di Carmine Pinto
Tutto è cambiato. Un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina, c’è un mondo nuovo. Innanzitutto, per l’Europa. A partire dalla Seconda guerra mondiale, l’idea stessa di una guerra nel continente era progressivamente scomparsa. Le tensioni degli anni Settanta in Occidente, come gli interventi sovietici in Europa orientale, sembrarono ultime tappe di un processo di pacificazione inarrestabile. Con la fine della Guerra fredda, l’integrazione dei mercati e l’espansione dell’Unione, la guerra tra potenze fu derubricata a ricordi o studi, definitivamente collocati nel passato. Invece la guerra è tornata, ma dopo la sorpresa, tutto è cambiato.
Partiamo dall’Europa. Dopo decenni di dibattiti, analisi e critiche sulla sua fragilità politica, si è osservato l’esatto contrario. L’Unione ha sostenuto l’Ucraina sul piano politico, finanziario e militare. Le narrazioni neo-pacifiste, o addirittura filo-putiniane hanno avuto una qualche penetrazione ma non hanno mai scalfito la compattezza generale. Certo, litigi, gelosie, rivalità non sono mancate, ma sui temi fondamentali della crisi, decisione politica e fabbisogno energetico, l’Unione è stata efficace, il parlamento europeo compatto, i governi nazionali coerenti.
E le novità non sono finite. Innanzitutto, l’Inghilterra è tornata. Certo non è superata la Brexit e Johnson è caduto, ma Londra, retroterra strategico dell’esercito ucraino, è un alleato di ferro. Soprattutto, è stato il presidente Biden a cambiare questa storia. Con la ritirata da Kabul in tanti, forse a partire da Putin, pensavano a un leader debole e anziano. Invece, è apparsa una personalità sorprendente. Sul terreno ideologico, facendo del nuovo liberalismo un manifesto opposto al mito del declino occidentale. Nello scenario strategico, costruendo una alleanza con cinquanta paesi a sostegno dell’Ucraina, con la Nato come piattaforma di questa coalizione.
Sul quadro politico interno, ottenendo una solidarietà tra partiti e opinione pubblica forte ancora oggi. Certo, la guerra è in corso, il risultato di Biden non è scontato, ma sta disegnando un ruolo globale ed interventista degli USA diverso dalla politica di Trump, e forse di Obama. Putin ha dovuto fare i conti con tutto questo. La Russia era entrata in guerra convinta di una facile vittoria. Aveva vinto direttamente o indirettamente in Ucraina nel 2014, in Siria nel 2015, in Venezuela nel 2017 (e in paesi africani). Con il ferreo controllo del suo partito oligarchico e delle materie prime del paese, aveva offerto al mondo materie prime in cambio di influenza globale, e a parte del suo paese una certa redistribuzione economica, garantendosi un potere quasi assoluto.
La costruzione del Mondo russo, con l’occupazione dell’Ucraina, doveva seppellire l’ordine mondiale post-Guerra fredda e diventare il suo legato storico. Invece, tutto gli è andato storto. Il suo esercito ha subito sconfitte epocali, buona parte del mondo ha denunciato l’invasione, l’Occidente si è mobilitato come mai. Senza contare l’impressionante sequenza di crudeltà contro i civili, che ha posto i riflettori sugli aspetti più cupi di tutta la storia del regime putiniano. L’opposizione interna è stata repressa, ma esiste un sentimento forte, nel paese e tra le centinaia di migliaia di russi all’estero, che spera nella sua sconfitta e vede nella fine del regime la possibile europeizzazione della Russia.
Comunque, Putin è riuscito a gestire le sanzioni, mantenere saldo il suo potere a Mosca e conservare relazioni forti con le autocrazie asiatiche e africane, ma oggi è molto più debole sullo scacchiere internazionale. Cerca consensi, legittimazione e simpatie. Si è aggrappato a rapporti di forza inversi alla Cina. Ora accoglie Wang Li e spera nella visita di Xi Jinping a Mosca. Eppure, anche per il capo del regime cinese, niente è più come prima. In questi tre anni ha perso la sfida globale sulla gestione della pandemia, ma è riuscito a potenziare ed eternizzare il proprio potere nel partito e nel paese.
Dopo l’invasione dell’Ucraina ha mostrato il muso duro contro il blocco delle democrazie a favore di Taiwan, ma è riuscito a demolire la società liberal-democratica di Hong Kong senza pagare nessun prezzo reale.Xi Jinping non si aspettava una sconfitta russa né una reazione occidentale di questa portata. Continua a parlare di cooperazione russo-cinese e di piano di pace, ma non sembra cercare un conflitto con l’Occidente e sembra invece concentrato su una soluzione accettabile.
Non può perdere la Russia, la sua europeizzazione cambierebbe l’equilibrio mondiale, ma vuole tutelare il suo ruolo geopolitico e la sua potenza economica. Anche Xi ha preso atto della svolta più importante di tutte: la resistenza ucraina. All’inizio della guerra il ritornello ricorrente giudicava impossibile una sconfitta russa o una capacità di tenuta degli ucraini. Molti hanno investito su questo la propria visibilità politica o mediatica. Invece, il presidente Zelensky, l’esercito e tutta una nazione hanno combattuto sul campo, sopportato massacri, costruito alleanze, trasformando Kiev da una città assediata al palcoscenico della sfida globale. Si tratta di un momento unico per la storia della democrazia mondiale.
Se l’Ucraina è in guerra, con tutti i problemi o gli errori del caso, ha scelto di adottare un nazionalismo liberale ed europeista, e ne ha fatto la sua bandiera. Se l’invasione verrà respinta, l’Ucraina (insieme alla Polonia) sarà una delle nuove potenze del continente. Certo attori, protagonisti e comprimari, non possono sapere come andrà a finire. Una cosa è certa, però, un mondo è cambiato per sempre, e quello nuovo sarà tutto da costruire.
(Da Il Mattino)