Di Giuseppe Geppino D’Amico

Saranno presentati al pubblico nel pomeriggio di domenica 14 dicembre a Polla (vedi locandina allegata) i lavori per il restauro degli affreschi del Santuario Francescano di Sant’Antonio delle Lacrime, finanziati con fondi del Comune, che ha anche ottenuto un finanziamento PNRR di 530.000 euro per la sistemazione definitiva della copertura del Santuario. I restauri, affidati a Pino Schiavone, hanno riportato all’antico splendore numerosi affreschi. In particolare, sulla parte destra della navata centrale, sotto le dipinture del ’900 è riapparso un affresco datato 1761 in discreto stato di conservazione, raffigurante San Ludovico da Tolosa. Inoltre, nell’angolo sono riemerse porzioni di un testo cinquecentesco con l’immagine di un santo martire.
È stata scoperta anche la quinta arcata sulla parete destra, anch’essa affrescata e risalente agli inizi del XVI secolo. Un’altra sorprendente scoperta riguarda due nicchie inglobate, una dell’inizio dell’Ottocento e l’altra affrescata ai primi del Cinquecento.
Ma la rivelazione più interessante è un affresco risalente agli inizi del ’600, attribuito al pittore lucano Pietro Antonio Ferro, raffigurante la “Discesa agli Inferi di Gesù Cristo”. Proprio a questo straordinario dipinto è dedicato il convegno del 14 dicembre.
Abbiamo chiesto a fra Domenico Marcigliano, autore di diversi volumi dedicati al Santuario pollese e all’arte francescana in Basilicata, di illustrarci il dipinto.
La discesa agli Inferi di Gesù Cristo – Di fra Domenico Marcigliano

Il complesso e delicato intervento di restauro e le nuove ricerche che ad esso si stanno accompagnando, ci conducono verso una valorizzazione ulteriore del Santuario Antoniano che ora si svela allo sguardo stupito con questo restauro in una riscoperta di una ricchezza iconografica finora poco leggibile per l’usura e i danni subiti dello strato pittorico. Ogni proposta in seguito al restauro dovrà basarsi essenzialmente sull’analisi stilistica, cercando poi di connettere i risultati con le vicende storiche dell’edificio sacro. Con il restauro in corso è possibile effettuare l’analisi di una decorazione che un tempo doveva essere più estesa almeno in alcuni punti. Modifiche dovute alle trasformazioni settecentesche dei finestroni e della fascia decorativa sottostante alle scene. Il ciclo in questione è articolato in tredici riquadri e con l’Annunciazione bipartita sull’arco trionfale dell’altare maggiore. Gli affreschi si sviluppavano secondo un programma meditato, coerente, sintetico, cristologico e coprono tutte le pareti. Questi affreschi rappresentano un vero unicum non solo per il valore storico-artistico ma per l’eccezionale significato catechetico e teologico delle immagini raffigurate. Pitture che ci parlano di una qualità tipica dell’autore lucano Pietro Antonio Ferro a cui sono attribuiti. Parliamo di uno stile tardo manierista pur fissando la datazione nei primi anni del sec. XVII. Il ciclo degli affreschi di Polla rientrerebbe nel primo periodo artistico del pittore (1601 – 1620) contrassegnato dai cicli affrescati e da opere fortemente didascaliche in cui il messaggio controriformato veicolato dal soggetto sacro prevale sullo stile, convenzionale e di maniera. Attinge ad un repertorio di stampe di matrice tosco-romana a lui ben note o in suo possesso, al fine di ottenere prodotti quanto mai aggiornati che possano competere con quelli delle regioni italiane artisticamente più evolute.

Le scene dipinte lasciano scorgere una pittura caratterizzata da una gamma cromatica chiara, dove il colore è steso con una pennellata leggera che con sapienti trapassi chiaroscurali riesce a mettere in evidenza un plasticismo saldo. La gamma cromatica è contenuta, composta essenzialmente rosso, blu, verde e beige in toni a tratti brillanti. La posizione degli affreschi, su tutte le pareti della Chiesa-Santuario, consentono di affermare che si tratta di una campagna pittorica di ampio respiro, esempio tangibile di una committenza che voleva lasciare il proprio segno all’interno della chiesa con un chiaro intento teologico. Da un punto di vista formale emerge un’eleganza nei modi di stampo cinquecentesco; l’artista cerca di costruire forme plastiche accostando pennellate dai toni contrastanti creando così un articolato disegno di superficie che smaterializza i volumi. La componente grafica è accentuata dai marcati tratti bruni utilizzati per delineare i contorni degli oggetti e delle anatomie: tra le scene abbiamo “il dipinto svelato” della Discesa agli inferi. Un unicum nel panorama iconografico in quanto molto raramente raffigurato nel sud Italia. In Campania abbiamo rari esempi, tra questi la scena nel ciclo pittorico di sant’Angelo in Formis (sec. XI). Nel nostro caso del ciclo pollese la scena raffigura Cristo il quale, tenendo in mano il vessillo della vittoria, entra nel luogo dove si vive una non vita e i cui abitanti sono simili a presenze umbratili, né vivi né morti, e lo fa per liberare i progenitori, Adamo ed Eva che sono posti dietro di lui. Questa scena è posta subito prima dell’affresco della Resurrezione e dopo la Deposizione nel sepolcro.

I volti dai tratti delicati e pensierosi, le pieghe dei panneggi ampie e falcate, la cromia dei “salvati” livida e spenta e la pennellata ampia e ricca, il volto grifagno del diavolo posto in alto con le catene, sono tutti aspetti stilistici che rendono agevole la lettura di questo “articolo” del Credo: morì e fu sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno resuscitò da morte. Quando la Scrittura parla degli inferi non vuole indicare l’inferno quale stato di dannazione, ma intende fare riferimento al soggiorno dei morti, a ciò che in ebraico è detto sheol e in greco hades. Il descensus di Cristo nel regno dei morti è la marcia trionfale del Salvatore che libera dai lacci degli inferi l’uomo tenuto schiavo nella dimora delle ombre. La discesa evidenzia l’amore infinito di Dio‚ che desidera raggiungere ogni anima‚ portando speranza e liberazione dall’oscurità del peccato e quindi‚ è vista come un atto di amore e giustizia divina‚ estendendo la grazia a tutti‚ anche a coloro che erano morti prima di lui․
Fra Domenico Marcigliano


