di Carmine Pinto
L’Università aveva sconfitto il regime. Alle elezioni per il nuovo rettore, il candidato vicino al governo era sconfitto. Non è Harvard, ma Caracas: il regime castro-chavista ha espropriato scuole, televisioni, giornali, ma non è mai riuscito a conquistare l’Universidad Central de Venezuela.
L’UCV ha trecento anni di storia, è la maggiore istituzione formativa del paese: i comunisti al potere hanno negato il 95% del finanziamento pubblico e cercato di sabotare le elezioni. La UCV ha respinto ogni minaccia ed è restata il centro della libertà intellettuale, scientifica e politica del Venezuela.
Non è un caso isolato, intellettuali ed istituzioni sono colpiti in Russia, Asia Centrale, Cina, Ungheria da regimi autori o populisti. Caracas e Hong Kong però non fanno notizia, se non in circuiti ristretti di militanti dei principi liberali. Harvard invece si: l’università più importante, e influente del mondo, si trova sotto il ricatto del presidente Trump (insieme ai maggiori atenei del paese); chi non si allinea alle sue politiche, è fuori dai finanziamenti pubblici. Harvard resiste, la Columbia negozia, altri tentennano, ma il tema della libertà accademica ora è al centro dell’agenda politica globale.
Il trumpismo vede nelle élite intellettuali un nemico sociale, gli attori che costruiscono il discorso inclusivo o quello raffinato; e un obiettivo perfetto, da indicare alle masse educate dalla rabbia populista. Questa offensiva mette alla prova antiche istituzioni, ma le costringe anche a fare i con scelte controverse sul linguaggio e la storia dell’Occidente. La battaglia per la libertà delle università si muove così su piani diversi: negli USA e nel mondo libero, intrecciando la difesa dai populismi con la capacità di superare ideologismi intolleranti; nei paesi autocratici, sostenendo la resistenza all’oppressione, con la forza del modello democratico e dei valori liberali; in entrambi i casi, il potere della cultura libera che spaventa i dittatori ed esaspera i populisti.
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