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Un libro per ricordare Carmine Manzi, “il poeta della speranza”

Di Geppino D’Amico

“La Poesia prima di tutto. Settantacinque anni di Cultura nel mio Sud”: questo il titolo del libro postumo di Carmine Manzi, curato dai figli Andrea, Anna e Menita, e pubblicato dalle Edizioni dell’Ippogrifo nel decennale della scomparsa del poeta. È stato presentato a Salernonel Salone Bottiglieri della Provincia di Salerno per iniziativa dell’Associazione Persone e Territori, con il patrocinio della Provincia di Salerno e la collaborazione dell’Associazione AIIG Campania.  Una serata intensa, un pubblico attento e un libro postumo per ripercorrere la vita e l’opera di Carmine Manzi. Dopo i saluti di Franco Alfieri, Presidente della Provincia di Salerno, e del Sindaco della città, Vincenzo Napoli, sono seguiti gli applauditi interventi di Alfonso Andria e Alberto Granese, intervallati dalla lettura di alcuni brani del libro proposte da Pasquale De Cristofaro. L’incontro, coordinato dalla giornalista Erminia Pellecchia, si è concluso con l’intervento del giornalista e scrittore Andrea Manzi, figlio del poeta.

Carmine Manzi è stato un esponente di primo piano nel mondo della Cultura del nostro Paese. Nato a Mercato San Severino nel 1913 è scomparso nel 2012 dopo una vita dedicata alla famiglia e alla Cultura. Poeta, scrittore, giornalista, saggista e promotore culturale, nel 1940 fondò la rivista di lettere e arti “Fiorisce un cenacolo” e nel 1949 l’Accademia di Paestum per lo sviluppo delle lettere delle arti, dell’archeologia e del giornalismo. Una novità assoluta nel mondo della Cultura meridionale. Nel 1950 trasformò la casa di Mercato San Severino in un cenacolo culturale che definì “Eremo Italico” dove ospitò i più importanti esponenti della cultura. Autore di circa 150 pubblicazioni tra poesia, narrativa e saggistica, ha ricevuto per sette volte il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la massima onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica da parte del Capo dello Stato. È stato collaboratore ed editorialista di quotidiani anche stranieri.  Nel libro, che aveva ultimato poco prima della morte, Carmine Manzi racconta la sua avventura culturale che si identifica in modo particolare con l’attività dell’Accademia di Paestum.

La prima parte del volume propone il percorso del poeta “dietro le quinte e nelle pieghe del mio lungo viaggio artistico da solo e con l’Accademia di Paestum”. Un percorso fatto di ricordi (il primo libro, la nascita dell’Accademia di Paestum, i convegni, gli incontri culturali a Salerno, Napoli e Roma, i rapporti con la cultura argentina, discorsi e conversazioni e un lungo ed incisivo commento sul periodo che va dal dopoguerra al miracolo economico).  Non mancano significativi “dietro le quinte” della vita quotidiana dell’artista Manzi, che recuperano le gioie, gli affanni e la profonda umanità del poeta e dell’intellettuale che ha avuto un ruolo decisivo in ambito culturale negli anni della ricostruzione postbellica.

La seconda parte del volume è dedicata alla storia della “sua creatura”, l’Accademia di Paestum che fondò per contribuire allo sviluppo del Mezzogiorno e alla costruzione di reti intellettuali europee.  Di Carmine Manzi hanno parlato e scritto importanti critici e storici della letteratura tra i quali vanno ricordati Luigi Pumpo, Corrado Orza, Francesco d’Episcopo, Alberto Granese, Rino Mele, Luigi Reina. Tutti improntati a grande stima e considerazione i giudizi espressi da esponenti del mondo culturale. In particolare, Giorgio Bàrberi Squarotti ha scritto: “Mi sono abbeverato alla sua poesia luminosa e dolce, fra memoria, descrizione, riflessione: un discorso che è sempre di assoluta purezza lirica”.  Per Alberto Granese “Manzi affronta con grande padronanza una vasta gamma di tematiche morali, di problematiche esistenziali e sociali. La sua poesia è, quindi, non solo “voce del profondo”, ma soprattutto espressione di pathos e di ethos”. Di rilievo anche la testimonianza (“quasi una prefazione”) di Giuseppe Cacciatore, che definisce Carmine Manzi “poeta e intellettuale della speranza, ma di una speranza virile, non sdolcinata e romanticheggiante, di una speranza del non ancora vissuto e del non ancora pienamente dispiegato nel presente come nel passato, di una speranza che è anche ed essenzialmente, come dicevano i filosofi rinascimentali, docta spes, sapere di uomini per uomini, sapere che guarda alla vita con realismo ma anche con carezzevole struggente amore per le cose”.

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