Search

Monte San Giacomo 1933: il sangue delle donne e la bandiera di Maria Antonia

Di Geppino Giuseppe D’Amico

Da oltre un secolo l’8 marzo è dedicato alle donne. Una giornata importante, non per festeggiare ma per ricordare lo status delle donne che nel corso dei secoli, soggette com’erano prima all’autorità paterna e poi a quella dei mariti, hanno dovuto lottare e continuano a farlo per ottenere la propria emancipazione senza dimenticare le battaglie prima per il lavoro e poi per la parità nei luoghi di lavoro.

Anche se lo stato di sottomissione delle donne era ben presente anche nel Vallo di Diano non sono mancati momenti in cui esse si sono rese protagoniste di proteste, pacifiche nella maggior parte dei casi ma talvolta anche dure. È il caso delle donne di Monte San Giacomo che 90 anni fa, il 6 gennaio del 1933, diedero vita ad una protesta che, iniziata in modo spontaneo si tramutò ben presto in un gravissimo fatto di sangue con tre morti ammazzati.

All’epoca dei fatti, Monte San Giacomo era uno dei paesi più poveri del Vallo di Diano per cui, quando si sparse in paese la notizia dell’aumento della tassa di famiglia (detta anche “focatico”), i contadini che si trovavano in piazza dopo avere ascoltato la messa cominciarono prima a discutere tra loro, quindi iniziarono a protestare contro quell’ennesimo balzello ritenuto ingiusto ed ingiustificato. Ben presto la piazza si riempì e le più arrabbiate erano le donne che avevano non pochi problemi per mettere il piatto in tavola in un periodo in cui l’intero paese cominciava a pagare la politica economica del Fascismo. Al grido di «Abbasso la camorra! Viva l’Italia!» si diressero in Municipio dove cacciarono via il messo comunale, si impadronirono della bandiera tricolore e chiusero a chiave il portone della casa comunale in modo da impedire l’ingresso al podestà. Decisero, quindi, di recarsi a Sassano e consegnare le chiavi del Municipio ai Carabinieri.

Guidava il corteo una contadina 50enne, Maria Antonia Romano, che reggeva il tricolore. Non mancarono i provocatori che, invece di calmare gli animi, aizzarono la protesta. Avvertito telefonicamente, il maresciallo dei Carabinieri partì immediatamente verso Monte San Giacomo servendosi della strada principale mentre i dimostranti scendevano per una scorciatoia. Tornato a Sassano invitò i contadini ad entrare in caserma dicendo che era pronto ad ascoltarli. Il tono apparentemente arrendevole del sottufficiale non convinse, per cui nessuno accolse l’invito. A quel punto i Reali Carabinieri tentarono di strappare la bandiera dalle mani di Maria Antonia che reagì con fermezza per impedirlo. Nel trambusto la donna fu colpita violentemente alla testa col calcio di un fucile per cui emise un urlo di dolore e di rabbia. Fu un attimo: il tafferuglio si trasformò in una vera battaglia durante la quale, visti gli sforzi di bloccare la furia dei contadini, i carabinieri ricorsero all’uso delle armi. Il risultato fu drammatico: a terra e privi di vita furono rinvenuti i corpi di Michele Spina (un giovane che ancora non aveva compiuto vent’anni) e quelli di due donne, Annamaria Marotta e Anna Romano. I feriti e gli altri rivoltosi tornarono in paese e si rinchiusero nelle loro case per paura di rappresaglie.

In serata Monte San Giacomo fu presidiata da un gran numero di carabinieri inviati da Sala Consilina, Eboli e Salerno. Durante la notte furono perquisite tutte le case ad eccezione di quelle dei “galantuomini” e moltissime persone furono fermate e trattenute in caserma ed il giorno seguente, ammassate nei locali delle scuole, nel municipio, nel comando della milizia e del fascio. Il fermo di centinaia di uomini e di donne veniva, per trenta di essi, tramutato in arresto preventivo col rinvio a giudizio per cui le carceri mandamentali di Sala Consilina e di Lagonegro si riempirono di contadini “rivoluzionari” come ai tempi dei Borboni: 35 gli imputati rinviati a giudizio tra i quali 15 donne con accuse che andavano dal tentato omicidio alle lesioni volontarie e resistenza a pubblico ufficiale.

Il processo fu celebrato tra il marzo e l’aprile del 1934 dinanzi al tribunale di Lagonegro perché, come è noto, il Fascismo aveva chiuso il Tribunale di Sala Consilina. Merita di essere riportata la dichiarazione resa nel suo espressivo dialetto da Maria Antonia, la contadina analfabeta, al magistrato che le chiedeva perché avesse opposto resistenza al maresciallo che tentava di strapparle la bandiera: “Eccellenza, durante la lotta non bisogna mai abbandonare la bandiera perché perdere la bandiera, o lasciarsela strappare dal nemico, significa perdere la Patria; mio marito mi ha sempre detto che così avevano insegnato a lui durante la guerra quando combatteva contro gli austriaci, e così ho fatto anch’io quando il maresciallo ha tentato di togliermela”. Con sentenza del 1° maggio 1934 Maria Antonia fu assolta dall’accusa di resistenza a pubblici ufficiali ma condannata a mesi 6 e giorni 10 di reclusione per “radunata sediziosa”.

***

La stampa dell’epoca ignorò il grave episodio. Solo nel gennaio del 1954 “Rinascita” pubblicò un saggio di Pietro Laveglia. Il testo fu riproposto con disegni di Bruno Caruso nel 1975, in occasione del Convegno promosso dalla Regione Campania sul tema “Movimento democratico e antifascista nel Mezzogiorno e nel Salernitano”, tenuto a Salerno e concluso a Monte San Giacomo.

(Cfr. Laveglia P., Il sangue dei contadini, Salerno 1975. Il volume è stato ricomposto e ristampato nel 2004 per iniziativa dell’Associazione Libertas “Antonio Nicodemo” di Monte San Giacomo).

Condividi l'articolo:
Write a response

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close
Magazine quotidiano online
Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
Close