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Vallo di Diano unione o fusione? -di Enzo Mattina

di ENZO MATTINA

Il ricordo sempre vivo di Paolo Portoghesi e della sua idea progettuale della Città Vallo di Diano è un fatto positivo ed è encomiabile che militanti politici animati da un forte senso civico si adoperino per rinfrescarne la memoria.

Quel progetto, però, è datato e nei 40 anni che sono trascorsi dal momento della sua ideazione è cambiato totalmente il contesto della sua ipotetica esecuzione.

PAOLO PORTOGHESI
architetto che progetto la CITTA’ VALLO DI DIANO

L’assetto territoriale attuale del Vallo contrasta nei fatti con la visione di Portoghesi, mettendoci dinanzi la conurbazione già avvenuta e in continua amplificazione lungo la statale 19 delle Calabrie, accompagnata dal contemporaneo progressivo svuotamento umano dei 14 comuni che la incoronano.

La parola città non fu usata in senso letterale e a maggior ragione non lo può essere oggi; rappresentava allora una prospettiva di vita e di crescita coordinata, finalizzata a evitare il campanilismo competitivo, che tendeva a moltiplicare per 14 ogni bene, servizio, struttura di interesse collettivo; si volle, invece, richiamare un vincolo di destino comune che, partendo dalla salvaguardia e valorizzazione dei 14 borghi della Comunità montana, coinvolgendone anche alcuni molto prossimi a Nord della Vallata, quali Pertosa, Auletta, Caggiano, realizzasse una gestione del territorio in grado di salvaguardarne al meglio i saperi, le tradizioni e finanche i dialetti, tanto simili e pur tanto diversi, riducendo al minimo la casualità nel recepimento delle innovazioni annunciate o in atto nelle tecnologie, nei nuovi modelli organizzativi della produzione e dei servizi, nei nuovi contenuti del sapere e del saper fare.

Osservando i disegni prodotti da Portoghesi e dai suoi collaboratori, si coglie un’ideazione che concilia passato e presente e che assegna al presente il dinamismo per essere sempre in grado di fare i conti con la pervasività già manifestatasi con la diffusione dell’informatica a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso.

Oggi siamo alla quinta rivoluzione industriale, quella della digitalizzazione spinta e dell’Intelligenza Artificiale Generativa e le buone idee di ieri vanno rivisitate alla luce delle opportunità e/o criticità di questa fase. Per un verso i paesi sono tratti di vita civile e dell’immagine dell’Italia; come tali, ricordando Cesare Pavese ne “La luna e il falò” significano per chi c’è nato, c’è vissuto o anche solo soggiornato per periodi significativi “non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Quello che conta è che chi resta o ritorna o decide di trasferirvisi trovi servizi adeguati, ad esempio tratti di scale mobili, piccoli mezzi a trazione elettrica in grado di trasportare merci e persone nel reticolo di vicoli e vicoletti, un servizio medico che scriva di meno e visiti di più.

Per altro verso, i piccoli paesi potrebbero offrire un’offerta alternativa di ospitalità, basata sulla disponibilità di case e spazi a prezzi contenuti, a vantaggio di talenti giovani e meno giovani, abbisognevoli di luoghi sereni di lavoro e di vita, in cui i rapporti umani sono facilitati, come è nella storia remota dei nostri borghi. Il tutto in alternativa ai mastodontici centri open offices, che mettono a disposizione postazioni di lavoro; luoghi sovraffollati e, come tali, alienanti, che le stesse grandi marche del digitale stanno abbandonando.

Alla luce di queste considerazioni, l’idea di procedere alla fusione dei Comuni in un’unica entità amministrativa non è la risposta giusta, quando anche fosse sostenuta dal responso favorevole di un referendum.

Immagine dal progetto di Paolo Portoghesi della Città Vallo

In aggiunta a queste considerazioni, non si può ignorare il fenomeno di degenerazione dei comportamenti sociali nelle zone delle periferie delle grandi città; mutatis mutandi, il medesimo fenomeno potrebbe manifestarsi nei piccoli centri storici “periferizzati” con buona parte delle case in abbandono, senza luoghi di incontro, forse finanche con le chiese chiuse.

Il consumo del suolo nell’area pedemontana, per altro verso, si moltiplicherebbe a dismisura, con conseguenze più che prevedibili in questa fase di transizione climatica, che ha già anticipato i suoi effetti devastanti in regioni d’Italia quali la Romagna.

Accantonando ogni velleità previsionale, è ragionevole temere che, se non si pone rimedio, anche nel nostro Vallo possano verificarsi eventi nefasti per via dell’origine paludosa del territorio e dell’esposizione ad eventi tellurici devastanti di ampie zone classificate ad alto rischio sismico.

La soluzione più appropriata è di sicuro l’unione dei comuni, che salvaguarda le identità che sono nell’anima delle generazioni nate e vissute in ciascuno dei 15 comuni, ma nel medesimo tempo vuole individuare le scelte strategiche che facciano da volano alla crescita di una nuova identità locale proiettata verso il mondo.

Un istituto con contenuti simili è già sperimentato da anni in campo economico con la fattispecie del “contratto di rete” tra aziende che, conservando identità e autonomia gestionale, s’impegnano a perseguire obiettivi comuni rappresentati già nell’atto costitutivo o, successivamente, attraverso decisioni degli organi statutari. Ne vedo alcuni con priorità assoluta per l’Unione Vallo di Diano: la definizione in tempi ravvicinati di un piano regolatore, che blocchi drasticamente la propensione all’urbanizzazione diffusa nell’area pedemontana e centrale del Vallo, definisca piani di insediamento delle attività produttive e di servizio, adotti un sistema di mobilità collettiva, che alleggerisca il ricorso all’utilizzo delle auto private.

ENZO MATTINA
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