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Con-Tatto – Quei “figli” del Sud nati con la valigia in mano: Campania leader per “fuga dei cervelli” e povertà educativa

Di Geppino Giuseppe D’Amico

Moliterno 1902: nel corso di una visita in Campania e Basilicata effettuata dall’on.le Giuseppe Zanardelli, primo ministro del Regno d’Italia, il sindaco della cittadina lucana, Vincenzo Valinoto Latorraca, lo saluta con queste parole:”Signor Primo Ministro, La saluto a nome degli 8.000 abitanti di questo paese, 3.000 dei quali sono in America, mentre gli altri 5.000 si accingono a seguirli”.

Campotenese 1910: interrogato dalla commissione parlamentare d’inchiesta sui problemi del Mezzogiorno, un giovanissimo pastore alla domanda dell’on.le Francesco Saverio Nitti su cosa volesse fare da grande, risponde: “Aspetto di farmi grande per andare in America”.

Se la stessa domanda la rivolgiamo ad un giovane studente di oggi probabilmente ci risponderebbe più o meno così: “Aspetto di laurearmi per andare all’estero (in Europa) oppure, male che vada, al Nord”.

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Quando si affronta l’argomento emigrazione il pensiero corre al mito di Ulisse. Per Giuseppe Imbucci, indimenticato docente presso l’Università di Salerno e autore di interessanti ricerche sull’emigrazione, “Ulisse è mito. Attorno alla figura dell’eroe greco si raccoglie l’andare dell’uomo. Egli sfida le colonne di Ercole, l’antico limite del mondo. Ma questo, prima ancora che esterno, è interiore. Il contadino campano che va e sfida le colonne d’Ercole è un moderno Ulisse. Il suo viaggio corre estroflesso verso l’esterno, ma è anche interiore. Esprime una mentalità ed una attitudine”. Quello del viaggio interiore è un concetto forse poco approfondito in passato ma molto importante specialmente oggi che l’emigrazione non riguarda più soltanto contadini con famiglia al seguito, bensì giovani diplomati e laureati.

A giudizio degli storici siamo alla quarta ondata migratoria: la prima risale al XIX secolo; la seconda a inizio ‘900 e durante il Fascismo; la terza nel secondo dopoguerra, tra gli anni ’50 e ’70; la quarta è iniziata a ridosso degli anni 2000, prosegue tuttora e viene identificata con l’espressione “fuga dei cervelli”. L’Italia, quindi, si conferma un Paese esportatore non solo di beni e servizi ma anche di capitale umano.

Lo si evince da una recente indagine realizzata dall’Istat (Istituto Italiano di Statistica) che nell’ultimo rapporto sulle migrazioni ha quantificato in un milione circa i nostri connazionali espatriati tra il 2012 e il 2021: un quarto dei quali aveva una laurea. Quindi, sono sempre più i giovani a lasciare il nostro Paese. Secondo gli ultimi numeri pre-Covid, nel solo anno 2019 gli italiani che si sono iscritti all’Anagrafe degli emigrati all’Estero (Aire) sono stati 122mila. L’8% dei laureati italiani sceglie di lavorare all’estero. La fuga record riguarda il Nord che, però, recupera con i giovani che lasciano il Sud per trasferirsi al Nord. Tra le ragioni delle partenze verso l’estero spiccano le opportunità migliori e le prospettive di carriera ma incide anche la variabile retributiva: a un anno dal titolo di studio, il guadagno è il 41,8% in più di quanto sarebbe lo stipendio in Italia. In un Paese come il nostro, dove la crescita economica è lenta, il livello di istruzione medio è basso e la popolazione sta invecchiando rapidamente. Gli alti tassi di emigrazione di giovani talenti innescano quindi una potenziale spirale negativa che, spopolamento a parte, rinforza pure la stagnazione economica.

Ma i problemi dei giovani non finiscono qui. Dalla lettura del dossier Openpolis, la Fondazione che si occupa, tra gli altri temi, di approfondire le questioni relative alla formazione dei bambini e dei ragazzi, emerge una notevole povertà educativa che riguarda i ragazzi tra i 6 e i 17 anni.

In Campania poco più di un minore su tre ha l’abitudine di leggere dei libri: precisamente il 38,5%. Il dato fa riferimento al 2019 ed è contenuto nel rapporto sulla povertà educativa in relazione alla rete delle biblioteche che è stato pubblicato recentemente da Openpolis. Stanno peggio della Campania soltanto la Sicilia e la Calabria, dove, sempre con riferimento al 2019, solo un minore su tre legge abitualmente. Tutt’altra situazione in Emilia Romagna e Val d’Aosta, regioni nelle quali, prima della pandemia, quasi due terzi dei residenti tra 6 e 17 anni erano lettori abituali. Il rapporto stretto con i libri -si apprende sempre dalla indagine di Openpolis– è in buona misura ereditario, nel senso che famiglie nelle quali i genitori sono lettori abituali trasmetteranno questa passione ai figli. Nelle case dove né la madre né il padre aprono libri è molto probabile che i figli siano a loro volta lettori molto saltuari. In particolare, il 73,5% dei minori figli di lettori leggono. Se né il padre né la madre leggono, la quota scende al 34,4%. La povertà educativa, dunque, rischia di trasmettersi di generazione in generazione. Per interrompere la catena, oltre che la scuola, possono svolgere un ruolo essenziale le biblioteche dislocate sul territorio. Luoghi nei quali bambini ed adolescenti possono sviluppare quel rapporto con i libri e con la lettura che non hanno avuto occasione di sperimentare a casa attraverso l’esempio dei genitori.

L’importanza della lettura è fuori discussione. Ne era convinto il grande scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges che così argomentava l’importanza del libro: “Fra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro. Gli altri sono estensione del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma il libro è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione”.

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