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Napoli ricorda la salernitana Elvira Notari, prima donna regista del cinema italiano, nel 150° della nascita

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Napoli renderà omaggio, nel 150esimo della nascita, alla regista salernitana Elvira Coda Notari, la “prima donna regista cinematografica italiana”. Regista ma anche attrice, sceneggiatrice, produttrice, distributrice e quindi imprenditrice. Portano la sua firma oltre 60 lungometraggi e centinaia di corti e documentari realizzati tra il 1906 e il 1930, molti dei quali, purtroppo, sono andati perduti. L’iniziativa, denominata “Elvira 150” è in programma il 10 febbraio prossimo (ore 20,30) nel Cinema Modernissimo, dove sarà proiettato il film “È piccerella”. Previsti, tra gli altri, gli interventi del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, delle attrici Teresa Saponangelo e Lina Sastri, e della giornalista-scrittrice Flavia Amabile che alla regista salernitana ha dedicato un romanzo nel 2022.

L’iniziativa, promossa dal Comune di Napoli, rientra nell’ambito del progetto Cohousing Cinema Napoli, ideato e organizzato da Parallelo 41 Produzioni con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, in collaborazione con Cineteca di Bologna. Sempre a Napoli il 10 marzo ci sarà un convegno all’università Federico II. Un’altra iniziativa si terrà a Roma, presso l’’Istituto Centrale per la grafica, dove il 15 maggio prossimo sarà inaugurata la mostra “Invisibili. Le pioniere del cinema”, dove la Notari avrà un posto di rilievo. Proprio le iniziative in cantiere hanno riproposto all’attenzione generale la vicenda della regista di cui si sono occupati nei giorni scorsi importanti organi di informazione tra i quali il Corriere della Sera con una pagina su “La Lettura”, il settimanale culturale della domenica. Nata a Salerno il 10 febbraio 1875 da Diego Coda e Agnese Vignes, Elvira frequenta nella sua città le Scuole Normali (così erano chiamate, all’epoca, le scuole magistrali) e si dedica all’insegnamento prima di trasferirsi con la famiglia a Napoli dove inizia a lavorare come modista. Nel 1902 sposa, assumendone il cognome, il fotografo Nicola Notari, ex pittore specializzato nella coloritura delle pellicole e appassionato di cinema. A Napoli, insieme al marito, fonda la casa di produzione “Dora Film”, che in pochi anni diventa una delle più importanti società cinematografiche italiane e riesce ad aprire una succursale a New York dove molti suoi film, fortemente evocativi della vita popolare napoletana, ottengono grande successo specialmente tra gli emigrati italiani. Nel 1910 firma in prima persona la sceneggiatura, la regia e il montaggio dei suoi film a partire da “La fuga del gatto”.

Per le tematiche affrontate è considerata un’antesignana del neorealismo. Nella scelta degli argomenti Elvira Notari non disdegna film di carattere sociale come “Il processo Cuocolo”, il primo procedimento giudiziario che vede come imputati numerosi esponenti della camorra napoletana. I suoi film prendevano spunto da popolari canzoni napoletane, opere teatrali e romanzi d’appendice, raccontavano storie d’amore e di gelosia, di tradimenti e di omicidi, spesso tratte da fatti di cronaca. La proiezione dei film muti era solitamente accompagnata da musica dal vivo di un pianista o di un’orchestrina. Con lei lavorano come attori la figlia Dora e il figlio maggiore Eduardo, che impone al pubblico la maschera di Gennariello, il napoletano dall’animo gentile. Nel dicembre scorso, in un articolo sul “Corriere del Mezzogiorno” Gabriele Bojano ha scritto: “La sua produzione si delinea come antitetica rispetto a quella dell’Italia del Nord e, a causa dei suoi contenuti realistici, a tratti scabrosi, la regista campana non è molto amata dalla critica e, da sempre vessata dalla censura, viene fortemente osteggiata durante gli anni del fascismo”. In un periodo in cui l’8 marzo, il voto alle donne ed altre conquiste successive erano ancora lontane, nel quale la donna doveva stare a casa, occuparsi della famiglia e fare lavori che potessero essere svolti tra le quattro mura, Elvira Notari non accetta questo status ed ha il grosso merito di essersi dedicata al cinema e di non avere avuto remore nell’affrontare tematiche femminili. La decisione di trasformare i vicoli di Napoli in teatri di posa a cielo aperto e facendo recitare gli scugnizzi, fa superare la tradizione folcloristica del teatro contemporaneo per aprire i film verso inaspettati squarci veristi. Così il film’E scugnizze (sfortunatamente perduto) inizia come il più tradizionale dei melodrammi: un giovane nobile si innamora di una bella popolana che, rimasta incinta viene rapita e segregata in una catapecchia: il figlioletto viene abbandonato presso la “ruota degli esposti” di un convento dove i bambini illegittimi o indesiderati venivano presi in consegna, mentre la puerpera viene rinchiusa in un manicomio. Una tematica forte, tratta da episodi assolutamente reali, che mostra il tragico destino delle donne che vi sono segregate.

Tematiche che all’epoca non venivano viste di buon occhio. Infatti, il film scatenò le ire della censura che impose di tagliare molte scene.Era inevitabile che il fascismo non amasse film come quelli di Elvira Notari al punto che nel 1928 fu approvato un decreto contro i film aventi per soggetto “scene di ambienti napoletani che, se non ancora scomparse dalla vita di quella città, non rappresentano più la caratteristica di quella popolazione. Un film a base di posteggiatori, pezzenti, scugnizzi, di vicoli sporchi, di stracci e di gente dedita al “dolce far niente” sono una calunnia per una popolazione che pur lavora e cerca di elevarsi nel tono di vita sociale e materiale che il Regime imprime al Paese”. Alla Dora Film restavano solo i documentari commissionati dagli immigrati che volevano rivedere le piazze e le feste dei propri paesi, ma Elvira non era donna da compromessi per cui nel 1930 decide di lasciare il cinema e ritirarsi a Cava de’ Tirreni, dove in seguito la raggiungerà anche il marito. Morirà il 17 dicembre del 1946. Dopo un lungo periodo di oblio l’interesse per Elvira Notari si sta risvegliando grazie alla critica femminista che l’ha scoperta sul finire degli anni Settanta. Di lei si è parlato in diversi convegni dedicati al cinema muto. Oggi a farla conoscere oggi al grosso pubblico hanno contribuito alcune recenti pubblicazioni. In particolare, il libro “La film di Elvira” (film, traduzione di pellicola, si declinava al femminile nei primi anni del cinema muto) di Paolo Speranza e Licio Esposito nel 2016 è stato il primo passo di una riscoperta accurata del personaggio al quale ha fatto seguito l’innovativo convegno-retrospettiva “Transito”, svoltosi a Francoforte, che ha indagato il cinema popolare napoletano. A lei sono stati dedicati anche due romanzi, rispettivamente “La figlia del Vesuvio. La donna che ha inventato il cinema” (Sem, 2023) di Emanuele Coen e, nel 2022, “Elvira” (Einaudi) di Flavia Amabile, che ha particolarmente apprezzato la regista per una “una profonda, indistruttibile coerenza per la sua idea di cinema convintamente popolare a cui aveva dedicato tutta la vita”. Nel romanzo di Flavia Amabile non c’è spazio per la retorica; c’è la vita di una donna che deve conquistare passo dopo passo la propria identità, che deve combattere ogni giorno contro le disuguaglianze, l’assoluta negazione del suo lavoro, i luoghi comuni, lo sguardo dei vicini e di coloro che le vivono intorno, sempre pronti a giudicare.

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