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Svimez: al Sud cresce economia e occupazione, ma resta il disagio sociale

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Lavoro povero, calo demografico, disagio sociale ed emigrazioni giovanili le questioni più urgenti emerse dal Rapporto Svimez appena presentato. Nel biennio 2021-2022 l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%. A contribuire alla crescita sono stati soprattutto i servizi e l’edilizia, grazie all’impatto espansivo esercitato dal Superbonus 110%. Viceversa, il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno: 10 punti contro i 24,5 del Centro-Nord.

Sul fronte dei redditi, l’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Nelle regioni del Mezzogiorno sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito.

Il dato positivo dell’indagine Svimez arriva dall’occupazione. Rispetto al pre-pandemia, infatti, la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali, con 188 mila unità occupate in più rispetto al passato.

In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Infatti, nonostante l’incremento dell’occupazione, laprecarietà e i bassi salari non alleviano il disagio sociale. In generale, però, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese. Tanto da raggiungere livelli inediti. Al Sud sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta.

Inoltre, la crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Questo si evince soprattutto dal calo dei consumi delle famiglie, a causa di un minore reddito disponibile.

Un contributo positivo potrebbe però arrivare dagli investimenti, soprattutto al Sud, dallo stimolo indotto dalla spesa di fine ciclo della programmazione europea 2014-20. Al Sud la crescita dei consumi delle famiglie dovrebbe tornare in positivo, sia pure mantenendosi al di sotto della media del Centro-Nord (+0,8 contro +1,3%), grazie al recupero del reddito disponibile reso possibile dal rientro dell’inflazione. Gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata nel Mezzogiorno, accelerando rispetto al 2023 soprattutto grazie alla dinamica molto favorevole della componente in costruzioni.

In particolare, secondo le stime della SVIMEZ, il PNRR eviterà la recessione al Sud. Ma il contributodel PNRR alla crescita del prossimo biennio dipenderà comunque dalla sua pronta ed efficace attuazione. Al momento, però, l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno ha rilevato una debole progettualità e un ritardo nell’avvio dei lavori da parte delle amministrazioni locali meridionali.

A queste criticità si aggiungono anche altre problematicità legate al quadro demografico del Sud. La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.

Dal 2002 al 2021hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati.

Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno. Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni:tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane. Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080.

Per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare.

Il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico.  La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. 

Gli investimenti del PNRR mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali. 

Gli sforzi per ridurre questi divari devono considerare le specificità territoriali e affrontare le sfide nella fornitura di servizi educativi e nell’integrazione delle donne nel mercato del lavoro.

A proposito di educazione e di mercato del lavoro. L’Italia presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno, questa percentuale si riduce al 22%.

A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%).

Il premio per l’istruzione si riflette anche nelle retribuzioni, con un laureato al Sud che guadagna mediamente il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%. La promozione di politiche che convergano la percentuale di laureati verso la media dell’UE appare opportuna, specialmente considerando le maggiori opportunità occupazionali, soprattutto nel Mezzogiorno, per i giovani laureati.

Alle dinamiche demografiche si aggiungono anche le criticità infrastrutturali, le problematiche ambientali e i ritardi legati agli investimenti. Il Rapporto, infatti, evidenzia le criticità infrastrutturali italiane, con sottodotazione al Sud e saturazione al Nord. La rete ferroviaria del Sud presenta un notevole ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. 

Sul fronte ambientale, il Sud paga anche il prezzo di un aumento delle temperature. Il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso mai registrato in Italia, con una temperatura media superiore di 1,23°C rispetto al trentennio 1991-2020 e una diminuzione delle precipitazioni del 22% rispetto alla media 1991-2020. Il cambiamento climatico colpisce diversamente le regioni, con la Sicilia a maggior rischio desertificazione (70% del territorio minacciato da insufficienza idrica), seguita da Molise (58%), Puglia (57%) e Basilicata (55%).

Le temperature più elevate hanno effetti economici differenziati tra Nord e Sud, con le regioni settentrionali che potrebbero vedere un aumento del PIL (+0/2%) e il Sud una significativa riduzione (-1/3%), con picchi superiori al -4% in Campania e Sicilia.

È essenziale accelerare la produzione di energie rinnovabili in Italia, con particolare attenzione al Mezzogiorno, che ha il potenziale per diventare un polo produttivo strategico. Ma per fare tutto questo, occorre abbandonare l’idea dell’autonomia differenziata, la quale esporrebbe l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese. 

Le considerazioni della SVIMEZ sottolineano l’importanza di coordinare le diverse programmazioni per la perequazione infrastrutturale, garantendo operatività a previsioni di riparto territoriale spesso non attuate. Ciò anche per garantire interventi commisurati ai fabbisogni delle regioni caratterizzate da più ampi gap infrastrutturali economici e sociali da colmare. L’obiettivo del riequilibrio territoriale, al di là delle politiche aggiuntive, dovrebbe coinvolgere l’intervento pubblico ordinario per imprese e famiglie. Tuttavia, tale condizione è minacciata dalle proposte di autonomia differenziata in discussione, che potrebbero vanificare gli sforzi volti a rendere più efficace l’azione delle politiche aggiuntive.

Nel Rapporto, l’Associazione per lo sviluppo dell’industriale del Mezzogiorno sottolinea la necessità di cogliere le opportunità legate al contesto della Zona Economica Sud (ZES) Unica. L’obiettivo è estendere benefici fiscali e semplificazioni burocratiche a tutto il Mezzogiorno come forma di fiscalità compensativa. Tuttavia, il successo della ZES Unica dipende dalla semplificazione amministrativa, dalla capacità di integrarla nelle politiche nazionali e regionali, e dall’identificazione di settori prioritari.

La ZES Unica presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese. 

Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della ZES Unica: il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario, cioè della Struttura di missione nazionale di svolgere per l’intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che si prevedono, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le Amministrazioni locali. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale dovendo, quindi, valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l’individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l’attrazione dei grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. 

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