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Esclusiva Vallo Più – Mons. Antonio De Luca: “Nel 2022 fenomeni preoccupanti, auspico che nel 2023 molto bene rinasca”

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Dieci anni fa, il 7 gennaio del 2012, padre Antonio De Luca, Redentorista, veniva consacrato Vescovo e il 4 febbraio successivo si insediava alla guida della Diocesi di Teggiano-Policastro. Nell’occasione invitava la comunità diocesana a guardare a mete realizzabili con un approccio semplice ed immediato alla realtà. In questi anni è rimasto fedele a tale principio impegnandosi anche nel sociale, prestando particolare attenzione alla Caritas e all’accoglienza dei profughi. Attualmente è responsabile del Settore per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Campana. Il 7 novembre scorso ha presentato a Napoli il rapporto della Caritas sulla povertà scrivendone l’introduzione. Dopo avere ricordato i disastrosi avvenimenti degli ultimi anni (“Dalla pandemia alla guerra in Ucraina sono tante le sciagure che hanno sconvolto l’umanità a livello mondiale, e non solo per la drammaticità dei morti che hanno mietuto, ma anche per le gravi conseguenze socio-economiche generate e per una povertà che inevitabilmente è cresciuta”) ha reso noti alcuni dati sui quali riflettere a cominciare dal problema lavoro che continua a gravare fortemente sull’economia regionale. Per l’attività svolta è un profondo conoscitore della situazione attuale della Diocesi. Lo abbiamo intervistato al termine della celebrazione Eucaristica che ha presieduto presso l’Ospedale di Polla dove ha incontrato degenti e operatori sanitari. 

Mons. De Luca, da dieci anni è alla guida della Diocesi di Teggiano-Policastro. Fin dal suo insediamento Lei ha caratterizzato l’azione pastorale nella Diocesi attraverso una forte valenza correlata ai temi ambientali. Da questo punto di vista sono diversi i campanelli d’allarme: si va dalle notizie di indagini in corso su presunti reati relativi ad episodi di inquinamento ambientale, all’assenza dei comuni valdianesi tra i comuni “Ricicloni” premiati da Legambiente Campania.

La questione ambientale è urgente e improcrastinabile, prima che sia troppo tardi. Tale sensibilità deve passare attraverso la scuola, la famiglia, le parrocchie, le associazioni. Il nostro territorio che si presenta con una speciale bellezza ambientale non è esente da tentativi di sconcertanti abusi ambientali. Il miope calcolo del guadagno e del profitto può ispirare scellerate scelte che ricadono sul bene e sulla salute della collettività. Collocherei al primo posto la sfida educativa in rapporto alla custodia dell’ambiente. Girando per le scuole, ho colto tutta la passione e l’impegno da parte dei docenti per sensibilizzare i nostri giovani.  Naturalmente non deve mancare il controllo sul rispetto delle regole. Anche nel nostro territorio il cambiamento climatico produce notevoli danni soprattutto nelle zone maggiormente esposte e sulle quali non sussiste una sufficiente prevenzione come terreni, zone boschive, argini e canali. Non possiamo rimanere con il fiato sospeso ad ogni allerta meteo con la paura di smottamenti e allagamenti che mettono a rischio la comunità e ostruiscono la già precaria rete viaria. In merito al riciclo, molto si deve ancora fare ma non parlerei di totale disattenzione dei nostri comuni. Ugualmente importante è la rigenerazione ambientale, per arginare il consumo di suolo e di verde e per riqualificare spazi ormai disabitati che se opportunamente pensati potrebbero persino diventare fattori di attrazioni per giovani e famiglie e per chiunque desidera uno stile di vita meno fagocitato dai ritmi urbani.

Altro aspetto caratterizzante della Sua azione è sempre stata l’attenzione per gli “ultimi”. Il rapporto sulla povertà in Campania reso noto dalla Caritas è preoccupante. Sia nella Regione Campania che nella Provincia di Salerno sono sempre più numerose le persone in grandissima difficoltà. Aumentano i “nuovi poveri” in un contesto nel quale le difficoltà erano già consistenti. Che fare per alleviare le difficoltà specialmente per le donne e i giovani?

È ovvio che la crisi socioeconomica e quella geo-politica (la guerra Ucraina) hanno e continueranno ad avere una dolorosa ricaduta sulle fasce meno abbienti. È aumentato il lavoro povero, precario; a causa della retribuzione insufficiente, molti continuano a rivolgersi ai nostri centri di ascolto per un sostegno e per ipotizzare percorsi lavorativi. Altro fenomeno è quello dell’esigua occupazione delle donne, spesso costrette a forme occupazionali la cui retribuzione è da fame, come si sul dire. Preoccupa molto il lavoro nero, o parzialmente riconosciuto. Le vittime di tale squilibrio sono i giovani, spesso con una preparazione accademica e professionale considerevole. Sono obbligati a lunghissimi tirocini con un riconoscimento economico irrisorio. Per sfuggire a queste umilianti sottomissioni sono costretti ad abbandonare il territorio in cerca di gratificazioni consone al titolo che con sacrificio hanno conquistato. Si sa che questa problematica non riguarda solo la nostra diocesi, ma è un triste fenomeno del nostro mezzogiorno che ha provocato nell’ultimo decennio un esodo dalle proporzioni bibliche. Le politiche giovanili nazionali, e la visione degli amministratori locali potrebbero tentare anche nuove vie dell’impresa e della cooperazione. Alle famiglie spetta un’attenzione speciale per l’impossibilità a poter provvedere al pagamento delle bollette, ma anche all’acquisto dei libri scolastici, e talvolta persino di farmaci. La Caritas diocesana che si muove con abilità, l’azione delle parrocchie, la presenza capillare sul territorio dei sacerdoti, garantiscono un’eccezionale solidarietà e prossimità. Non possiamo sottovalutare le insorgenti nuove forme di dipendenze che accanto a quelle di sempre infliggono ferite profonde al tessuto sociale e familiare.

La nostra Diocesi sta svolgendo un ruolo importante in tema di accoglienza: quali sono le difficoltà incontrate e come si possono superare?

R. La nostra terra è una terra di emigrazioni, migliaia di persone a partire già dalla fine dell’800 hanno tentato la fortuna attraversando l’oceano o dirigendosi verso il nord Europa. Pertanto ci è quasi familiare comprendere le difficoltà e il disagio di chi oggi vive il triste viaggio dell’abbandono della terra, della casa, dei legami. Sono ferite che restano sempre aperte nella memoria collettiva e personale. Il fenomeno delle migrazioni delle popolazioni dell’Africa su- sahariana e oggi delle famiglie provenienti dall’Ucraina, hanno sempre trovato la disponibilità delle nostre comunità e delle nostre amministrazioni locali. Forse anche con la segreta speranza di ridare vitalità ai nostri asili, alle nostre scuole primarie che ormai boccheggiano. Per non parlare della difficoltà di reperire manodopera nei settori dell’allevamento e dell’agricoltura. Benché possa apparire un’accoglienza solo strumentale, tuttavia si è cercato di realizzarla con l’offerta di molte opportunità. Noi siamo terra di passaggio, dopo un primo e iniziale approdo, i migranti, in generale, tendono a raggiungere altri paesi dell’Europa, dove esistono comunità di connazionali, e dove i legami familiari possono essere ricongiunti con facilità. Non sussistono fenomeni di razzismo o di ostilità, le scuole svolgono ruoli decisivi e i ragazzi e i giovani si integrano interagendo in maniera lodevole e positiva. Le differenze culturali, religiose, etniche se opportunamente apprezzate e conosciute sono di vicendevole arricchimento.

In generale come giudica l’anno appena trascorso con particolare riferimento all’area di competenza della Diocesi di Teggiano Policastro, luci ed ombre

L’anno che si chiude registra preoccupanti fenomeni legati alla precarietà sociale, economica, al ridimensionamento delle risorse. Molte delle nostre scuole hanno perso la dirigenza scolastica, alcuni servizi vanno condivisi tra due o più comuni, e se questo rientra in una logica di risparmio, non deve determinare il calo di attenzione alla formazione e ai servizi. La popolazione come del resto in tutta la nazione è sempre più anziana, crescono le richieste di sostegno e di supporti domiciliari. Non abbiamo ancora una rete di servizi che soddisfi questi bisogni. In questo clima cresce a dismisura una strutturale e patologica solitudine che è all’origine di molti mali sociali e di noti disagi. Si precipita in una rete di relazioni solo virtualmente subite, senza la concretezza di un incontro. Lo sbilanciamento squilibrato sui social ha determinato un’accresciuta acredine nei rapporti interpersonali, uno stile vendicativo di affermazioni e di giudizi che lacerano le comunità, le famiglie, la politica, e persino i legami più solidi.

Quale il ruolo della Chiesa?

R. Viviamo la stagione del cammino sinodale voluto con forza da Papa Francesco e accolto da tutti i vescovi italiani. Si tratta di ridare vigore ai nostri cammini di impegno cristiano nella società e nella chiesa. La sfida della formazione tocca il clero, gli operatori pastorali, e non deve coincidere con l’assunzione di un nuovo apparato concettuale e teoretico; non si tratta solo di Dottrina ma di nuova esperienza di chiesa. Una logica ecclesiale di servizio, di inclusione che supera le rivendicazioni, che resta in silenzio anche se non si sente sufficientemente considerata, che non chiude le porte ad alcuno, che non spegne il lucignolo fumante. Non possiamo essere ossessionati dai risultati delle nostre catechesi o delle nostre proposte pastorali; a noi spetta il compito di evangelizzare con lo stile del seminatore e prima o poi il bene rifiorisce. A noi non importa se non arrivano riconoscimenti, ciò che conta è servire. Bisogna farlo con gioia, entusiasmo, dedizione, rinnovamento, e con amore perché ciò che non si ama pesa! Le nostre comunità hanno una ricchezza di associazionismo, tradizioni, il valore aggiunto di identità territoriali propositive e fiduciose verso il futuro. Noi come chiesa vogliamo tessere una rete inclusiva e generativa e garante di un sostegno a tutto ciò che di bene germoglia. L’auspicio è che per il nuovo anno molto bene rinascerà.

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