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Parla Khadim Gueye, il neo-cittadino di Padula: “Mi sento italiano da sempre”

di Erminio Cioffi

“Ne sono fiero, io sono un italiano, un italiano vero” il ritornello della celebre canzone di Toto Cutugno è la sintesi perfetta della storia di Khadim Gueye, un giovane di 18 anni, figlio di genitori di nazionalità Senegalese, ma nato in Italia, all’ospedale di Polla nel 2004, e qualche giorno fa diventato cittadino italiano dopo essere diventato maggiorenne.

Da anni, dopo essere stato prima a Sassano, Teggiano e Montesano, Khadim vive a Padula con la madre dove si è perfettamente integrato grazie anche al supporto ricevuto dalla Caritas Diocesana, da don Vincenzo Federico e da tante persone che nel corso degli anni lo hanno affiancato nel suo percorso di vita e lui ha saputo ripagare l’amore ricevuto con altrettanto amore e gratitudine.

“Non ho mai avuto dubbi su quale cittadinanza prendere – racconta in un perfetto italiano con qualche capatina nel dialetto padulese – da sempre mi sento italiano e sono orgoglioso di esserlo. Amo Padula, dove vivo, ma amo tutto il Vallo di Diano e la sua gente, qui ho trovato tanto amore e non mi sono mai sentito solo, io sono nato in questa terra, ed è qui che ho mosso anche, letteralmente, i primi passi dopo la nascita e non la lascerei per nulla al mondo”.

I genitori di Khadim sono arrivati in Italia nel 2003 in aereo dopo aver ottenuto un regolare visto, una volta nel Belpaese la madre ha scoperto di essere incinta e dopo qualche mese è nato Khadim, nel frattempo il padre, che svolgeva l’attività di commerciante, era tornato in Senegal. In Italia la giovane futura mamma è stata aiutata dalla Caritas e nel frattempo lavorava anche come commerciante ambulante, Khadim dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo si è iscritto all’istituto alberghiero ed ora sta completando il percorso di studi da privatista.

“Don Vincenzo Federico – continua nel suo racconto il neocittadino italiano – è stato sempre vicino a me ed a mia madre e gli sarò per sempre grato perché grazie a lui e al supporto di tante altre persone, tra queste la mia maestra Amalia, una famiglia di Teggiano ed Antonella Lombardi, non siamo mai stati mai soli ed abbiamo sempre affrontato e superato tutte le difficoltà. Mamma mi portava con lei quando andava a vendere nei mercati, è stata dura in alcuni momenti ma ce l’abbiamo sempre fatta grazie alle tante persone che ci sono state sempre vicine in questi anni e continuano a farlo. Il mio sogno ora è quello di trovare un lavoro stabile dopo gli studi”.

Khadim, nel 2017 ha perso il papà, scomparso prematuramente a causa di una malattia, e due anni dopo ha vissuto anche una separazione forzata dalla madre a causa del Covid: la madre era andata in Senegal prima che scoppiasse la pandemia e quando sarebbe dovuta tornare per un anno non è riuscita a trovare un volo che la riportasse in Italia. In questi anni sta cercando di combattere con le parole chi mette in atto azioni discriminatorie nei confronti degli immigrati: “Quando ho la possibilità di farlo, cerco di spiegare alle persone che chi arriva in Italia dopo aver fatto una traversata in mare su un gommone rischiando la vita, lo fa non per venire in Italia a fare il delinquente, ma perché scappa dalla povertà, da una guerra civile che quasi sempre è costata la vita a tanti suoi familiari, lo fa solo perché sogna una vita migliore, come tanti italiani hanno fatto nel secolo scorso quando sono emigrati in America. Siamo tutti uguali, siamo tutti esseri umani, i buoni e i cattivi sono ovunque a prescindere dal colore della pelle”.

La storia di Khadim è una grande lezione di civiltà intrisa di amore per il Paese dove è stato messo al mondo, quel Paese dove chi ritiene di non sentirsi italiano, prendendo in prestito le parole di Giorgio Gaber, dovrebbe gridare ad alta voce: “ma per fortuna, purtroppo, lo sono”.

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