Di Carmine Pinto
Putin e Zelensky sono in stallo. I due leader non hanno ancora determinato il risultato del conflitto. Certo, il quadro è cambiato, rispetto alla storica relazione tra il grande regime russo e la piccola democrazia ucraina. Putin era un potente del mondo. Aveva costruito una autocrazia presentabile, integrata nell’economia globalizzata, sviluppando un disegno imperiale collocato al centro dell’Asse delle autocrazie. Zelensky era uno sconosciuto. Aveva assunto la guida di un paese marginale, considerato la frontiera povera d’Europa, stabilizzando però una democrazia liberale dell’alternanza e una crescente europeizzazione della società.
Tre anni dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’equilibrio è cambiato. Putin è sostenuto solo dai tiranni asiatici, latini, africani; ha incassato sconfitte epocali, prima perdendo la Siria, poi costretto al silenzio mentre Israele e Usa umiliavano il suo principale alleato, l’Iran di Khamenei. Il ridimensionamento è confermato dalla subordinazione alla Cina. L’unico vero successo, oltre all’annientamento dell’opposizione russa, è la penetrazione in settori dell’opinione pubblica globale, con una disinformazione capace di costruire posizioni neutraliste o populiste.
Zelensky ha il consenso di tutti i paesi liberi; pagando un prezzo carissimo, ha governato la più imponente mobilitazione indipendentista della storia europea recente, mentre l’Ucraina è diventata una potenza politica e militare di dimensioni continentali. La politica di Trump ha indebolito il suo asse euro-atlantico, ma per ora non l’ha spezzato. Il maggiore successo è l’affermazione di una identità nazionale ucraina insuperabile e del tutto compatibile ed integrata con il progetto europeo.
Per ora, anche se Putin e Zelensky non riescono a superare una condizione di parità strategica (in termini di mezzi e risorse umane e materiali), l’equilibrio si è ribaltato: in termini di relazioni internazionali e soprattutto di potenza simbolica, Zelensky è un simbolo globale della democrazia, Putin l’incarnazione dell’autocrazia. I due leader hanno interpretato una pagina epocale, cambiando lo stesso significato storico dei propri paesi, anche se il destino della guerra non è mai scritto prima.