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Nel nuovo libro di Renato Cantore la devozione degli Italiani di Harlem alla Madonna del Carmelo dei Pollesi

By Giuseppe Geppino D’Amico

Conoscitore profondo e studioso attento del fenomeno migratorio italiano oltreoceano, Renato Cantore torna nelle librerie con “HARLEM, ITALIA – Covello e Marcantonio, due visionari nel ghetto dei migranti”, pubblicato da Rubbettino. Giornalista Rai di lungo corso, scrittore e autore di testi per programmi radiofonici e televisivi, nel corso degli anni ha collaborato con diverse testate nazionali e, in particolare, con Enzo Biagi nelle redazioni romana e milanese di “Linea diretta”. Nel 1999 viene nominato caporedattore del TGR Basilicata, incarico che ricopre per oltre dieci anni. Al giornalismo ha affiancato la ricerca storica ottenendo anche in questo campo ottimi risultati con i volumi “Lucani altrove, un popolo con la valigia” (Memori 2007, Premio Basilicata); ”La tigre e la luna” (Rai Eri 2009, storia di Rocco Petrone, un italiano di Sasso di Castalda che non voleva passare alla storia); “Il castello sull’Hudson, Charles Paterno e il sogno americano” (Rubbettino 2012) tradotto anche in inglese; “Dalla terra alla luna, Rocco Petrone, l’Italiano dell’Apollo 11” (Rubbettino 2019).

Con “Harlem, Italia” Renato Cantore ricostruisce con la necessaria acribia le vicende di Leonard Covello e Vito Marcantonio, altri due lucani che hanno lasciato il segno negli Stati Uniti.  La loro storia inizia, sia pure con modalità diverse, in due minuscoli paesi della Basilicata, prosegue oltreoceano.

Vito Antony Marcantonio era nato nel dicembre del 1902 a New York da genitori originari di Picerno. Leonardo Coviello era invece nato ad Avigliano, 9 anni raggiunse insieme alla madre e ai fratellini il padre Pietro, calzolaio, che aveva lasciato l’Italia nel 1891 quando il piccolo aveva 4 anni. Ad Avigliano era per tutti “Narduccio”, in America divenne prima Leonard Covello, poi Leo.  Rispetto a tanti altri obbligati a rimanere ad Harlem, la storia di Leo e Marc (così viene chiamato Vito) è diversa perché, pur avendone la possibilità, decidono di non lasciare quel ghetto di migranti meridionali. Il loro sogno americano si può sintetizzare con poche parole che acquistano il valore di uno slogan: “Non salvarsi da soli, ma crescere insieme alla comunità”. Questo perché i due si rendono conto che solo con l’istruzione i nostri connazionali possono emergere nella terra da loro scelta con la speranza di un futuro migliore. In quel quartiere abitato principalmente dai nostri migranti nasce e cresce la loro amicizia, lì si consolida il loro progetto visionario di cambiare il verso della storia guardando al popolo di Harlem non come a un imbarazzante fardello di cui liberarsi o una semplice riserva di voti, ma come a una comunità da accompagnare verso un futuro migliore. Leonard Covello si afferma come educatore e sociologo grazie alla bravura e alla perseveranza negli studi: entrato al College grazie ad una borsa di studio ottenuta per meriti scolastici e sportivi, accede alla Columbia University, inizia la carriera di scrittore e pubblica i primi romanzi. Tra i primi figli di migranti laureato alla Columbia, Covello è il pioniere dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole americane, studioso appassionato della condizione delle famiglie degli italiani in America, artefice della nascita della Benjamin Franklin High School, prima scuola superiore in un quartiere di migranti di cui sarà preside per ventidue anni.

Vito Marcantonio, uno dei suoi primi allievi, sfonda nell’avvocatura e nella politica, suo pane quotidiano fin da giovanissimo: a 17 anni guida la lotta degli inquilini contro i proprietari degli alloggi che avevano aumentato i fitti oltre misura. Inizia così la sua battaglia per i diritti dei migranti, il lavoro, la lotta alla povertà e altre battaglie sociali che lo rendono molto popolare specialmente tra i connazionali. Proprio grazie all’impegno di Leo e Marc nel 1922 la lingua italiana viene equiparata alle altre lingue che si studiavano negli USA. Sempre grazie a Leo, Vito conosce Fiorello La Guardia (originario di Cerignola) che lo inserisce nel suo team. Diventa uno dei suoi più stretti collaboratori e quando La Guardia viene eletto sindaco di New York, Vito ne prende il posto in Congresso a soli 32 anni. Il legame che sa creare con la gente va oltre la politica, e per questo riesce ad essere eletto per sette volte nonostante le sue idee radicali e la militanza nell’American Labour Party, minoritaria formazione di sinistra. Nonostante un breve declino causato dall’accusa di essere un infiltrato della propaganda comunista, nel 1941 Marc riesce a tornare nel Congresso. Purtroppo, la morte lo coglie a soli 51 anni, nel pieno del successo politico.

“Harlem, Italia” è un libro da leggere perché consente di riflettere su diversi argomenti. Al lettore non offre soltanto la storia di due italiani che ce l’hanno fatta; c’è molto altro perché l’Autore ricostruisce anche alcune vicissitudini di coloro i quali, sbarcati oltreoceano, non hanno trovato l’accoglienza e il mondo migliore che avevano sognato. Ci sono anche storie tristi che inducono alla riflessione in un periodo, qual è quello attuale, in cui l’Italia da paese di emigrati è diventato un paese di immigrati le cui storie sono troppo simili a quelle dei nostri connazionali che hanno lasciato il paese in epoca remota sperando in un futuro migliore.

Oggi, purtroppo, simili notizie fanno parte della quotidianità: cambiano i protagonisti ma il tema è lo stesso. Spesso, ora come allora, per i migranti il viaggio della speranza si trasforma in tragedia. Ed è quello che, purtroppo, succede da alcuni decenni: Lampedusa ha preso il posto della baia di New York dove il 16 dicembre 1880 le autorità statunitensi diedero l’ordine tassativo di non far sbarcare nessuno (“Fermate quelle navi”) compreso l’equipaggio, perché a bordo si erano verificati due casi di vaiolo (un ragazzo di 17 anni e una donna di 44).  Il piroscafo era norvegese ma a bordo aveva un carico completamente italiano: 750 persone imbarcate a Napoli e Palermo, pur potendo ospitare non più di 300 passeggeri. Il cronista del New York Times -scrive Cantore in apertura del volume- andò giù duro per raccontare di quella strana umanità, povera ma non disperata, che affollava la terza classe del piroscafo: “Feccia, sporca, miserabile, scansafatiche, ignorante e criminale” furono le parole usate. Parole che dovrebbero far riflettere anche ora.

C’è, però, un altro argomento che Renato Cantore ricostruisce con particolare attenzione e dovizia di particolari: la devozione per la Madonna del Carmelo dei Pollesi prima e di tutti gli Italiani di Harlem in seguito, a cui è dedicato il capitolo “Nostra Signora della 115ma strada”. Afferma l’autore: “La Madonna arrivò da queste parti con i primi migranti: ha viaggiato insieme a loro in terza classe, ha sempre vissuto nel quartiere e ha condiviso la loro vita, a cominciare dalla povertà e dall’ostracismo dei primi anni. Quando gli italiani erano relegati negli scantinati delle chiese, perché motivo di imbarazzo e vergogna per la gerarchia cattolica, rimase accanto a loro. E prese il posto che le spettava sull’altare maggiore solo quando gli italiani divennero protagonisti della vita politica, sociale e culturale, la loro lingua si insegnava nelle scuole, concorrevano ad eleggere il Sindaco di New York, e i leader della comunità conquistavano posti di prestigio nelle istituzioni”.

Di questa storia parleremo approfonditamente nel consueto intervento video del sabato del format Con-Tatto. In particolare ci occuperemo dello straordinario rapporto tra i migranti e le loro radici, sul filo della memoria e del culto della Madonna del Carmine, orgoglio della comunità pollese a New York perché la Chiesa della 115ma strada fu non soltanto un luogo di culto ma anche un centro di servizio sociale per i nostri connazionali che arrivavano a New York sprovvisti di tutto.

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