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A Sicignano degli Alburni celebrato il Giorno della Memoria: 85 anni fa le leggi razziali che misero al bando gli Ebrei

Celebrato a Sicignano degli Alburni il “Giorno della Memoria“. La manifestazione è stata organizzata dal Comune di Sicignano, dall’Istituto Comprensivo di Sicignano, e dall’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci che ha una proprio sede nel paese coordinata da Vito Antonio Capece. I lavori sono stati coordinati dalla giornalista de Il Mattino, Margherita Siani.

Dopo i saluti del sindaco di Sicignano, Giacomo Orco; di Petina, Mimmo D’Amato, e del vice sindaco di Postiglione, Pasquale Caputo hanno tenuto relazioni Carmine Carlone, Geppino D’Amico, Germano Di Marco, Felice Pastore. A conclusione dei lavori l’intervento del presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, Antonio Landi. La celebrazione del Giorno della Memoria assume quest’anno una valenza particolare per due motivi: ricorre il 75esimo anniversario della nostra Costituzione, ma anche l’85esimo delle leggi razziali, argomento che è stato trattato da Geppino D’Amico. Di seguito ne pubblichiamo alcuni stralci.

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Di Geppino Giuseppe D’Amico

Le leggi razziale furono approvate il 17 novembre 1938 con il Regio Decreto Legge n. 1728, recante Provvedimenti per la difesa della razza italiana, le leggi razziali imponevano misure discriminatorie nei confronti degli Ebrei. Furono approvati all’unanimità dalla Camera e a larghissima maggioranza dal Senato e controfirmati dal re Vittorio Emanuele III.

Quella delle leggi razziali è una delle pagine più drammatiche della nostra storia. Con la legislazione antiebraica, introdotta per la prima volta nella storia dell’Italia unita, una parte di cittadini veniva identificata sulla base di fantomatiche caratteristiche. Fu la rottura del patto di eguale cittadinanza stretto nel corso del Risorgimento. Una ferita che si espresse anche nella violenza e nella radicalità della normativa che definì le proprie vittime non come Ebrei, intese cioè come persone con determinate caratteristiche religiose, culturali o socio-identitarie, bensì come appartenenti alla “razza ebraica”, quasi fossero portatori di ineliminabili elementi ereditari. Ebrei che in un colpo solo vennero privati dei loro diritti.

Con il Regio Decreto 1728 il regime fascista mira a togliere i beni materiali alle famiglie ebraiche più facoltose e ad imporre norme che è poco definire antidemocratiche. Inoltre, gli Ebrei sono costretti a registrarsi in elenchi speciali; vengono esclusi dal servizio militare e non possono più fare molte delle cose che facevano prima; sposarsi con cittadini di razza ariana; essere tutori o curatori di minori non ebrei; avere domestici di razza ariana; avere la proprietà o la gestione di aziende interessanti la difesa della Nazione; essere proprietari, gestori o amministratori di aziende con oltre 100 dipendenti; avere la proprietà di terreni dall’estimo superiore alle 5.000 lire e di fabbricati dall’estimo superiore alle 20.000 lire.

Anche sul lavoro le discriminazioni sono pesanti. Gli ebrei non possono più essere dipendenti delle amministrazioni civili e militari dello Stato, del Partito Nazionale Fascista, degli enti pubblici locali, delle aziende municipalizzate, degli enti parastatali, delle banche di interesse nazionale e delle assicurazioni. Soltanto poche persone di “razza ebraica” (naturalmente, la definizione non è mia) non vengono colpite da questi provvedimenti. Ne sono esentati i combattenti che hanno ottenuto riconoscimenti al valore nelle guerre del Novecento italiano e i parenti dei caduti; gli iscritti al Partito Fascista prima della marcia su Roma e nel secondo semestre del 1924.

In Italia le leggi razziali non arrivano all’improvviso. Da tempo il regime fascista porta avanti iniziative improntate al razzismo, sia per sostenere l’espansione coloniale, sia per scaricare le responsabilità dei fallimenti su alcuni capri espiatori. Secondo alcuni storici la politica di adottare le leggi razziali non dipende soltanto dal consolidamento dell’alleanza con la Germania nazista e quindi dalla necessità di Mussolini di assecondare Hitler che in Germania aveva introdotto le leggi razziali di Norimberga il 15 settembre del 1935, anche se iniziative restrittive nei confronti degli Ebrei per evitare degenerazioni razziali risalgono al 1933.  Ma come si arriva al Regio decreto che portò con sé sanzioni, obblighi, espulsioni, privazioni, fino all’internamento e alla deportazione degli Ebrei?

Il fascismo delle origini fa leva sul mito della Grande Guerra. Gli squadristi esaltano la violenza e si richiamano agli Arditi, che partivano all’assalto delle trincee austro-ungariche. I loro nemici sono i pacifisti, i socialisti e tutti quei popoli che ai loro occhi ostacolano la nascita della Grande Italia.

La condanna e la denigrazione del “diverso” caratterizzano anche i rapporti tra l’Italia fascista e le colonie africane. Questo atteggiamento emerge chiaramente fra l’autunno del 1935 e la primavera del 1936, quandoil Regio Esercito italiano aggredisce l’Etiopia. Il regime sostiene di dover portare la civiltà a un popolo arretrato, nascondendo così le reali motivazioni di quella campagna militare, finalizzata alla conquista e allo sfruttamento delle risorse etiopi. L’aggressione dell’Etiopia e l’intervento a sostegno dei franchisti nella guerra civile spagnola allontanano l’Italia dalle potenze occidentali. Mussolini si avvicina così alla Germania nazista, che già nel 1935 ha varato le leggi di Norimberga. Fra il 1936 e il 1938 Mussolini e Hitler stipulano un’alleanza, l’Asse Roma-Berlino, che si trasforma poi nel Patto d’Acciaio tra le principali dittature europee di matrice fascista.

A partire dal 1938, anche in Italia, il regime estende e rafforza la propria politica razziale. Evidentemente Mussolini ritiene di poter compattare la nazione stimolando l’odio contro un nuovo nemico, l’ebreo, sfruttando le armi già provate nei confronti degli africani e degli slavi. L’ideologia fascista arriva dunque a includere pienamente l’antisemitismo nel proprio programma. Nell’estate del 1938 cominciano le pubblicazioni de La difesa della razza, una rivista che anticipa propagandisticamente i provvedimenti legislativi dell’autunno successivo. Quando, sempre nel 1938, dopo l’alleanza stretta tra Mussolini e Hitler, si arriva all’introduzione della legislazione antiebraica si registra un peggioramento delle relazioni con la Santa Sede, che inizia a stabilire contatti con i gruppi dell’antifascismo, inclusi i comunisti. A diffondere le nuove parole d’ordine in tutto il Paese fu il Manifesto degli scienziati razzisti redatto dal filosofo Giovanni Gentile e sottoscritto da 250 intellettuali e uomini di cultura Luigi Pirandello, Tommaso Marinetti, Gabriele D’Annunzio, e Giuseppe Ungaretti. La rispostaal Manifesto degli intellettuali fascisti non tardò ad arrivare: il 1° maggio 1925 attraverso il Manifesto degli intellettuali antifascisti, scritto da Benedetto Croce e pubblicato sui quotidiani Il Mondo e il Popolo.Fu Giovanni Amendola, giornalista e accademico italiano, che, rivendicando il diritto di parlare e il dovere di rispondere spinse Croce a redigere l’importante documento.

Con l’entrata in vigore delle leggi razziali in Italia, per gli ebrei della penisola comincia una fase storica: dalle “persecuzione dei diritti” si passa alla “persecuzione delle vite”. Si passa alla deportazione e prepara il campo allo sterminio. Mentre nella società circolano teorie del complotto giudaico e discorsi carichi di odio, la maggior parte della popolazione rimane indifferente. Molti mostrano infatti disinteresse nei confronti degli ebrei e delle loro sorti. Credo sia giusto concludere ricordando la frase di Anna Frank: “Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo”. Impedirlo, oggi tocca a noi; domani toccherà a voi.

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