni fa, Mino Martinazzoli scioglieva la Democrazia Cristiana per dare vita al Partito Popolare Italiano.

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Dal 18 al 24 luglio del 1943 una trentina di politici, professionisti e intellettuali cattolici si riunirono a Poppi, in provincia di Arezzo.

Dopo una settimana di approfonditi dibattiti sottoscrissero il Codice di Camaldoli, dal nome dell’eremo in cui si erano riuniti.  L’Italia stava vivendo momenti difficili tra il crepuscolo del regime fascista e il tentativo di rinascita repubblicana che di lì a poco sarebbe iniziata.

Regista dell’incontro fu mons. Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, che in quel tempo era nella segreteria di Stato del Vaticano. 

Il Codice di Camaldoli scaturì dalla riflessione di esperti in Scienze sociali, sensibili alla dimensione socio-democratica della politica e coinvolti in una riflessione promossa da Sergio Paronetto (manager industriale ed intellettuale, stretto collaboratore di Giovanni Battista Montini e Alcide De Gasperi), Vittorino Veronese, (futuro presidente di Azione Cattolica dal 1946 al 1952) e il vescovo di Bergamo, mons. Adriano Bernareggi.

Scopo dell’incontro: sviluppare le istanze sociali di Giuseppe Toniolo (economista e sociologo, studioso del principio di sussidiarietà, beatificato nel 2012).

Considerando il modus operandi del regime fascista si trattò di un’iniziativa coraggiosa posta in essere da chi voleva andare oltre il fascismo e porre fine alle distruzioni della guerra.

Con la stesura del Codice vennero messe sul tavolo le idee che poi avrebbero portato alla Costituzione. Il Codice fu reso pubblico nel 1945. 

Sette i punti fondamentali che furono analizzati: Stato, famiglia, educazione, lavoro, produzione e scambio, attività economica, vita internazionale. 

Indubbiamente, il Codicefu un tentativo di cambiamento politico, sociale ed economico da applicare al Paese. Tre le importanti intuizioni in esso sono contenute: l’affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato; la scelta dello Stato democratico; il ruolo della comunità politica come garante e promotrice della giustizia sociale e dell’eguaglianza.

Da allora sono trascorsi 80 anni eppure il Codice continua a suscitare interesse al punto che la settimana scorsa è stato oggetto di un interessante convegno che ha visto la partecipazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Evidentemente c’è chi continua a considerarlo di grande attualità nella convinzione che ancora oggi costituiscono il terreno per una proposta nuova, capace di colmare il vuoto dell’assenza dei cattolici nella vita politica e decisionale italiana e di creare rinnovate motivazioni all’impegno sociale dei cattolici, nella consapevolezza di una storia che a Camaldoli ha scritto pagine altamente significative per la collettività.

Nella prolusione di apertura al convegno il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha ricordato ciò che avvenne nel 1943:Pio XII chiese ai cattolici di uscire dalla loro passività e di prendere l’iniziativa.

La responsabilità è iniziativa, altrimenti ci si accontenta delle proprie ragioni o dei buoni sentimenti, questi diventano vano compiacimento e non umiliandosi con la vita concreta fanno illudere di essere dalla parte giusta anche se si finisce fuori dalla storia! Bisogna “prendere posizione”, come si afferma nella prefazione.

Pio XII incitò i Laureati Cattolici a passare all’azione sul piano culturale, traducendo l’insegnamento della Chiesa in un linguaggio “moderno” e comprensibile a tutti. La presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura”.

Mezzo secolo dopoil partito dei Cattolici era costretto a fare i conti con una profonda crisi per cui il 26 luglio 1993, quindi 30 anni fa, in piena Tangentopoli, il segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Mino Martinazzoli, annunciava ai 500 delegati dello scudo crociato giunti a Roma da tutta l’Italia lo scioglimento della DC e l’inizio di una nuova fase storica con un partito fondato sul valore cristiano della solidarietà che si sarebbe chiamato Partito Popolare Italiano.

Finiva la Dc ma non la diaspora democristiana fatta di continue battaglie anche giudiziarie per entrare in possesso del simbolo, lo storico scudocrociato che, secondo una recente statistica, da solo oggi vale almeno l’1,5 per cento dei voti.  

Certo non si può dire che la storia del Partito Popolare sia stata costellata da grandi successi se è vero, come è vero, che in soli 30 anni i Popolari, a volte per scelta e a volte per necessità, hanno dato vita ad aggregazioni diverse: l’Asinello di Prodi, la Margherita di Rutelli, il Pd di Matteo Renzi, una vera sorpresa se si considera l’abbraccio con gli ex Comunisti di D’Alema e Veltroni, avversari di sempre, con una fusione a freddo mai troppo amata da tantissimi ex Democristiani.

Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Si tornerà all’antico con un nuovo partito dei Cattolici? Difficile dirlo. Lo diciamo con-tatto: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

Aggiungendo, sempre con-tatto, che il nostro incontro settimanale si concede una pausa. Buone vacanze.

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Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
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