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Valva, gli Internati Militari Italiani dopo l’8 settembre ’43 nei diari di Giovanni Milanese

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Sarà presentato domenica 10 settembre alle 18.00 a Valva, presso il Castello di Villa D’Ayala il libro “Frammenti di storia – Diario di prigionia 1943-1945” di Giovanni Milanese (a cura di Belinda Villanova) che ha firmato anche la prefazione. Interverranno: Enzo Todaro, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani; Pino Acocella, rettore dell’Università “Giustino Fortunato” e Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell’autore.

Pagine del libro e di altri toccanti racconti di prigionieri valvesi dell’epoca saranno lette da giovani del luogo. Al termine della importante iniziativa, promossa dal sindaco, Giuseppe Vuocolo, il volume per il suo alto valore simbolico sarà donato ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio, bandite dall’Amministrazione municipale “per gli studenti residenti nel territorio del comune di Valva”.

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Diario di Giovanni Milanese

“Frammenti di storia” è un diario in cui il compianto professionista salernitano volle raccogliere pensieri, emozioni e appunti vergati durante la sua travagliata prigionia. Giovanni Milanese, all’epoca sottotenente dell’esercito italiano a Rodi, fatto prigioniero il 15 settembre 1943.

Nato a Valva nel 1917, laureato in ingegneria all’università di Napoli, ha lasciato un diario che è una preziosa testimonianza degli avvenimenti vissuti prima a Rodi poi durante la prigionia nei campi nazisti. Un calvario che inizia in Polonia dal 14 novembre del 1943 al marzo del ’44 e continua in Germania dal 23 marzo del ’44 fino alla liberazione. 

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Giovanni Milanese

“Un diario -si legge nella prefazione di Belinda Villanova– può essere scritto per diverse ragioni: lasciare una testimonianza, avere un promemoria per poter rileggere -in un domani che si spera libero e vicino- le vicende vissute, fissare un appuntamento quotidiano che costituisca un momento di distrazione e dia un po’ di serenità.

È un diario di guerra e di prigionia scritto anche per il bisogno di sentirsi ancora un uomo, in un sistema che sembra organizzato per disumanizzare il prigioniero. È un diario sintetico: pochi riferimenti alla situazione politica, ma solo elementi essenziali, quali l’ora, la data e il luogo; e tante emozioni, sensazioni personali legate agli affetti per la mamma, per la fidanzata Michelina, per i parenti”.  

Come altre migliaia di giovani italiani deportati dai Tedeschi in Germania dopo l’8 settembre Giovanni Milanese viene classificato come IMI, una sigla tristemente nota che sta per Internati Militari Italiani. Così venivano classificati i prigionieri italiani non ebrei deportati e costretti a lavorare in fabbriche al servizio del regime nazista.

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Non mancano testimonianze su come venivano trattati nei campi di prigionia: vivevano ammassati in maxibaracche di legno, divise in due scompartimenti, ognuna delle quali poteva contenere fino a 600 persone.

Mangiavano malissimo e solo la domenica si potevano lavare utilizzando un lavandino per 300 internati. Per dormire c’erano dei cavalletti a tre piani. Alle 8 del mattino veniva distribuita acqua con tiglio e un pezzo di pane nero.

Alle 11,30 venivano consegnati i bidoni di minestra con brodo di rape, pane nero duro, alcune patate che delle volte risultavano essere marce. Le razioni in scatola venivano distribuite all’imbrunire e ogni scatola doveva bastare per dieci internati. Ovviamente, il cibo distribuito (a parte la pessima qualità) era del tutto insufficiente. Questa la loro giornata tipo.

Molti non riuscirono a superare quella barbarie e ci rimisero la vita. I più “fortunati”, tornati a casa, si sono assunti il compito di far conoscere le proprie vicende alle generazioni successive. Per Belinda Villanova “gli IMI rappresentano un’altra Resistenza; la loro scelta di non al fianco dei tedeschi viene pagata con la prigionia, con uno status che non li fa rientrare sotto la protezione della Convenzione di Ginevra”.

Anche a Giovanni Milanese possono riferirsi queste significative parole di un celebre internato italiano, Giovanni Guareschi: “Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente…sono un combattente senz’armi, e senz’armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo…Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano”.

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Giovanni Guareschi

Giovanni Milanese combatte a suo modo: ad esempio, rifiuta di andare a lavoro durante la prigionia.  La sua sensibilità lo spinge ad affidare alla carta di quadernetti improvvisati i suoi ricordi, i rimpianti, i sogni: “Questi quadernetti diventano compagni fedeli nei lunghi mesi di prigionia.

La prigionia ha messo a dura prova il fisico del soldato, ha scalfito il suo amor di patria (lo confessa candidamente), ma non ha cancellato minimamente l’affetto per la famiglia né la sua dignità di uomo e di soldato. Scrivere è anche un modo di combattere, forse.

Gli IMI rappresentano un’altra Resistenza: la loro scelta di non imbracciare il fucile al fianco dei tedeschi viene pagata con la prigionia, con uno status che non li fa rientrare sotto la protezione della Convenzione di Ginevra. Giovanni Milanese combatte a suo modo: ad esempio, rifiuta di andare a lavoro durante la prigionia: “Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  Malgrado tutto voglio resistere ancora. Voglio difendere fino all’ultimo il mio punto di vista”.

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La Famiglia Milanese nel 1956

La vicenda di Giovanni Milanese e dei tanti nostri giovani connazionali classificati IMI nel 1943 dimostra che il lavoro sulla memoria non è mai vano per cui è certamente apprezzabile la decisione del sindaco di Valva di fare dono ai giovani del diario di Giovanni Milanese.

La sua vicenda personale non è finita nei libri di storia ma a distanza di 80 anni assume il valore di una preziosa testimonianza che non va dimenticata perché mai come oggi ha il valore di un monito da tenere nella dovuta considerazione. E la testimonianza che ci ha lasciato Giovanni Milanese con il suo “Diario di guerra di prigionia” è di straordinario valore.

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