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A Teggiano la foto del falò di San Cono emoziona i fedeli e riporta d’attualità il tragico terremoto del 1857

Di Geppino Giuseppe D’Amico

Teggiano fu uno dei pochi comuni del Vallo di Diano risparmiati in termini di vittime dal disastroso terremoto del 16 dicembre 1857. Gli echi di quella immane tragedia e dello scampato pericolo nella città d’arte del Vallo di Diano sono ancora ben presenti nella memoria collettiva, legati indissolubilmente a San Cono, a cui viene attribuito il “miracolo” di aver salvato Teggiano. Per questo motivo in suo onore venne eretto l’obelisco nella omonima piazza, sotto il quale ogni anno il 16 dicembre, proprio in occasione della ricorrenza del terremoto del 1857, da parte dei devoti viene acceso un falò per ringraziare il Santo. Quest’anno a rendere ancora più emozionante il rito e a riportare sotto i riflettori il sisma del 1857 ci ha pensato la suggestiva fotografia scattata da Pasquale Fusco su richiesta di Katia Lazzarin al momento dell’accensione del falò. Nell’immagine, diventata immediatamente virale, tanti fedeli “vedono” la sagoma di San Cono che spalanca protettivamente le braccia, ripetendo lo stesso gesto raffigurato dalla statua che sovrasta l’obelisco. Certamente la foto è capace di scatenare emozioni intensissime, non solo nella comunità teggianese e tra i fedeli del Santo, ma ovunque il culto di San Cono è diffuso.

L’evocativa immagine scattata da Pasquale Fusco per Katia Lazzarin
La statua di San Cono sull’Obelisco

Per comprendere ancora meglio come mai quella tragica data del 16 dicembre 1857 sia ancora così profondamente radicata nella memoria collettiva, è opportuno ricordare quello che accadde, ricostruendo la drammatica portata del sisma e delle sue conseguenze.

Nella sera del 16 dicembre del 1857 una scossa di terremoto squarciava la terra lasciando segni indelebili non soltanto nel Vallo di Diano ma anche in tutta la parte meridionale del Principato Citra e nella vicina provincia di Basilicata. In verità, il sisma interessò varie regioni: Basilicata, Molise, Campania, Puglia e Calabria. L’epicentro fu individuato dai territori di Saponara (oggi Grumento Nova), Montemurro e Viggiano. L’intensità massima venne registrata proprio a Saponara e Montemurro mentre il 10° grado fu raggiunto nei seguenti comuni: Missanello, Paterno, Sant’Angelo Le Fratte, Sarconi, Spinoso, Tito, Alianello, Atena Lucana, Brienza, Calvello, Marsico Nuovo, Polla, Tramutola e Viaggiano. Complessivamente, più di 180 paesi in un’area di oltre 20.000 chilometri quadrati subirono danni gravissimi al patrimonio edilizio e gran parte delle case divennero inagibili. All’interno di quest’area, interi paesi e villaggi (almeno 30) sparsi su una superficie di 3.150 chilometri quadrati furono rasi al suolo. Complessivamente si contarono 3.313 case crollate e 2.786 pericolanti e inabitabili. Le cifre ufficiose riferirono di 19.000 morti; diverse, per fortuna, quelle ufficiali rese note dal Giornale del Regno delle Due Sicilie in data 13 febbraio 1858:  “I morti nel Principato Citeriore ascendono al numero di 1213, ed i secondi, cioè i feriti a 347, de’ quali rimangono in cura altri 18. Ben più vasta la piaga fu per la Basilicata, siccome apperisce dal seguente specchietto: 9.237 morti e 1359 feriti” . Nel LIX volume degli Annali civili del Regno delle Due Sicilie e nel voluminoso carteggio, contrassegnato dal numero 1370, “terremoto del 1857”, custodito dall’Archivio di Stato di Potenza si legge testualmente: “…I comuni di Pagani, Piaggine, Sacco, Pisciotta, Sala (Consilina), Vallo della Lucania, Maiori, Minori, Olevano sul Tusciano, Orria, Oliveto Citra, Baronissi, Buccino, Bolano, Celle, Cannalonga, Caposele, Castelluccio, San Gregorio Magno, Nocera Inferiore, Cava dei Tirreni, ebbero a soffrire tanti danni. A Tramonti morirono due persone. I comuni di Pertosa, Atena Lucana, Auletta, Padula, San Pietro, Diano, Sassano, Montesano, S.Arsenio e Sapri ebbero a soffrire danni maggiori, dapodiché perdettero insieme seicento persone, massime in Pertosa che sola contò 150 vittime. Morte e ruine anche a Caggiano ove perirono 28 persone. Ma fra tutti i paesi il fato più miserando toccò allo sventurato comune di Polla, dove immensi furono i danni materiali, ma nulli a confronto delle sue vittime che si fecero ascendere a circa duemila sopra una popolazione di settemila abitanti”.

In realtà, a Polla le macerie restituirono 867 morti per una popolazione di 6.692 abitanti. Dall’analisi dei dati relativi all’intera area del sisma, solo due comuni ebbero un numero maggiore di vittime: Montemurro (5.000 morti 7.002 abitanti) e Saponara, dove perirono 2.000 persone su 4.010 abitanti, cioè la metà della popolazione. Altri paesi della vicina Val d’Agri fortemente colpiti: Viggiano (800 morti), Tramutola (177) e Paterno di Marsiconuovo (122).

Per quanto riguarda gli altri paesi del Vallo di Diano un tributo molto alto fu quello pagato da Pertosa con 153 vittime su 1179 abitanti . Ad Atena Lucana i morti furono 55, ad Auletta 37, a Padula 32, a Caggiano 28. Andò decisamente meglio in altri paesi: a San Pietro al Tanagro i morti furono otto (uno, però, morì sotto le macerie del carcere di Polla dove si trovava ristretto), sei a Sant’Arsenio, 5 a Montesano sulla Marcellana, 3 a Sala Consilina, nessuno a Teggiano (di qui il “miracolo attribuito a San Cono) e a San Rufo: i Sanrufesi morti furono 12 ma si trovavano reclusi nel carcere di Polla. Molti abitanti del Vallo di Diano e della Valle del Tanagro tra quelli rimasti senza casa furono inviati a Battipaglia, allora frazione di Eboli.

Anche il Giornale del Regno delle Due Sicilie, organo ufficiale della casa reale, si occupò del terremoto per un lungo periodo (a volte con toni molto enfatici per elevare al massimo il comportamento del sovrano) offrendo ai lettori un bollettino quotidiano degli avvenimenti, a cominciare dalla sottoscrizione avviata per dare i primi aiuti alle popolazioni colpite. I ragguagli sugli effetti del sisma viene evidenziato un accadimento che aveva ed ha dell’incredibile:“…secondo i rapporti che ci pervengono, aggiungiamo al già detto che, per cura del Segretario Generale dell’Intendenza di Basilicata, furono nel dì 23 (dicembre, n.d.r.) sottratte vive dalle ruine in Montemurro due donne e due fanciulle, figliuole d’una di esse, a nome Maria Atonia Palermo, dopo esservi rimaste per sette giorni”.

In quei giorni gli ostacoli più grandi da superare furono il freddo ed il cattivo tempo. In tema di solidarietà, va segnalato che, sempre a Polla, giunsero da Napoli importanti aiuti sanitari soprattutto da parte dei Padri Ospedalieri che curarono 286 feriti. Purtroppo, però, la scossa mortale del 16 dicembre non restò un fatto isolato: per mesi, infatti, i territori già drammaticamente colpiti furono interessati da un autentico sciame sismico anche se, per fortuna, le nuove scosse non provocarono vittime ma solo tantissimo panico in una popolazione già duramente scossa e molti danni al patrimonio abitativo. Tre scosse molto forti furono avvertite il 6 marzo ed altre due, di circa dieci secondi, il giorno dopo a Lagonegro. Nei giorni successivi altre scosse furono avvertite a Tramutola, Montemurro ed a Salerno. Anche nel Vallo di Diano la terra tremò di nuovo nei mesi successivi: il 23 marzo quattro scosse si registrarono a Sala ma, per fortuna, non crearono danni ma furono tanto forti da essere avvertite anche a Potenza. Altre scosse si ebbero tra il 18 ed il 19 aprile e molta gente decise di trascorre la notte in strada.  

Il terremoto del 1857 suscitò forte emozione anche all’estero e non mancarono aiuti economici sia ad opera di singoli cittadini (anche dalle Americhe), sia ad opera di giornali. Tra i primi a dare vita ad una sottoscrizione fu il direttore del giornale francese l’Union il quale ai primi di marzo consegnava al Ministro dell’Interno Lodovico Bianchini, una prima raccolta di 4.000 franchi. Ma dall’estero il contributo più importante, anche in chiave futuristica, fu quello offerto da uno studioso inglese, Robert Mallet, il quale venne in Italia per studiare il fenomeno terremoto grazie ad un contributo di 150 sterline concessogli alla Royal Society di Londra. Un grosso contributo alla spedizione scientifica del Mallet fu offerto da Alfonso Bernoud, un fotografo francese che si era stabilito a Napoli già da qualche tempo e che era molto noto anche a corte.

Al ritorno in patria, dopo una attenta elaborazione dei dati raccolti il Mallet darà alle stampe un ponderoso studio che ancora oggi è un punto di riferimento per gli studiosi dei fenomeni sismici. Pubblicato nel 1862 a Londra da Chapman and Hall, il lavoro del Mallet è uscito in Italia per iniziativa di E. Guidoboni e Graziano Ferrari. L’opera è stata ristampata in una edizione rivista ed ampliata per iniziativa della stessa SGA a cui va il ringraziamento per averci concesso di utilizzare le foto a corredo di questo articolo.

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