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Presentato a Sala Consilina il volume di Carmine Pinto “Il Brigante e il Generale”

È stato presentato presso il Mondadori Bookstore di Sala Consilina il volume di Carmine Pinto (Docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Salerno) “Il brigante e il generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola” (Laterza Editori).

Prima dell’intervento dell’Autore sono intervenuti il titolare del Book Store Mondadori, Antonio Lullo; per la BCC Monte Pruno (sponsor della manifestazione) il Vice Direttore Generale Pruno, Cono Federico (in sostituzione del Direttore Generale Michele Albanese); il giornalista Giuseppe D’Amico; i sindaci Francesco Cavallone (Sala Consilina), Giuseppe Rinaldi (Montesano sulla Marcellana (Giuseppe Rinaldi) e Angela D’Alto (Monte San Giacomo). Presenti tra il folto pubblico i presidenti dei sodalizi più antichi del Vallo di Diano, Michele Calandriello (Società Operaia Torquato Tasso 1867 di Sala Consilina) e Rosanna Bove Ferrigno (Circolo Sociale Carlo Alberto 1886 di Padula).

Proponiamo di seguito ampia sintesi dell’intervento di Giuseppe D’Amico.

Con questo volume l’autore continua il discorso avviato tre anni fa con “La guerra del Risorgimento”. Entrambi analizzano i dieci anni successivi all’unificazione dell’Italia dopo il lungo periodo passato alla storia con il nome di Risorgimento. Con “Il brigante e il Generale” l’Autore continua ad approfondire le ferite della storia d’Italia. Ferite sanguinose che hanno provocato migliaia di morti. Ferite che non riguardano soltanto la storia del Mezzogiorno ma l’intera storia del nostro Paese. Usando un linguaggio cinematografico i protagonisti del volume sono il brigante Carmine Donatelli Crocco ed il Generale del Bersaglieri, Emilio Pallavicini di Priola,“uno spavaldo erede del mondo feudale contro un baldanzoso aristocratico di spada; l’ultimo esercito dell’antico regime contro il primo esercito nazionale. Una storia che ancora oggi suscita emozioni e divide. Una storia che ancora oggi suscita emozioni e divide”.

Tra gli elementi di particolare pregio che danno vigore al volume è doveroso indicare la ponderosa documentazione utilizzata (perché la storia si fa con i documenti); ci sono poi la capacità di analisi dell’autore e lo stile narrativo che rende piacevole la lettura.

Teatro della grade sfida il territorio dell’Ofanto, in Basilicata. Da una parte c’è un brigante, Carmine Crocco. Pastore, militare, bandito di professione, divenne il capobanda più famoso nelle campagne meridionali dopo il 1860. Alla guida del brigantaggio filoborbonico, sperimentò forme di guerriglia che avranno fortuna nel XX secolo, anticipandone gli aspetti politici e una organizzazione criminale su larga scala.

Dall’altra parte, un generale, Emilio Pallavicini di Priola, aristocratico sabaudo, militare esperto in operazioni speciali e al comando di reparti schierati nella campagna contro il brigantaggio. L’ufficiale interpretò la conclusione di un processo secolare, in cui i ruoli militari passavano definitivamente ai professionisti della guerra. Carmine Pinto racconta le loro ‘vite parallele’ e, attraverso queste, gli episodi, i luoghi, le battaglie e le leggende, la guerra tra il primo esercito nazionale e l’ultimo dell’antico regime, fino allo scontro finale e al sorprendente epilogo delle loro esistenze. Due personaggi diversi che combattono una battaglia senza esclusione di colpi e che interpretano in modo diverso la cultura della guerra, la cultura della violenza intrecciata con la politica che agiva in nome della ragion di Stato.

Intorno a loro ruotano altri protagonisti di primo piano: Francesco II che dall’esilio romano non fa mistero dell’intenzione di riconquistare il regno e per farlo non esita a servirsi dei briganti che già prima dell’unità terrorizzavano con le loro scorribande le regioni del Mezzogiorno seguendo l’esempio di Ferdinando IV che nel 1799, per abbattere la Repubblica Napoletana, si era servito dei briganti per tornare sul trono di Napoli dopo la precipitosa fuga a Palermo. Altro protagonista di primo piano della storia lo spagnolo José Borges, inviato da Francesco II nelle regioni del Mezzogiorno il quale, però, non riesce a raggiungere un accordo con Crocco e, quindi, fallisce la missione.  Dall’altro lato troviamo ufficiali e politici del neonato Regno d’Italia che aveva tutto l’interesse a porre fine alla guerra del Mezzogiorno per concentrarsi sul completamento dell’Unità che non poteva dirsi realizzato senza la conquista di Roma. La figura di Pallavicini è fondamentale.  Indubbiamente, è un personaggio molto discusso, pieno di debiti e inaffidabile nella vita privata al punto che, prima di sposare una donna della borghesia calabrese in Basilicata la sua richiesta di impalmare una donna del luogo era stata respinta. Come ufficiale, però, si dimostrerà all’altezza del compito non solo nella lotta al brigantaggio ma anche nel fermare in Aspromonte (1862) il tentativo di Garibaldi, sbarcato di nuovo nel Sud per tentare la conquista di Roma. A parte qualche scaramuccia e la famosa ferita al piede rimediata da Garibaldi non ci su grande spargimento di sangue. Un’altra importante intuizione di Pallavicini riguarda il rapporto che stabilì con la stampa.  Non tutta la stampa lo amava. Clamorosa la fake news del giugno del 1867 quando alcuni giornali scrissero che a Salerno “in un trasporto di gelosia aveva ucciso la propria consorte con un colpo di pistola”. Lui non si scompose e per smentire la notizia si limitò a lunghe passeggiate insieme alla consorte per la vie di Salerno suscitando la curiosità degli astanti.

Il libro analizza il decennio del cosiddetto “brigantaggio politico: Crocco era un vendicatore o un volgare brigante? José Borges non ebbe dubbi: Crocco prende servizio per i Borbone senza alcun patriottismo. Era l’opposto del guerrigliero legittimista; era, però, l’unico vero capo del brigantaggio”. Al processo di Potenza a suo carico vi erano 130 procedimenti. Ne furono ammessi solo 36 con 74 omicidi e 200 altri reati che rappresenterebbero il 30 per cento dei reati commessi.

Nel libro è ben presente anche il Vallo di Diano.  Uno dei banditi più pericolosi alleati di Crocco era Angelantonio Masinidi Marsico che scorazzò in lungo e in largo tra la Val d’Agri e il Vallo di Diano. Nel registro delle taglie della provincia di Basilicata Masini figurava al terzo posto con una taglia di 15.000 lire dopo Crocco (20.000 lire) ed il suo luogotenente Nucola Summa detto Ninco Nanco (15.000 lire). Nel 1863, un anno prima di essere ucciso, Masini vantava 319 reati tra omicidi, rapine, estorsioni, sequestri di persona e azioni militari come risulta da un processo del 1865 non a suo carico perché Masini era stato ucciso a Padula il 20 dicembre del 1864. A fianco di Masini troviamo la sua druda, Maria Rosa Marinelli, che era con il brigante e i suoi 12 “apostoli” quando a Padula nella masseria del manutengolo Gerardo Ferrara fu tradito e ucciso dagli uomini della Guardia Nazionale guidati da Filomeno Padula. La Marinelli si costituì nove giorni dopo; processata a Potenza fu assolta in primo grado e condannata a quattro anni in appello. Di lei hanno scritto Giovanni Russo nel libro “I figli del Sud” (1974) ed Enrico Padula nel libro “Filomeno e Vincenzo Padula. Due fratelli nel Risorgimento Italiano”. Di una drammatica vicenda a Sala Consilina che costò cara alla famiglia Acciari, ha scritto invece il generale Alfonso Vesci nel libroBriganti a Palazzo Acciari (2013). Non meno triste la storia di Reginalda Cariello, rapita e violentata dal brigante Pietro Trezza che ne fece la sua druda. Rimase nella banda Masini anche dopo l’uccisione del brigante padulese.

All’inizio ho affermato che il libro analizza le ferite della storia; la storia si ripete, ritorna anche con vicende similari almeno per certi aspetti. È importante conoscerla perché se non altro aiuta ad evitare gli errori del passato. Oggi stiamo assistendo ad un film già visto. Per averne la prova è sufficiente leggere due righe del libro di Pinto relative agli eventi dell’estate del 1863, con il Parlamento impegnato a discutere delle iniziative da assumere per reprimere il brigantaggio; iniziative che culmineranno con l’approvazione della Legge 15 agosto 1863, n. 1409, Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette”, meglio nota come Legge Pica, dal nome del deputato abruzzese appartenente alla Destra storia che ne fu il promotore. Scrive l’Autore: “Sindaci, politici e deputati meridionali chiesero a gran voce un provvedimento urgente e straordinario contro briganti e borbonici”.

Sono numerose le richieste migliori condizioni di sicurezza presentate da polititi e amministratori pubblici del territorio, forze sociali, sodalizi culturali, purtroppo senza esito.  Naturalmente, non si tratta di richieste di salvaguardia da briganti e borbonici: dal 2013 le richieste riguardano il ripristino del Tribunale e della Casa Circondariale di Sala Consilina ma da decenni, anche a causa delle carenze e nonostante il forte impegno del personale delle forze dell’ordine attualmente presenti, si chiede l’istituzione nel Vallo di Diano di un commissariato di Polizia perché il territorio è a rischio di infiltrazioni mafiose e camorristiche. L’ultima è del consigliere regionale Corrado Matera è tornato a chiedere, così come altri esponenti politici nel recente passato, il rafforzamento delle forze dell’ordine e l’istituzione di un Commissariato nel Vallo di Diano. Vedremo cosa succederà.

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