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Con-Tatto – L’inferno delle Foibe, una tragedia frutto della violenza degli uomini

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Siamo partiti in un giorno di pioggia, cacciati via dalla nostra terra, che un tempo si chiamava Italia, e uscì sconfitta dalla guerra, hanno scambiato le nostre radici, con un futuro di scarpe strette, e mi ricordo faceva freddo l’inverno del quarantasette“. Sono i primi versi di “Magazzino 18” la canzone che Simone Cristicchi ha dedicato alla tragedia delle Foibeche l’Italia ricorda il 10 febbraio.

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Quella delle “Foibe” è la storia di un dramma per circa 300.000 italiani costretti a lasciare le proprie case dalla sera alla mattina; una tragedia per 12.000 persone di ogni età (in maggior parte Italiani ma anche Croati e Sloveni): legate a gruppi e scaraventate vive o morte nelle foibe, fosse di origine naturale carsiche. I più fortunati (sic!) vennero deportati in Jugoslavia.

Una tragedia che si consumò in più “atti”. Dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 esplode la prima ondata di violenza. In Istria e in Dalmazia i partigiani slavi di Tito decidono di vendicarsi contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Successivamente, nella primavera del 1945 la violenza aumenta quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani.A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini indistintamente. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli Istriani e dei Dalmati non finisce perché solo in epoca recente è iniziata l’elaborazione del dramma delle foibe, una delle pagine più angoscianti della storia italiana e non solo. La vicenda assume maggiore drammaticità se si considera che l’epurazione, disposta da Tito, fu attuata quando la seconda guerra mondiale era ormai finita.

Nella storia delle Foibe va ricordata la vicenda di Giuseppe Morello, originario di Teggiano, giovanissimo appuntato di polizia in servizio a Monfalcone. L’ufficialità della sua scomparsa si è avuta solo nel 2006 quando la Repubblica di Slovenia inviò al Governo italiano una lista contenente le generalità di 1008 infoibati, tra i quali risultò esserci anche il suo nome. La Presidenza della Repubblica gli ha conferito la medaglia d’oro alla Memoria; il comune di Teggiano lo ha ricordato il 10 febbraio del 2020 intitolandogli la piazzetta antistante il Convento della SS. Pietà.

Per anni alle foibe non è stato attribuito il dovuto rilievo; sono state “parcheggiate” nell’oblio perché, in passato, rischiavano di incrinare i rapporti di vicinato con la Jugoslavia di Tito; in epoca più recente perché generatrici di imbarazzo politico. Non sono mancati tentativi di negazionismo.

La storia, però, non si cancella e le esperienze dolorose sofferte dalle popolazioni Giuliano-Dalmate non si dimenticano. Per commemorare le vittime dei massacri delle foibe nel 2004 è stato istituito con apposita legge nazionale il “Giorno del Ricordo” da celebrare ogni anno il 10 febbraio. 

Per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “le Foibe furono una sciagura nazionale alla quale non fu attribuito, per superficialità o calcolo, il giusto rilievo. Per troppo tempo le sofferenze patite dagli Italiani Giuliano-Dalmati hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia. Il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo, di tutti coloro che al confine orientale dovettero pagare i costi umani più alti agli orrori della seconda guerra mondiale e al suo prolungamento nella persecuzione, nel nazionalismo violento, nel totalitarismo oppressivo. È un impegno di civiltà conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli istriani, dei fiumani, dei dalmati e degli altri italiani che avevano radici in quelle terre, così ricche di cultura e storia e così macchiate di sangue innocente. I sopravvissuti e gli esuli, insieme alle loro famiglie, hanno tardato a veder riconosciuta la verità delle loro sofferenze. Una ferita che si è aggiunta alle altre”.

È questo in sintesi il pensiero espresso più volte dal nostro Presidente. Il suo impegno non va sottaciuto. Non dimentichiamo l’incontro di riconciliazione del 13 luglio del 2020 del presidente Mattarella con il presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, mano nella mano presso la Foiba di Basovizza e poi a Trieste presso il monumento ai Caduti Sloveni. Nonostante esista e ancora resista una sacca di negazionismo, fortunatamente sempre più ridotta, è opinione diffusa che il “Giorno del Ricordo” non sia nato in opposizione alla “Giornata della Memoria” che si celebra il 27 gennaio: la Shoah indica l’unicità di una tragedia senza paragoni; le Foibe sono un abisso, la voragine dell’inebetimento umano.

Sarebbe bello se si potesse arrivare ad un’unica giornata celebrativa in memoria delle vittime della Shoah e delle Foibe. Per ora è un sogno. Ma a volte i sogni si avverano. La speranza è che possa avverarsi in tempi brevi. È un sogno? Forse, ma “chi sogna arriva prima di chi pensa”: lo ha ricordato anche Roberto Benigni commentando l’articolo 21 della Costituzione Italiana aprendo la prima giornata di Sanremo alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ci piace pensare che l’unificazione delle due manifestazioni (quella della Shoah e quella delle Foibe) sia anche il sogno del nostro Presidente. Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile. Una giornata del ricordo unica sarebbe il modo migliore per tramandare alle generazioni future due pagine drammatiche della nostra storia. Per non dimenticarle.

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