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L’infanticida Rosa Bronzo e l’orrore dei 30 bambini uccisi nel 1877 in Cilento nell’ultimo libro di Giuseppe Galzerano. Il commento di Nello Baselice

Di Geppino Giuseppe D’Amico

“Se iniqua storia vi raccontai // quello ch’è storia non cangia mai”. Sono due versi di Giovanni Prati (poeta, scrittore e politico del XIX secolo) che sembrano scritti su misura per introdurre l’argomento dell’ultimo libro scritto e pubblicato dall’Editore Giuseppe Galzerano, “Rosa Bronzo. L’ammazzabambini di Vallo della Lucania”. Una vicenda per la quale aggettivi come “tragica”, “drammatica” o “incredibile” sono riduttivi. Una storia triste in quel Cilento che nell’Ottocento spesso veniva definito “la terra dei tristi” perché sempre pronto a lottare contro gli abusi del potere. Stavolta ci troviamo di fronte ad una storia incredibile, difficile da raccontare, impossibile da comprendere e giustificare qual è un “infanticidio seriale”.

La storia risale al 1877: Rosa Bronzo, una donna di 47 anni, figlia di un ferraro, viene arrestata dalle forze dell’ordine. Arrestata una prima volta nel 1869 per furto, quando viene rimessa in libertà nel 1873 sposa un contadino molto più giovane di lei. Nel 1875 a Vallo della Lucania viene chiusa la “ruota degli esposti” dove all’ingresso di un istituto religioso venivano lasciati i bambini figli di relazioni clandestine (detti anche “figli della colpa”) oppure figli di coppie che non erano in grado di assicurare loro un cibo adeguato. A seguito della chiusura della ruota i bambini non desiderati vengono trasferiti a Salerno. Qui entra in gioco Rosa Bronzo che dichiara la propria disponibilità, in cambio di una somma di denaro oscillante tra le 10 e le 30 lire in base alla disponibilità di chi voleva sbarazzarsene, a trasferire i bambini (o le bambine) vallesi indesiderati in un istituto religioso di Salerno dove, però, non sono mai arrivati. Secondo le notizie raccolte sarebbero stati circa 30 i bambini che sarebbero stati uccisi dopo essere stati storditi con l’oppio. La donna gettava i corpi nel fiume o ne simulava l’annegamento ma li uccideva in casa. È proprio il puzzo di cadavere proveniente dalla sua abitazione a mettere in allarme i vicini che chiesero l’intervento delle forze dell’ordine che fecero luce su quello che era avvenuto nella casa della donna che, va ricordato per dovere di cronaca, avrebbe ucciso anche un suo figlio poco dopo averlo dato alla luce.

Purtroppo, l’episodio di Vallo della Lucania non può considerarsi un fatto isolato. Lo stesso Galzerano riporta nel libro una vicenda più o meno simile verificatasi a Napoli nel 1872, cinque anni prima, quando fu arrestata insieme ad una complice un’altra donna, Rosa Porro che fu condannata a morte. La polizia trovò nella sua abitazione sei bambini denutriti di cui uno morto. Si scoprì che le povere vittime innocenti, tutte avvelenate e sepolte in cantina, erano molto di più.

Ma da dove è sbucata questa tragica storia di cui nessuno aveva notizia e sulla quale si era abbattuta la “damnatio memoriae “? Giuseppe Galzerano lo spiega nella prefazione al libro: “Nei primi anni ’80, impegnato in una ricerca storica, mi capita di leggere una notizia, proveniente da Vallo della Lucania, che mi colpisce e che un secolo prima aveva avuto – come scoprirò – un risalto nazionale ed europeo. I quotidiani del tempo – come il «Roma» di Napoli e altre testate – riferivano la terribile storia di Rosa Bronzo di Vallo della Lucania, arrestata nel 1877 con l’agghiacciante accusa di aver ucciso e poi – neanche come se fossero panelle di pane (perché il pane viene cotto e non bruciato!) – bruciati e inceneriti nel forno alcuni bambini e bambine del suo paese”.


L’uccisione di un bambino è un fatto particolarmente riprovevole di fronte al quale l’autore del libro non poteva rimanere insensibile. Da qui la ferma volontà di saperne di più rispetto alle notizie pubblicate dai giornali: “Ho cercato a lungo l’incartamento processuale senza trovarlo e tuttavia gli articoli apparsi sulla stampa del tempo – che nel libro vengono riportati integralmente – sono sufficienti per ricostruire e conoscere una terribile vicenda umana e criminale, anche se purtroppo l’irreperibilità degli atti giudiziari non ha consentito di ricostruire nei particolari i fatti, il comportamento della donna, l’accusa, la difesa, il processo, gli interventi degli avvocati, le motivazioni della sentenza”.
Comunque, ci troviamo di fronte ad una tragedia per certi aspetti incredibile perché, conclude Giuseppe Galzerano, “la morte o, peggio, l’uccisione di un bambino ci colpisce terribilmente per tanti motivi e proviamo un profondo dolore, perché non sapremo mai quale sarebbe stata la vita futura di quel bambino e da adulto quale contributo avrebbe potuto dare alla società. Se poi un bambino o una bambina viene assassinato, ammazzato, affogato, strangolato, strozzato, bruciato… la nostra humanitas e la nostra sensibilità si ribellano, perché il sangue dei bambini non asciuga e non può essere mai dimenticato”.

Quello che è avvenne nel 1877 è addebitabile solo alla fame o al desiderio di liberarsi di un figlio (o di una figlia) indesiderata perché concepita fuori dal matrimonio?

Su questo tragico avvenimento abbiamo chiesto l’opinione di Aniello Baselice, psichiatra, che può essere ascoltata nel prossimo video:

Il Commento di Aniello Baselice
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