Di Giuseppe Geppino D’Amico
Un anno fa si concludeva la sessione di ricerca archeologica 2024 nella Grotta di Polla. A coordinare le attività Antonella Minelli dell’Università degli Studi del Molise, in stretta collaborazione con il Comune di Polla e la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino. Obiettivo degli scavi: fare luce sul contesto archeologico del sito, che conserva testimonianze databili dal Neolitico finale all’Età del Bronzo. Particolare rilievo assume ancora oggi una relazione del 1971 inviata all’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Campania dal prof. Mario Napoli, archeologo di chiara fama, che nella sua carriera ha riportato alla luce la Porta Rosa di Velia e la Tomba del Tuffatore di Paestum. Va ricordato, però, che si occupò anche della Grotta di Polla, come dimostra una relazione del 1971 allegata a una “Perizia dell’importo di lire 40 milioni intesa alla parziale esplorazione archeologica e alla valorizzazione del complesso di Polla”.
GUARDA IL VIDEO CON LA NUOVA PUNTATA DI CON-TATTO
La prima esplorazione della grotta risale al luglio 1956, quando cinque giovani locali – Raffaele Cimmino, Giulio Sinforosa, Dionigi Peccheneda, Giuseppe Fiordispina e Carlo Abbamonte – si addentrarono più volte nella cavità scattando le prime foto. Per entrare fu necessario allargare il cunicolo d’accesso, e la loro impresa richiamò l’attenzione del prof. Pietro Parenzan, che nel 1957 la descrisse nel volume “Tenebre Luminose”, pubblicato dall’Editrice S.E.I. di Torino. Successivamente, nel 1990, anche Dionigi Peccheneda pubblicò un piccolo pamphlet dal titolo “Ricordo di una grotta in Polla”, dal quale sono tratte alcune delle immagini che oggi vi mostro.
Gli scavi svoltisi nell’ultimo decennio hanno permesso di comprendere quanto la grotta occupi una posizione di rilievo nel panorama speleo-archeologico italiano, poiché conserva tracce di comunità preistoriche che la utilizzarono come luogo sacrale e di culto.
Tornando alla relazione del prof. Mario Napoli, riporto di seguito alcune parti salienti, poiché contengono idee programmatiche rimaste, purtroppo, solo idee: “La Grotta di Polla – scriveva Mario Napoli – è ben nota agli studiosi di Paletnologia per la grandezza del giacimento preistorico in essa depositato e per l’ampiezza del periodo cronologico che questo giacimento ricopre. Una completa bibliografia degli studi di carattere geologico, archeologico e naturalistico ad essa dedicati è raccolta in ‘Seconda Mostra della Preistoria e della Protostoria nel Salernitano’, edita a Salerno nel 1974. I primi scavi scientifici eseguiti nel giacimento avvennero nel 1964 ed interessarono il vestibolo e la prima sala interna. Nel vestibolo fu messo in evidenza e sezionato un enorme deposito che, con i livelli più recenti, risale fin verso il VI secolo a.C. e contiene ceramica di tipo greco importata dalle colonie elleniche della costa”.
“Gli strati più profondi raggiunti, a circa tre metri dall’attuale piano di calpestio, risalivano invece all’Età del Bronzo Finale (XI sec. a.C.). Il giacimento, sezionato nella campagna di scavo 1971 per una profondità di circa cinque metri, si è accumulato in un arco di tempo compreso tra il V millennio a.C. e il X secolo a.C., con livelli riferibili al Neolitico Medio, all’Età del Rame e all’Età del Bronzo Medio. Nel Bronzo Recente e Finale, accanto a vasellame locale, si rinvennero anche manufatti di bronzo e un frammento di ceramica micenea, scoperta che ebbe ampia risonanza nel mondo scientifico”.
“Si provvederà – scriveva ancora Napoli – alla sistemazione nel vestibolo di tre vetrine refrattarie all’umidità per esporre il materiale archeologico rinvenuto, e alla chiusura dell’accesso con una decorosa cancellata per garantire la salvaguardia del sito”. Nella parte finale della relazione, l’insigne studioso auspicava l’esposizione in loco dei reperti e soprattutto sosteneva la valorizzazione turistica della Grotta di Polla. Purtroppo, la sua scomparsa nel 1976, mentre era ancora in servizio, interruppe il progetto e i reperti vennero trasferiti altrove.
Oggi, cinquantacinque anni dopo, quello sviluppo turistico non si è mai realizzato. Probabilmente, la difficoltà di accesso ha influito sulla mancata apertura al pubblico. Forse non è sbagliato ritenere che molto sia dipeso dal fatto che, dal 1976, alla guida della Soprintendenza Archeologica non c’è stato un altro Mario Napoli.


