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Come nacque “E’ tornato Pisacane” di Lino Jannuzzi

La settimana scorsa, nel dare notizia della scomparsa di Lino Jannuzzi, giornalista e Senatore della Repubblica, abbiamo ricordato il suo rapporto con il Vallo di Diano ed il Cilento neo cui collegio, nel 1968, fu eletto senatore nella lista del PSI. A volere la sua candidatura era stato Pietro Nenni per evitare allo stesso Jannuzzi e ad Eugenio Scalfari il carcere. Come è noto, i due giornalisti erano stati condannati a seguito della vicenda passata alla storia come “Piano Solo”, che per i due giornalisti (Jannuzzi come autore degli articoli e Scalfari come Direttore responsabile del settimanale L’Espresso) sarebbe stato ordito nel 1964 dal Generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo per sovvertire l’ordine democratico.

Fu una campagna che è poco definire pirotecnica all’insegna dello slogan “È tornato Pisacane”. L’episodio più clamoroso, verificatosi ad Agropoli in occasione del primo comizio di Jannuzzi, fu ricostruito dallo stesso giornalista in un articolo pubblicato nel febbraio del 1992 sul settimanale Vallo di Dianoche il sabato usciva abbinato al quotidiano il Giornale di Napolidi cui Jannuzzi è stato direttore.

Nell’articolo, che pubblichiamo integralmente, Lino Jannuzzi ricorda il comizio di Agropoli, primo impatto con l’elettorato del collegio in cui era candidato, e spiega come nacque lo slogan “È tornato Pisacane”.

Come nacque “E’ tornato Pisacane”

di Lino Jannuzzi


Era il 1968. Avevo appena compiuto quarant’anni, e la Quinta Sezione Penale del Tribunale di Roma mi aveva condannato ad un anno e undici mesi di carcere per i miei articoli sull’Espresso contro il Sifar e il generale De Lorenzo e i loro intrighi dell’estate del 1964. Pietro Nenni, riprendendo la vecchia tradizione socialista di eleggere in Parlamento i reprobi e i perseguitati di regime, mi invitò a candidarmi nelle liste socialiste, e GiacomoMancini scelse per me il collegio senatoriale di Vallo della Lucania. Il partito decise di farmi aprire la campagna elettorale ad Agropoli, la porta del Collegio, e affidò il compito di presentarmi all’elettorato ad un anziano e stimato compagno, Martuscelli, il quale, oltre ad essere deputato di Salerno, era anche magistrato, e quindi era ritenuto particolarmente adatto ad illustrare le vicende processuali che avevano preceduto e provocato la mia candidatura, e a difendermi dall’ingiusta condanna.

Infatti, gli avversari del partito, ed in particolare i democristiani, tradizionalmente maggioritari a Salerno e provincia, ed i missini, anch’essi molto forti nella zona (in quel collegio senatoriale avevano eletto, fino a pochi anni prima, Alfredo De Marsico, già ministro di Grazia e Giustizia del regime fascista), al primo annuncio della mia candidatura avevano già alzato il tono della propaganda contraria, riempendo città e paesi di manifesti contro “il calunniatore dei Carabinieri”, “il denigratore della Patria”, e “il pregiudicato condannato dalla magistratura”, etc, etc,…

Quella sera la piazza principale di Agropoli era stracolma, come da tempo, a detta dei compagni, non si vedeva più in occasione di comizi politici, ed era stato anche predisposto una straordinario schieramento di forza pubblica, e soprattutto di Carabinieri, francamente sproporzionato all’avvenimento. C’era una certa tensione nell’aria, ma c’era soprattutto molta curiosità: la maggior parte della gente era accorsa a vedere questo strano personaggio, piovuto chissà da dove e chissà perché, e così diverso, almeno così era stato annunciato, dai politici tradizionali e dagli altri candidati del posto. Il compagno Martuscelli, che appariva un po’ emozionato, cominciò la “presentazione”. Per una mezz’ora spiegò, con puntigliosa argomentazione e ricchezza di citazioni giuridiche, la mia “posizione”: come e per quanto il candidato socialista al collegio senatoriale di Vallo della Lucania, anche se rappresentava una novità, non doveva essere considerato uno “straniero” (anche questo andavano dicendo gli avversari), perché, anche se non salernitano, era nato a pochi chilometri, nella provincia di Avellino, e soprattutto, non doveva essere trattato da “pregiudicato”, perché, anche se condannato in primo grado, secondo la Costituzione, dove essere considerato innocente fino alla sentenza definita. E poi, che non aveva insultato la Patria e i Carabinieri, ma soltanto “criticato legittimamente”, proprio così disse l’ineffabile Martuscelli, un generale ed alcuni suoi collaboratori, colpevoli di “comportamenti discutibili”. Martuscelli parlava, ed io scrutavo attento e perplesso, ed ebbi l’impressione che stava per diventare un silenzio deluso. Capii, o credetti di capire, che tutta quella gente era accorsa nella piazza di Agropoli non per ascoltare giustificazioni più o meno convincenti, di una candidatura qualsiasi, ma piuttosto, o al contrario, per trovare conferma di una candidatura insolita e “scandalosa”. E che le rassicurazioni di Martuscelli rischiavano, anche se creduto, e proprio perché creduto, di deludere le aspettative di un elettorato tranquillo e paziente, ma anche stanco delle solte facce e della solita routine. E ancora meno mi piacevano, e mi sembravano eccessive e minacciose, quelle divise di Carabinieri che spiccavano in mezzo alla folla, e in qualche misura la comprimevano e la controllavano. Sicché, quando Martuscelli terminò l’opera sua, salutato da pochi applausi di cortesia, e mi passò la parola, avevo già deciso di cambiare radicalmente registro. Non persi tempo in convenevoli. Afferrato il microfono, ringraziai il compagno Martuscelli, ma lo smentii totalmente, rovesciando il suo ragionamento. “Mi dispiace contraddirlo -dissi- ma non me la sento di negare l’evidenza: io sono veramente uno “straniero” -gridai- non perché sono nato ad Avellino e non a Salerno, ma perché non ho nulla a che fare e niente voglio avere a che fare, con gente che vota e da vent’anni la maggioranza assoluta alla Democrazia Cristiana, e alla peggiore Democrazia Cristiana, e per colmo di misura, a venticinque anni dalla caduta del Fascismo, elegge al Parlamento gli ex ministri del regime”. E continuai, in un silenzio che era diventato di tomba: “E non sono innocente -gridai- e non rispetto i Carabinieri quando questi, invece di fare il loro mestiere, che è quello di tutelare l’ordine democratico, complottano contro la Democrazia e la Repubblica, e vengono in forze ai comizi del partito del Presidente della Repubblica (che era Saragat, e noi eravamo alleati con i Socialdemocratici) invece di arrestare gli amministratori ladri del partito di maggioranza”.….La piazza sembrò scuotersi e qualche gruppetto cominciò a rumoreggiare. Qualche compagno, sul palco, mi tirò per la giacca, forse per invitarmi ad una maggiore prudenza. E fu allora che sparai il colpo di grazia (oggi si direbbe “la picconata”): “Sono uno straniero e un pregiudicato -dissi ancora- come era straniero e pregiudicato, condannato dai giudici borbonici Carlo Pisacane, che venne fin qui per riscattarvi e che voi avete ammazzato”.

Lino Jannuzzi

Dalla folla si alzò un ululato. E conclusi, prima che il palco venisse rovesciato: “Quel sangue -dissi- il sangue di Pisacane, pesa ancora su di voi e su queste terre come una maledizione. E di questa maledizione non vi libererete fino a quando non riscatterete con il voto quella colpa, fino a quando qui non trionferanno il Socialismo e la Libertà”.
Una settimana dopo, i giovani del Cilento tappezzarono i muri dei loro paesi con il manifesto “E’ tornato Pisacane”, il volto biondo dell’eroe e accanto quello del candidato socialista. Un mese dopo, per la prima volta nella storia, il collegio di Vallo della Lucania mandò al Parlamento un senatore socialista.

Lino Jannuzzi

Febbraio 1992

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