Di Rosa Mega
Scrivimi è il titolo di una bellissima canzone d’amore di Nino Buonocore che negli anni ’90 le radio trasmettevano incessantemente, e alla quale molti di noi sono ancora legati. La nostra storia di oggi, tuttavia, propone ben poco di romantico ma molti interrogativi. Da qualche settimana è nato “Scrivi quando arrivi”, un nuovo gruppo solidale Whatsapp il cui intento è quello di offrire una compagnia sicura alle donne che rincasano da sole, che devono percorrere tratti di strada isolati e poco sicuri. Donne che, sempre più spesso, hanno paura di fare brutti incontri nel tragitto per rientrare nella propria abitazione dopo una giornata di lavoro o di svago. L’idea è venuta a Samia Outia,studentessa di 22 anni di origini marocchine, a seguito dei numerosi casi di violenza, catcalling e stalking che vedono come vittime tante donne. L’iniziativa si è diffusa in rete con un veloce tam-tam, dal Nord al Sud della penisola, e così le iscrizioni sono cresciute a dismisura in brevissimo tempo.
Per accedere al gruppo Whatsapp bisogna rispondere a qualche domanda: Samia, infatti, ha dovuto inserire dei filtri di verifica per evitare che qualche malintenzionato vi si possa intrufolare. La maggior parte delle richieste d’adesione avvengono attraverso Instagram. Cercando la pagina @scriviquandoarrivi, si può inviare in director (il sistema di messaggistica della piattaforma) un messaggio con il proprio numero di cellulare e la città in cui si vive o ci si trova. In questo modo è possibile ricevere il link per entrare a far parte del gruppo WhatsApp relativo e si può interagire con altre persone.
Non è l’unica chat di questo tipo: se “Scrivi quando arrivi” è un’iniziativa informale nata dal basso, esistono alternative più strutturate, come l’app multilingue Viola Walk Home, disponibile 24 ore su 24, che offre lo stesso servizio.
Ma sono dei validi supporti solidali? La risposta è sì, se si pensa che da uno studio pubblicato da Hollaback e Cornell University, svolto in 22 paesi tra i quali l’Italia, è emerso che l’84% delle donne ha subito molestie in strada prima dei 17 anni. A confermare questo dato c’è anche il rapporto Istat sul Benessere Equo e Solidale (Bes 2022) secondo il quale una donna su due ha paura a uscire da sola di sera. Questa iniziativa pertanto rappresenta una risposta per aiutarsi a vicenda quando si è da sole in strada e si ha paura. Le richieste di iscrizione arrivano soprattutto da donne di età diversa, con trascorsi differenti e anche da trans e da persone appartenenti alla comunità queer.
Ma la chat “Scrivimi quando arrivi” ci pone dinanzi ad una scottante verità: ossia la spiazzante normalità di mancanza di sicurezza in cui versano le donne. Questo appello solidale squarcia un velo sulla paura, ma soprattutto dimostra la forte sensazione di mancanza di difesa che spesso è vissuta dalle donne per strada. Il mutuo aiuto è da sempre la prima soluzione delle donne alla violenza di genere: ai tempi delle suffragette, si organizzavano corsi di jujitsu per imparare a difendersi. Gli stessi centri antiviolenza sono nati negli anni Settanta come iniziative autonome delle donne contro l’inerzia dello Stato nel proteggerle. Dove lo Stato fallisce, le donne intervengono. Una scritta comparsa su un muro di Bari la scorsa estate recita: “Quando esco voglio sentirmi libera, non coraggiosa”.
In ogni caso, per quanto queste iniziative in favore delle donne siano lodevoli, non devono e non possono essere la soluzione definitiva. O almeno l’unica strada percorribile. Se la paura delle donne è giustificata, infatti, lo è perchè le soluzioni messe in campo dalle Istituzioni si sono rilevate insoddisfacenti. Nel suo libro La città femminista, l’urbanista Leslie Kern mostra come l’architettura delle città sia ostile alle donne: strade scarsamente illuminate e mezzi di trasporto inefficienti rendono le città non solo più invivibili ma anche più pericolose.
Avere una rete di supporto come quella offerta dalle chat aiuta, ma questo è solo un modo per tamponare un problema più ampio di cui si dovrebbero occuparsi le amministrazioni cittadine, non limitandosi più a riempire le strade di poliziotti pensando sia l’unica soluzione possibile perché le soluzioni sono altre.
“Oltre a rendere più femministe le nostre città, infatti, dobbiamo rendere più femministi i loro cittadini” è quanto ha ribadito Jennifer Guerra, giornalista e autrice che da anni si occupa di violenza di genere e di tematiche femministe.Non bisogna rimandare oltre un cambiamento culturale necessario per un decisivo passo in avanti dell’intera società. L’auspicio, quindi, è che in un prossimo futuro si possa ritornare a dire “Scrivimi” come nel testo della canzone di Buonocore: scrivimi per AMORE e non per PAURA!
ROSA MEGA