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La spada di San Michele e il diavolo di Mergellina

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Il 29 settembre la Chiesa cattolica festeggia San Michele insieme agli arcangeli. Il suo nome in ebraico “Mi-ka-El” significa: “Chi come Dio?”.

Santo popolarissimo e molto venerato non solo in Italia, è considerato avversario del demonio e vincitore dell’ultima battaglia contro Satana e i suoi sostenitori: Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago (…) Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”.

Nella tradizione popolare, quindi, è considerato il difensore del popolo di Dio e il vincitore nella lotta del bene contro il male. 

Non è un caso che San Michele sia raffigurato in diverse chiese o in cima a campanili. Per la sua virtù guerriera e difensiva è stato proclamato patrono e protettore della Polizia di Stato e di molte altre categorie di lavoratori: farmacisti, commercianti, fabbricanti di bilance, giudici, maestri di scherma, radiologi.

Si affidano a lui anche i paracadutisti d’Italia e di Francia. Alla fine del V secolo il culto si diffuse rapidamente in tutta Europa, anche in seguito all’apparizione dell’arcangelo sul Gargano in Puglia.

Secondo la tradizione, l’arcangelo sarebbe apparso a san Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto l’8 maggio 490, ed indicatagli una grotta sul Gargano lo invitò a dedicarla al culto cristiano.

In quel luogo sorge tutt’oggi il santuario di San Michele Arcangelo – Celeste Basilica (nel mezzo del nucleo cittadino di Monte Sant’Angelo), che nel Medioevo fu meta di ininterrotti flussi di pellegrini che, percorrendo la via Francigena, vi si recavano per un percorso di purificazione.

Sono tantissime le città che lo venerano come Santo patrono. Solenni celebrazioni eucaristiche e manifestazioni civili vengono organizzate anche a Sala Consilina, città che ha San Michele come patrono e protettore. 

Recentemente il culto e la devozione per l’Arcangelo a Sala Consilina è stato oggetto di una interessante pubblicazione (con un video allegato), realizzato da Antonio Tortorella con la collaborazione di Michele Esposito e Domenico Di Benedetto.

Attraverso il documentario è possibile ripercorrere i riti, gli usi e la tradizione legati al culto e alla celebrazione delle feste in onore del Santo Patrono, ma anche i sentimenti che legano San Michele ai cittadini salesi.

Nel video e nel volume dal titolo “Traditio Micaelica – il Culto dell’Arcangelo a Sala”, curato dalla Biblioteca Comunale di Sala Consilina e realizzato dall’Amministrazione comunale salese si racconta l’origine della devozione verso San Michele e quali sono i riti e le date delle diverse celebrazioni che non si limitano alla festività del 29 settembre della discesa dal santuario ubicato sul Monte Balzata e i riti collegati alla processione che accompagna il Santo verso la Chiesa della SS Annunziata, ma anche le altre giornate di celebrazioni: 3 maggio “La Croce (La Cruci)”; 8 maggio San Michele di Maggio (salita della Statua al Santuario sul Monte Balzata); 17 maggio “Il Cinto (Lu Cintu)”; 4 luglio” L’Apparizione”; 28, 29 e 30 settembre la festa di San Michele (Sandu Michele ri sittiembri); 16 dicembre il ricordo della protezione di San Michele durante il terremoto del 1857 (Sandu Micheli ri lu Tirramotu); il 6 gennaio La Stella.

Un volume ricco di storia con cui si è cercato di imprimere su carta la devozione e la tradizione legata al culto di San Michele da trasferire alle future generazioni e per rendere tale culto immortale.

Come già accennato, nell’iconografia sia orientale che occidentale San Michele Arcangelo viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone o il diavolo, simbolo di Satana, sconfitto in battaglia.

Per i devoti di San Michele l’arma che l’Arcangelo impugna è di solito la spada, presente sia nella tradizione iconografica orientale sia in quella occidentale quale elemento di forza, ma anche simbolo di guarigione e di giustizia. Inoltre, la spada di San Michele è l’unica arma che i cristiani possono venerare.

Per salvaguardare la purezza occorreva fuggire dall’ozio, evitare i piaceri della tavola, evitare di guardare con occhi perversi che accendono il cuore di sensualità ed evitare la moda “disonesta”.

In tema di lussuria, va ricordata una singolare tela conservata nella chiesa di Santa Maria del Parto a Napoli, che va sotto il nome di San Michele che calpesta il demonio o anche il diavolo di Mergellina.

Essa raffigura San Michele che abbatte il diavolo, solo che il diavolo è una sorta di ibrido tra un drago e un serpente, con molteplici code attorcigliate e il volto di una bellissima donna che alludeva alle tentazioni dalle quali egli voleva a tutti i costi trovare la forza di allontanarsi.

Come scrive Benedetto Croce, il volto è calmo, sorride, piega le braccia e sembra non curarsi nemmeno della lancia che lo trafigge.

Siamo nella prima metà del del XVI secolo; nella leggenda più conosciuta il volto raffigurato nella tela è quello di Vittoria Colonna d’Avalos,una nobildonna di straordinaria bellezza che si innamora del vescovo di Ariano Irpino, mons. Diomede Carafa, un giovane attraente, colto e raffinato, appartenente a una delle più nobili famiglie napoletane. “Donna” Vittoria è una cortigiana desiderata da tutti gli uomini della nobiltà napoletana, ma è attratta solo da quell’uomo che, fedele ai suoi voti sacerdotali, non cede alle lusinghe.

Essendo abituata a ottenere tutto grazie alla sua bellezza, Vittoria non tollera il rifiuto. Oltre al desiderio di conquistare quell’uomo di cui è innamorata, c’è anche l’orgoglio ferito da tale rifiuto per cui non accetta la ritrosia di quell’uomo, che secondo lei è troppo moralista e rigido nelle sue convinzioni.

Decide, quindi, di ottenere ciò che non riesce a conquistare con il suo fascino e la sua avvenenza, ricorrendo alla stregoneria. Si rivolge a una strega famosa per i suoi poteri straordinari, chiamatal’Alemanna, che dimostra di meritare la sua fama preparando un potente elisir capace di piegare la volontà di qualsiasi uomo.

Alle provocazioni della donna mons. Carafa risponde commissionando una tela al suo amico pittore Leonardo da Pistoia, particolarmente attivo in quel periodo a Napoli. Il motto della tela, fattovi apporre da mons. Carafa, è il seguente: Et fecit vittoriam, halleluja. Frase che allude sia al trionfo di San Michele, sia al suo personale trionfo per avere respinto la donna diavolo. Ancora oggi a Napoli una donna che reca solo guai è detta “bella come il diavolo di Mergellina”.

Della “donna diavolo” esistono versioni anche nel Cilento, nella Basilica S. Maria de Gulia di Castellabate. La prima è un olio su tavola di autore anonimo risalente alla metà del XVI secolo. L’icona raffigura S. Michele Arcangelo che regge con una mano la bilancia con cui pesa le anime, mentre con l’altra trafigge, con un’asta, il diavolo dipinto come una donna e non come il serpente o il drago.

Alcuni critici ritengono sia una sirena e che l’autore possa aver tratto ispirazione dalla vicina località che porta il nome di Leucosia, isola dove la leggenda vuole vi fossero le sirene, o dai bestiari medievali, che vedevano in lei la lussuria.

Per la ricercatrice Maria Astore la dicotomia sirena-lussuria è la più probabile perché richiama direttamente la donna, l’immagine demoniaca concreta che i religiosi temono.

C’è poi un affresco del XIV secolo che illustra la vita di S. Antonio Abate, nel quale il demonio ha le sembianze di una donna.

Appare quanto mai evidente, quindi, il messaggio educativo che le due opere trasmettono: la donna è il male che tenta e seduce al peccato e la similitudine con la sirena mostra la tentazione dominante a cui sottopone l’uomo: la lussuria.

Non va sottovalutato il linguaggio allegorico dei due dipinti di Castellabate: lussuria, idolatria ed eresia sono i peccati che i benedettini (e la loro presenza è stata particolarmente incisiva a Castellabate), in linea con il dettato del Concilio di Trento, cercavano di combattere per difendere la fede cristiana.

E tutti i tre questi peccati sembrano appartenere in modo particolare all’universo femminile. Dal Medioevo in poi anche i capelli lunghi erano considerati simbolo di seduzione e un segno palese di vanità femminile e del suo peccato.

Dopo Trento i vescovi emanarono una serie di divieti ai quali, però, non tutte le donne obbedirono, continuando a portare i capelli lunghi oppure trecce che scendevano lungo la schiena o attorcigliate a toppè.

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