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Vallo di Diano, Cordoglio in tutta la Diocesi per la scomparsa di Don Antonio Cantelmi

di Enrico Coiro

Profondo cordoglio ha suscitato in tutta Diocesi di Teggiano-Policastro la scomparsa di don Antonio Cantelmi. Storico parroco delle chiese della Santissima Annunziata e San Rocco di Sala Consilina, in passato, era stato alla guida anche della parrocchia di Buonabitacolo.

Professore alla Facoltà di Teologia e Padre spirituale presso il Seminario di Salerno, don Antonio Cantelmi ha ricoperto anche la carica di presidente dell’Istituto di sostentamento del Clero.Pubblichiamo di seguito un ricordo di Enrico Coiro dedicato al sacerdote scomparso.

Don Antonio Cantelmi, l’onestà del pensiero

Difficile dire come e quando un prete diventa prete. Ancora più difficile stabilire fino a quando un prete rimane convintamente un prete. Parlare con don Antonio significa il più delle volte rimanere spiazzati, o quanto meno sorpresi: non c’è nulla di scontato o prevedibile nelle sue riflessioni; si coglie invece la sensazione di un pensiero in divenire costante, teso al ripensamento continuo: la convinzione di oggi è sempre una correzione della riflessione di ieri ed è inevitabilmente una tesi destinata ad essere sovvertita domani.

Una sua osservazione molto sofferta sulla permanenza della fede partì dalla bruttissima sorpresa di vedere mercificata la morte di Cristo nei dintorni del sepolcro di Gerusalemme, e, in seguito, dalle successive strumentalizzazioni del suo annuncio perpetratesi nella storia. In queste condizioni, disse una volta, «per poter continuare a credere bisogna superare lo scandalo, attraversarlo e rimanerne indenni», un po’ come Cristo stesso dopo le tentazioni nel deserto. Sintomo questo di una sua profonda delusione nei confronti della pretesa, tutta clericale, di essere i soli depositari della verità. Cosa succederebbe se non ci fossero i dubbi a tormentarci, ma anche a consentirci di perfezionare un convincimento?

Credo che la cifra distintiva ed inequivocabile della sua tenace e ostinata permanenza nel clero sia stata, in sintesi, non certo una sua granitica irremovibilità, ma proprio la sua onestà intellettuale che gli ha consentito di mettersi in discussione minuto dopo minuto, ammettendo le sue debolezze e trasformandole in armi ideologiche per riconoscere il dubbio e cercare la risposta sempre e comunque nelle Sacre Scritture, che lui ha sondato, analizzato, scandagliato a fondo e percorso con competenza sempre crescente. Fino alla fine.

Sì. Una fine preventivata e, in qualche modo attesa come una risoluzione ultima. «Vieni, dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora spossata […] vieni senza i cani, vieni senza rudi salariati, vieni senza il mercenario che non sa passare attraverso la porta. Vieni senza aiutante, senza intermediari […] Vieni, ma senza bastone; con amore invece e con atteggiamento di clemenza […] se è vero che, anche se posso aver errato, non ho però scordato i tuoi comandamenti».

Non c’è che dire: si tratta di una vera e propria ammissione di inadeguatezza, innestata tuttavia sul riferimento diretto alla fonte assoluta della verità, senza la mediazione di ideologismi scontati o di codificazioni rituali.

Alcune sue risposte salaci sono rimaste proverbiali; una per tutte: quando, ad un suo parrocchiano che gli aveva chiesto di celebrare una messa «importante» per un suo congiunto (non una messa qualsiasi, ma una messa memorabile ed eccezionale), aveva ribattuto che il corpo di Cristo, una volta offerto in sacrificio, era stato fatto a pezzi e, naturalmente, solo i furbi o i potenti si erano accaparrati la migliore carne di primo taglio, lasciando ai fedeli più sprovveduti le rimanenze. Così come sono rimaste impresse alcune sue omelie concise, fulminee più che brevi, di mezzo minuto o poco più, a sottolineare, se ce ne fosse stato bisogno, che un pensiero rimane tanto più impresso quanto più è privato dei fronzoli che ne occultano la nuda essenzialità.

Ed essenziale è stato anche lui, senza estetismi inutili della parola, testimone vero di una ricerca mai terminata, come nelle riflessioni: «la comprensione di questa verità quale uomo potrà darla a un uomo? quale angelo a un angelo? quale angelo a un uomo?».

Ha studiato tanto ed ha scritto tanto, da sempre. Varrebbe la pena di trasformare tutta la sua produzione letteraria in una raccolta sistematica, una documentazione eccezionale del «pensiero onesto», suscettivo di tutte le umane modificazioni, teso alla ricerca di risposte sempre più convincenti ed esaustive. Anche nelle semplici partecipazioni ad eventi che potrebbero apparire di normale routine non ha mancato di fornire un contributo carico di problematiche rinunzie alle ovvietà, come nella prima edizione del Concerto per la Pace, svoltosi a Sant’Arsenio nel 2008, di cui fu promotore convinto e per il quale lasciò alcune sue memorie, sintetizzate in un volantino che fece distribuire tra gli ascoltatori distratti. Si faceva in esse riferimento al legame assoluto ed imprescindibile che c’è tra la pace e la giustizia, alla impossibilità di ottenere la prima senza aver ottemperato alla seconda, alle numerose proposizioni di questo straordinario assunto sparse nelle Scritture, soprattutto vetero-testamentarie e, ovviamente, alla inutilità delle sterili invocazioni alla pace nel mondo senza indagare e risolvere le situazioni di ingiustizia che pongono alcune popolazioni a reagire con violenza alle sopraffazioni di altre.

Un prete scomodo? Non credo: è stato sempre apprezzato da tutti per la profondità e l’originalità delle sue riflessioni. Un prete difficile? Neppure: la sua pacatezza lo ha portato ad esprimere il suo dissenso con serena tranquillità, senza urtare la suscettibilità di nessuno. Un prete duro? Questo sì; a volte scontroso e ruvido, d’altronde non si può essere perfetti: non ha mai tollerato la superficialità. Però non l’ha mai tollerata nemmeno in sé stesso.

Una delle sue ultime invocazioni, scritte durante l’interminabile calvario della sua malattia: «Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto».

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