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L’importanza di ricordare Carlo Levi: 120 anni dopo, Cristo è ancora fermo ad Eboli

Centoventi anni fa nasceva Carlo Levi, famoso in tutto il mondo per il suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, tradotto in 40 lingue con milioni di copie vendute. Per celebrare la ricorrenza si è tenuta la settimana scorsa a Matera una due giorni di studi e dibattiti sul tema “120 anni dopo. Memoria e attualità di Carlo Levi”. Il Convegno è stato promosso dall’Università degli Studi della Basilicata e dal Dipartimento di Scienze Umane del medesimo Ateneo, in collaborazione con il Centro Carlo Levi di Matera e il Museo Nazionale di Matera.

È utile ricordare certi anniversari? Il giornalista Antonio Manzo non ha dubbi e, in margine al convegno materano, sulle colonne del quotidiano “Le Cronache” ha scritto: “La memoria non è astrazione erudita ma un viaggio tra politica e ricerca, un passaggio ancora fortemente pedagogico e formativo”. Per quanto riguarda l’iniziativa che la Regione Basilicata ha dedicato a Levi la ritiene “un atto di riconoscenza civile all’antifascista che fece conoscere al mondo le condizioni del Mezzogiorno osservandole e descrivendole dal confino in Lucania, dopo l’arresto del 1934. Nacque così “Cristo si è fermato a Eboli”, pubblicato nel 1945, che individuò il comune salernitano come immaginario confine della cristianità dei poveri meridionali”.

Indubbiamente, Carlo Levi ha lasciato un segno duraturo e profondo nella politica e nella cultura dell’Italia. Torinese, di famiglia ebrea; laureato in medicina, compagno di strada di Piero Gobetti, il fondatore di “Giustizia e Libertà”, allievo in pittura di Casorati e Modigliani, Carlo Levi nel 1924 partecipò con due sue opere alla Biennale. Dopo varie vicissitudini e alcuni arresti nel 1935 fu inviato al confino prima a Grassano e poi ad Aliano, piccolo borgo in provincia di Matera, da lui definita “terra oscura e senza redenzione, dove il male non è morale ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose”, la terra dove “Cristo non è disceso perché si è fermato a Eboli”. La storia di Carlo Levi è ben nota per riproporla.  

Nel corso del convegno sono state approfondite le circostanze storiche del confino di Levi, gli aspetti artistici, storici e socio-antropologici chiamati in gioco dall’analisi del Levi pittore, scrittore e uomo politico; i rapporti che strinse con il mondo dell’arte e della cultura; sulla sua influenza storica e sull’eredità che la sua produzione artistica e la sua azione sociale hanno lasciato al nostro tempo.

Non va dimenticato il tema del rapporto instaurato da Carlo Levi, dal confino in poi, con la Basilicata e la città di Matera, sotto il profilo sia artistico che politico-culturale, e il tema, ancora oggi attualissimo, dello “Stato delle autonomie” per Levi e oltre Levi. Questo perché Levi intrecciò importanti relazioni con personaggi rilevanti dell’intellettualità lucana a partire dal rapporto con il poeta Rocco Scotellaro, il giovane sindaco di Tricarico: fu un rapporto privilegiato di cui sono concrete testimonianze, nel Museo Nazionale di Matera (Palazzo Lanfranchi), importanti opere pittoriche leviane, come il celebre “telero” Lucania ’61, attualmente al centro, insieme ad altri dipinti dell’artista, di un progetto in itinere di riallestimento complessivo del museo.

Non meno importante fu il rapporto di stima e amicizia dello scrittore torinese con il nostro conterraneo Giovanni Russo che vallopiù.it ha ricordato qualche settimana fa in occasione del quinto anniversario della scomparsa. Giornalista prima al Mondo di Pannunzio e poi storico inviato speciale del Corriere della Sera, Giovanni Russo viaggiò in tutto il mondo ma non disdegnava indagare nei piccoli paesi del Sud per studiarne le condizioni. Capiva che i fatti minimi, i dettagli, sono lo specchio dell’universo. Fu coerente, meridionalista democratico e laico vicino al Partito repubblicano. Ci ha lasciato saggi importanti tra i quali ricordiamo Nel 2012 tornò sull’argomento con il volume “Levi segreto”, pubblicato nel 2012, in cui sono raccolti una serie di scritti apparsi su giornali e riviste e viene trattata la complessa vicenda artistica, giornalistica e politica di Levi nel trentennio in cui durò il loro sodalizio.

In questo libro Giovanni Russo ricorda anche gli incontri romani con Carlo Levi che andava a trovare spesso nel suo studio di Villa Strohl Fern dove i due amici rievocavano il mondo a cui si era ispirato, cioè l’Italia Meridionale, che nel libro il giornalista commenta così: “Se l’Italia Meridionale contadina è amministrata così male rispetto al resto dell’Italia, ciò dipende proprio dal fatto che nelle regioni e nei comuni è stata al potere una classe di Luigini (Levi teorizzava una netta distinzione tra Luigini e Contadini, n.d.r.) che erano tali e quali a quelli che Levi ha descritto nel libro”. 

Giovanni Russo fu uno dei primi lettori del libro “Cristo si è fermato ad Eboli”, e così ricorderà le prime impressioni che ne trasse: “Aprii gli occhi su un mondo in cui ero vissuto senza vedere, che mi aveva circondato dall’infanzia senza che mi accorgessi dei suoi valori; era il mondo in cui affondavano le radici migliori della società lucana; era il mondo contadino. C’era una distinzione molto netta allora tra i borghesi, anche intellettuali, e i contadini. Il Cristo, pur vivendo io in Lucania, fu una rivelazione. Fu la scoperta della realtà, non un messaggio mitologico o politico, come poi è diventato. Molte delle mie vicende personali, dei miei interessi, della mia esperienza di vita, sono dovuti a questo incontro con il Cristo”.  Giovanni Russo fu tra i primi a difendere Carlo Levi dalle accuse dei “Luigini” lucani che ritenevano il libro un’offesa per il Sud e rimproveravano al medico-scrittore-pittore di avere mitizzato i contadini e demonizzato i borghesi.

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