Nel 2024, il Mezzogiorno cresce per il secondo anno consecutivo più della media del Centro-Nord: +0,9% contro +0,7%. Si riduce tuttavia sensibilmente lo scarto di crescita favorevole al Sud rispetto al 2023, quando il Pil del Sud era cresciuto quasi un punto percentuale sopra la media del Centro-Nord. La crescita più sostenuta del Mezzogiorno è dovuta a una più robusta dinamica degli investimenti in costruzioni (+4,9% contro il 2,7% del resto del Paese) trainati dalla spesa in opere pubbliche del Pnrr. I consumi delle famiglie tornano, invece, in negativo nel 2024 (-0,1% contro +0,3% nel Centro-Nord), frenati dalla crescita dimezzata del reddito disponibile delle famiglie rispetto all’anno scorso (+2,3% nel 2024 contro il +4,5% del 2023) e da una dinamica dei prezzi in rallentamento, ma lievemente più sostenuta rispetto al resto del Paese.
A politiche invariate, il 2025 rappresenta un anno di passaggio verso differenziali territoriali di crescita guidati da fattori strutturali sfavorevoli al Sud, a causa del rientro dalle politiche di stimolo agli investimenti privati e di sostegno ai redditi delle famiglie, solo parzialmente compensati dall’impatto positivo degli investimenti del Pnrr. Dal prossimo anno, la Svimez evidenzia i rischi di un ritorno alla “normalità” di una crescita più stentata al Sud rispetto al resto del Paese: nel 2025 il Mezzogiorno tornerà a crescere meno del Centro-Nord (+0,7% contro +1,0%), confermando questa tendenza nel 2026 (+0,8% contro 1,1%).
Nel triennio 2024-2026, al Sud gli investimenti del Pnrr valgono 1,8 punti percentuali di Pil meridionale (1,6 punti nelle regioni del Centro-Nord). In media, circa tre quarti della crescita del Pil del Mezzogiorno nel triennio è legata alla capacità di attuazione degli investimenti del Piano, a fronte di circa il 50% nel resto del Paese.
AL SUD RIPRESA DELL’OCCUPAZIONE MA CROLLO DEI SALARI REALI. TRE MILIONI I LAVORATORI INUTILIZZATI O SOTTOUTILIZZATI
A fronte della ripresa occupazionale, il duro colpo inferto dall’inflazione al potere d’acquisto dei redditi da lavoro resta la criticità più rilevante, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il quarto trimestre 2019 e la prima metà del 2024, i salari reali si sono ridotti del -5,7% al Sud e del -4,5% nel Centro-Nord, rispetto al -1,4% della media dell’eurozona. Un vero e proprio crollo al Sud causato da una più sostenuta dinamica dei prezzi e dai ritardi nei rinnovi contrattuali, in un mercato del lavoro che ha raggiunto livelli patologici di flessibilità.
A metà 2024, l’occupazione in Italia ha superato i livelli del 2019 di circa 750mila unità (+3,2%), un’espansione che è andata dunque ben al di là del semplice recupero degli effetti della crisi. Nello stesso periodo, il numero di occupati è cresciuto di 330mila unità (+5,4%) nel Mezzogiorno. La ripresa dell’ultimo triennio ha riportato nel Mezzogiorno l’occupazione sui livelli, mai recuperati fino a tutto il 2019, di metà 2008.
Al Sud, sono tre milioni i lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati. Il labour slack Svimez, l’indice del “non lavoro”, è calato, tra il 2019 e il 2023 dal 39,3 al 33% nel Mezzogiorno. Allo stesso tempo, il “non lavoro” al Sud resta su valori più che doppi che nel resto del Paese. Le tre regioni meridionali con i tassi di “non lavoro” più elevati sono Sicilia (38%), Campania e Calabria (entrambe 36,8%). Dei tre milioni di lavoratori meridionali sottoutilizzati o inutilizzati, quasi un milione rientra tra i disoccupati secondo la definizione ufficiale, 1,6 milioni sono forze di lavoro potenziali e 400mila sono occupati in part-time involontario. Nel Centro-Nord, l’area del non lavoro si attesta intorno a 2,8 milioni.
AUMENTA LAVORO A TEMPO INDETERMINATO, MA AL SUD 1,4 MILIONI DI LAVORATORI POVERI. ANCHE CON L’OCCUPAZIONE IN CRESCITA, NON DIMINUSCE LA POVERTA’ DELLE FAMIGLIE
Nel Mezzogiorno la precarietà è diventata un fenomeno tutt’altro che marginale in comparazione ad altre economie europee. Nelle regioni meridionali più di un lavoratore su cinque è assunto con contrattia termine: 21,5%, contro una media europea del 13,5%. La minore diffusione di posizioni permanenti è spiegata soprattutto dalla presenza di una struttura produttiva che più si presta a ricorrere al lavoro flessibile, per la più marcata specializzazione nel terziario tradizionale e la più contenuta dimensione media delle imprese.
Quasi i tre quarti degli occupati meridionali a tempo parziale sono in part-time involontario (72,9%), a fronte del 46,2% nel Centro-Nord e meno del 20% nell’Ue.
Nel Mezzogiorno si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani (circa 1,4 milioni). L’andamento positivo dell’occupazione non ha impedito l’aumento delle famiglie con persona di riferimento occupata in povertà assoluta nel Mezzogiorno: 9,5% nel 2023 dall’8,5% del 2021. L’aumento è stato addirittura di 3 punti percentuali per le famiglie con persona di riferimento occupata con qualifica di operaio o assimilato: dal 13,8 del 2021 al 16,8%.
DEGIOVANIMENTO E FUGA GIOVANI, SCUOLE PRIMARIE A RISCHIO CHIUSURA IN 3MILA COMUNI PER MANCANZA DI BAMBINI. L’EMERGENZA È L’EMIGRAZIONE, NON L’IMMIGRAZIONE
Al 2050, il Paese perderà 4,5 milioni di abitanti e l’82% della perdita interesserà le regioni meridionali: -3,6 milioni. Non solo spopolamento, ma un progressivo degiovanimento che colpirà soprattutto il Mezzogiorno, che perderà 813mila under 15, quasi un terzo di quelli attuali (-32,1%), mentre gli anziani con più di 65 anni aumenteranno di 1,3 milioni (+29%).
Un trend demografico avverso che avrà un forte impatto sul numero degli iscritti nelle scuole italiane. Al 2035, la riduzione di studenti è stimata al -21,3% nel Mezzogiorno, addirittura al -26% nelle regioni del Centro (-18% nelle regioni settentrionali). Per la scuola primaria, il rischio chiusura è concreto in 3mila comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola “piccola scuola”: il 38% del totale dei comuni (quota che sale al 46% nel Mezzogiorno), localizzati soprattutto nelle aree interne.
Il contrasto al gelo demografico necessita di politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi. L’emergenza è l’emigrazione, non l’immigrazione.
LA FUGA DELLE COMPETENZE, IN SOLI 10 ANNI HANNO LASCIATO IL PAESE QUASI 140MILA GIOVANI LAUREATI, QUASI 200MILA SI SONO TRASFERITI DAL MEZZOGIORNO AL CENTRO-NORD. RISCHIO DESERTIFICAZIONE DELLE UNIVERSITÀ MERIDIONALI
Dal 2012 al 2022, 138mila giovani laureati (25-34 anni) hanno lasciato l’Italia. Tra gli altri fattori, incidono sulla scelta le basse retribuzioni: dal 2013 le retribuzioni reali lorde per dipendente sono calate di 4 punti percentuali (-8 nel Mezzogiorno), contro una crescita di 6 punti in Germania. Negli ultimi 10 anni i giovani laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord sono quasi 200mila.
Le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalla mobilità studentesca: due studenti meridionali su dieci (20mila all’anno) si iscrivono a una triennale al Centro-Nord, quasi quattro su dieci (18mila all’anno) a una magistrale in un ateneo settentrionale. Per alcune regioni meridionali il tasso di uscita degli studenti magistrali è nettamente superiore: in Basilicata l’83% lascia la regione, il 74% in Molise, più del 50% in Abruzzo, Calabria e Puglia. Tra il 2010 e il 2023, il sensibile aumento del numero di laureati meridionali si è realizzato esclusivamente grazie ai titoli conseguiti presso atenei del Centro-Nord (+40mila), mentre è addirittura diminuito il numero di laureati presso gli atenei meridionali.
POLITICHE INDUSTRIALI: IL SUD PUÒ INTERCETTARE NUOVE OPPORTUNITÀ CON INTERVENTI DISCREZIONALI E SELETTIVI
Il quadro internazionale è segnato da nuove crescenti incertezze: i conflitti in corso, i nuovi rischi di shock inflazionistici, le tensioni commerciali globali, i rischi di una nuova ondata protezionistica. Ma la riconfigurazione delle global supply chain fornisce nuove opportunità di sviluppo al Mezzogiorno, che possono essere intercettate valorizzando il contributo del Sud alle transizioni, a partire dalle sue specializzazioni mature.
Il Mezzogiorno non è un deserto industriale. Per contributo a valore aggiunto e occupazione, in termini di internazionalizzazione, competenze e tecnologia, il peso del Sud è rilevante in diverse filiere nazionali: Agroindustria, Navale e Cantieristica, Aerospazio, Edilizia e Automotive.
È il momento di mettere in campo una politica industriale più ambiziosa, declinata attraverso strumenti utili ad attivare processi di trasformazione strutturale e creare occasioni di lavoro qualificato. Non si tratta solo di assicurare risorse adeguate al Mezzogiorno, ma di adottare un’impostazione orientata all’identificazione e al supporto delle priorità produttive e delle specializzazioni strategiche.
Il superamento dell’impostazione orizzontale delle politiche industriali degli ultimi decenni impone una riflessione sotto il profilo degli strumenti, andando al di là degli incentivi senza vincoli di destinazione settoriale. La distribuzione territoriale degli incentivi dei Piani Transizione 4.0 e 5.0 dipende dalle capacità ex ante delle imprese (struttura, organizzazione, dimensione) di intercettarli, consolidando il tessuto industriale esistente nelle aree forti, ma pregiudicando l’attivazione di un vero processo di cambiamento strutturale nelle regioni deboli.
Per conciliare gli obiettivi di competitività e coesione andrebbero rafforzati gli interventi discrezionali e selettivi in filiere strategiche a elevato valore aggiunto: Fondo per la crescita sostenibile, Accordi di Innovazione, Ipcei, Cdp Venture capital, Contratti di Sviluppo.
L’AUTOMOTIVE È AL SUD: NEL 2024, IL 90% DELLA PRODUZIONE NAZIONALE DI AUTOVEICOLI NEGLI STABILIMENTI DEL SUD. NEL 2024 MENO 100MILA AUTO SUL 2023 (-25%). SERVE UN PIANO DI RILANCIO EUROPEO, CENTRALE IL RUOLO DEL SUD
La filiera dell’Automotive è il settore sul quale si giocherà la sfida europea nel cambiamento strutturale del sistema produttivo e il futuro industriale del Mezzogiorno. L’industria automobilistica italiana è collocata, infatti, prevalentemente nel Mezzogiorno.
Nei primi 9 mesi del 2024, gli stabilimenti del Mezzogiorno hanno fornito quasi il 90% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma hanno perso più di 100mila unità sul 2023 (-25%). Lo stabilimento di Melfi ha visto da solo una perdita di quasi 90mila unità (-62%), ma anche gli altri stabilimenti – in crescita nella prima parte dell’anno – sono entrati in territorio negativo, con cali che hanno interessato sia gli autoveicoli (Pomigliano, -6%) che i veicoli commerciali (Atessa, -10%).
Ad aggravare il quadro, è stato sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory di batterie a Termoli, che indica una generalizzata vulnerabilità europea nella transizione all’elettrico.
La filiera estesa nel Mezzogiorno dell’Automotive vale quasi 13 miliardi in termini di valore aggiunto, di cui più di quattro quinti in Campania (29%), Puglia (20%), Sicilia (22%) e Abruzzo (13%). Gli occupati riconducibili alla filiera Automotive sono circa 300mila, più della metà in Campania (30%) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%).
Il rilancio dell’industria automobilistica in Europa e la difesa dell’occupazione e dell’indotto richiede un cambio di paradigma che passa da un piano industriale europeo, finalizzato al rafforzamento della filiera elettrica e alla riduzione del gap tecnologico accumulato rispetto ai competitor, mettendo al centro gli stabilimenti del Mezzogiorno.
ZES RIFORMA DA COMPLETARE, ASSICURARE GUIDA POLITICA E COORDINAMENTO CON POLTICHE EUROPEE E PNRR
L’elemento di maggiore novità della Zes unica è il tentativo, dopo molti anni di politiche orizzontali, di impostare una strategia organica per il rafforzamento industriale del Mezzogiorno attraverso il ritorno a un principio di selettività, funzionale all’obiettivo di irrobustire alcune filiere strategiche nazionali ed europee identificate nel Piano strategico.
Il potenziale della Zes unica non è tanto negli strumenti specifici previsti, quanto nella possibilità di orientare e coordinare, sulla base di strategie definite a livello di macroarea, anche le altre programmazioni di sviluppo territoriale (Pnrr e fondi di coesione). Un percorso che però necessita di un’accelerazione delle procedure attuative – il Piano strategico non risulta ancora formalmente approvato – e di risorse certe nel tempo per le agevolazioni alle imprese (il credito d’imposta Zes è finanziato per il solo 2025), ma soprattutto di una continuità di impegno politico. L’incertezza sulle prospettive delle deleghe governative per il Mezzogiorno e il rischio di uno spacchettamento delle deleghe su Affari europei, Sud e Pnrr rischiano di pregiudicare il completamento delle riforme avviate.