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Il 5 settembre di 163 anni fa l’ingresso trionfale di Giuseppe Garibaldi a Sala Consilina. Poi gli applausi del popolo anche ad Atena e Polla

Di Giuseppe Geppino D’Amico – In copertina: Garibaldi a Polla (disegno di Adriano Romano)

Centosessantatre anni fa, il 5 settembre del 1860, dopo avere fatto tappa presso la taverna del Fortino, Giuseppe Garibaldi, accompagnato da Giovanni Matina, entrava in Sala (il toponimo Consilina sarà aggiunto nel 1862) accolto dalla popolazione festante. Dopo un pranzo frugale a Palazzo De Petrinis e qualche ora di riposo, nel pomeriggio dello stesso giorno Garibaldi si rimise in marcia per raggiungere Auletta; nei pressi del bivio di Atena incontrò un nutrito gruppo di santersenesi tra cui il sacerdote don Domenico Pessolano il quale, avvicinandosi al condottiero, gli gridò: “Angelo di Dio, fermati che il popolo vuole salutarti”.E quando il generale gli chiese“Voi chi siete?” il prete rispose:“Sono Domenico Pessolano di Sant’Arsenio, amante della libertà che Voi ci portate”. Può sembrare una testimonianza romanzata ma merita di essere ricordata in quanto Garibaldi, pur essendo massone e, pertanto, notoriamente anticlericale, non esitò ad abbracciare il sacerdote tra gli applausi della folla festante. Il prete di Sant’Arsenio non fu l’unico religioso a nutrire simpatie nei confronti del Generale il quale, giunto a Polla, trovò altra gente sul suo cammino. In località Madonna di Loreto Garibaldi trovò ad attenderlo altre persone di ogni età. Qui il generale prese in braccio il piccolo Luigi Del Bagno che da quel momento sarà conosciuto, unitamente ai suoi familiari con il soprannome di Garibaldi. Quest’ultimo episodio certamente non si trova sui libri di scuola ma è giunto a me attraverso la tradizione orale: fa parte della storia di famiglia in quanto Luigi Del Bagno era il padre della mia nonna paterna, Maria Giuseppa Del Bagno.

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Giuseppe Garibaldi

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Il Vallo di Diano ha dato un contributo particolarmente incisivo e propositivo per l’Unità d’Italia già negli anni precedenti il 1860: uomini come Giuseppe Bufano e Francesco Galloppo di Polla, Giuseppe Maria Pessolani di Atena Lucana, Giuseppe D’Andrea e Carlo Mele di Sant’Arsenio, Vincenzo Padula e Antonio Santelmo di Padula, Giovanni Matina e Vincenzo Dono di Teggiano, Giovanni de Laurentiis di Sassano ed altri ancora hanno contribuito a scrivere pagine importanti del Risorgimento.  I più decisi avversari alla dinastia borbonica appartenevano ai ceti popolari in quanto non tutta la borghesia, soprattutto quella terriera, che pure avrebbe dovuto e potuto svolgere un ruolo guida, pensando di tutelare i propri interessi, partecipò attivamente alla lotta politica preferendo mantenere un atteggiamento di attesa abdicando in tal modo al compito di classe dirigente. Salvo, poi, intervenire quando le cose avrebbero cominciato a girare per il verso giusto.  A fianco del popolo si schierarono i borghesi più evoluti e colti per cui, con queste premesse, il Vallo di Diano non poteva essere ostile a Garibaldi; anzi, furono in molti i nostri conterranei che lo seguirono. Tra le camicie rosse di Garibaldi imbarcate a Quarto vi erano tre cittadini del Vallo di Diano: Giuseppe Maria Pessolanidi Atena Lucana, ed i padulesi Antonio Santelmoe Vincenzo Padula che, purtroppo, trovò la morte a Milazzo, in Sicilia, a seguito dei postumi di una grave ferita riportata durante il combattimento di Calatafimi. Da parte sua, Giovanni Matina, il quale aveva aderito al Comitato d’Azione, fu il principale promotore dell’insurrezione nella provincia di Salerno divenendone ben presto anche il capo morale. Il 23 agosto fu nominato Alto Commissario politico e civile nei distretti di Salerno, Sala e Campagna mentre nel distretto di Vallo l’incarico veniva affidato a Lucio Magnoni.

A Giovanni Matina furono dati poteri enormi; infatti, il documento di nomina parla di “imperio assoluto, in talune emergenze, anche sul potere militare; ed avrà il potere di nominare altri impiegati civili. Egli corrisponderà direttamente col Comitato Unitario di Napoli”. Il 27 agosto, prima di raggiungere Sala, Giovanni Matina si portò a Sant’Angelo a Fasanella dove proclamò “la fine del regno dei Borbone”; il 30 di agosto, mentre Garibaldi proseguiva la sua marcia senza incontrare ostacoli, assecondato da un gruppo di fedelissimi, tra i quali il modeneseLuigi Fabrizi, diede il via all’insurrezione a Sala dove furono concentrati tremila insorti provenienti da tutto il Vallo di Diano. Alla guida degli insorti confluiti a Sala troviamo Carusodi Auletta, Costa di Sant’Arsenio,De Benedictis di Monte San Giacomo e Pessolani di Atena Lucana, nonché i capitani della Guardia Nazionale Giuseppe De Petrinis di Sala e Antonio Carranodi Diano. Il Fabrizi divise la nutrita colonna in due battaglioni affidandoli, rispettivamente, a Lorenzo Curzio perché presidiasse il ponte di Campestrino (tra Polla e Pertosa) ed a Francesco Galloppo per il controllo del territorio nei pressi della Certosa di San Lorenzo. Il 31 di agosto anche il sindaco di Sala, Michelarcangelo Bove, aderiva al Governo provvisorio per Vittorio Emanuele composto da Giovanni Matina, don Pasquale De Honestis di Diano, don Domenico Falcone di Sala, don Luigi Trezza di Diano, don Arcangelo Ferri di Sassano e Michele De Meo di Diano. Nella Chiesa di San Pietro Apostolo fu cantato il Te Deum. Una funzione che in quei giorni verrà ripetuta in moltissimi paesi. La scintilla si estese ben presto a tutta la provincia ad eccezione della città capoluogo che rimase ancora per pochi giorni sotto il controllo delle truppe borboniche. Nello stesso giorno, dopo avere assunto il ruolo di prodittatore della provincia di Salerno, Matina provvide a nominare il Fabrizi capo militare dell’insurrezione conferendogli il grado di colonnello mentre Antonio Alfieri d’Evandro fu nominato segretario. Giunte insurrezionali furono create in tutti i comuni. Quindi, Matina telegrafò a Garibaldi ritenendo utile unirsi a lui ma il Generale gli fece sapere che era più opportuno organizzare la rivoluzione in loco.  Poco prima dell’arrivo di Garibaldi nel Vallo di Diano il colonnello Fabrizi nominò capo di stato maggiore Lorenzo Curzio di Sant’Angelo a Fasanella mentre l’Alfieri d’Evandro fu nominato delegato civile e militare del distretto di Sala Consilina da Giovanni Matina.

Non va dimenticato il ruolo svolto dal “Battaglione del Tanagro” comandato da Francesco Galloppo. Comprendeva 85 pollesi, tutti volontari ed armati, ed altri uomini reclutati nei paesi vicini per un totale di 250 volontari. Con il Galloppo, che assunse il comando con il grado di capitano, c’erano anche alcuni patrioti del 1848 tra i quali Amabile Curzio, Giovanni Bracco e Raffaele Isoldi. Tra coloro i quali si unirono a Garibaldi quando giunse nel Vallo di Diano troviamo anche il farmacista di Sassano Giovanni de Laurentiis.

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Francesco Galloppo

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All’indomani del 150° anniversario dell’Unità d’Italia non sono mancati (e non mancano) coloro i quali contestavano l’utilità dell’unificazione e vorrebbero ri-dividere il Paese. Per fortuna non tutti la pensano così. Riportiamo in proposito l’opinione del Magnifico Rettore (Emerito) dell’Università di Napoli, Fulvio Tessitore, che in occasione del 150esimo dell’Unità così scriveva: “È davvero incredibile, dinanzi ad una grave crisi morale, sociale, culturale, politica quale quella che stiamo vivendo, che qui si stia ancora a rimpiangere il Regno delle Due Sicilie e a invocare dati che tutti gli studiosi di storia conoscono ma che non cambiano il giudizio della storia. Io sono contro il leghismo padano, becero incolto razzista, perché sono sempre stato e sarò contro ogni Lega del Sud. Io resto fermo con Croce, “alla mia Napoli, che –scriveva Croce – non ha chiesto né vagheggiato autonomie e separatismi, religiosamente fedele a quell’idea dell’unità nazionale che i suoi uomini del 1799 propugnarono tra i primi” e che, anche quando fu di fatto separata, come in occasione di un altro tradimento monarchico, “all’Italia di continuo pensò, anelando di tornare tutt’uno con Lei”.

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Garibaldi a Polla – Disegno di Adriano Romano

Anche se il Sud ha pagato un prezzo altissimo all’unità, nel 1860 l’Italia fu fatta perché prima di essere uno Stato fu una Nazione, e prima di essere una Nazione era, ed è, una civiltà per cui è lecito chiedersi: a cosa ed a chi servirebbe disfarla? Piuttosto che arroccarsi su posizioni ostinatamente e diametralmente opposte (davvero si può sostenere che si stava meglio durante il regno borbonico?) credo che tutti dovremmo fare una riflessione sulla constatazione che si sta pericolosamente perdendo il senso dell’unità dell’Italia perdendo, però, l’idea e la convinzione profonda che la Nazione tutta debba mirare allo sviluppo omogeneo, sociale ed economico insieme. Credo sia questa l’unità da invocare. L’identità italiana esiste ed è forte; quindi, né settentrionali, né meridionali ma, fortunatamente, semplicemente Italiani.

Giuseppe Garibaldi a Sala Consilina

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