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Presentato il libro sul “mitico” incisore di Gemme Andrea Cariello: “Merita un museo nella sua Padula” (VIDEO)

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Andrea Cariello, autoritratto

“C’è un vuoto letterario su Andrea Cariello al quale non è stata resa giustizia prima del libro di Maria Teresa D’Alessio che ha colmato una lacuna di cento anni. Prima c’erano soltanto due scritti, uno di don Arcangelo Rotunno, suo mentore, il secondo del 1914 attribuito a Raffaele La Tagliata. Quindi, il libro che oggi viene presentato merita un plauso perché colloca Andrea Cariello nella dimensione che merita”.

Con queste parole Antonio Cariello, discendente del ramo collaterale del fratello dell’illustre incisore (Francesco Saverio), ha spiegato nel corso della presentazione del libro di Maria Teresa D’Alessio, “Andrea Cariello nel Panorama Artistico Napoletano, Il talento di una famiglia”, (Naus Editoria), presentato a Padula nella Chiesa dell’Annunziata. Numerosi gli intervenuti all’incontro, organizzato dal locale Club Lions.

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Dopo i saluti del Parroco don Giuseppe Radesca, del Vescovo della Diocesi di Teggiano-Policastro, Padre Antonio De Luca, della vice Sindaca di Padula, Caterina Di Bianco, del vice Presidente della Provincia, Giovanni Guzzo, e del consigliere regionale Tommaso Pellegrino, è intervenuta Vega de Martini, indimenticata direttrice della Certosa di San Lorenzo che ha esordito affermando di avere “la Certosa nel cuore e vorrei donare a Padula tutto il fondo con i libri che ho sul cenobio certosino; sono pronta a combattere perché sia finalmente rimossa quella scala esterna che per me è un pugno nello stomaco: non possiamo sopportare questo scempio”.

Parlando del libro ha poi ricordato che l’Autrice ha al suo attivo altre pubblicazioni su Andrea Cariello, in particolare il romanzo storico “L’incisore di gemme” del 2018. Con questa nuova ricerca ha riportato alle luce nuove acquisizioni in merito all’attività svolta da Andrea Cariello a Napoli e non solo, individuando la collocazione di numerose sue opere. Soprattutto, ha ricostruito l’iter del Gran Topazio e come sia arrivato nel Museo Diocesano di Taranto. 

Antonio Cariello

Sul motivo del grande interesse per il Gran Topazio Antonio Cariello ha affermato: “Personalmente sono cresciuto con il mito di Andrea Cariello in quanto mio nonno e mio padre hanno lottato cento anni per individuare il luogo dove era custodito il Gran Topazio e ho provato una grande emozione e quando ho potuto ammirarlo nel Sala del Tesoro del capitolo nel Museo Diocesano di Taranto, dove è stato ricollocato in una posizione più centrale e, quindi, più consona alla straordinario valore del gioiello. Si tratta di un’opera in oro e topazio raffigurante Cristo che spezza il pane (cm. 32 x 20).

Non a caso, all’ingresso della Cattedrale della città pugliese è stata affissa una gigantografia del Gran Topazio con l’invito a visitare il Museo. Padula ha la fortuna di custodire una copia del Gran Topazio che è lo sportello del tabernacolo della Chiesa dell’Annunziata che raffigura Cristo che spezza il pane (in rame dorato). L’opera fu realizzata da Andrea Cariello su richiesta di don Arcangelo Rotunno che fu parroco dell’Annunziata per 60 anni”. Fra le altre opere del Cariello il relatore ha ricordato “il grande collare in argento dorato con l’immagine di San Tommaso d’Aquino commissionato da Ferdinando II per farne dono ai docenti dell’Università di Napoli. Sarà riprodotto nel 1923 per conto della stessa Università con il medesimo intendimento. Per quanto riguarda le medaglie ne conosciamo soltanto 22 ma sono molte di più.  L’auspicio è che Padula voglia ricordare degnamente il grande concittadino con un museo a suo nome”.

Vega De Martini e Maria Teresa D’Alessio

A conclusione della manifestazione l’Autrice del libro, Maria Teresa D’Alessio (pure discendente del ramo collaterale del fratello dell’illustre incisore, Francesco Saverio), ha ringraziato i presenti e quanti hanno messo a disposizione il materiale inserito nel libro (documenti e foto delle opere). Dopo avere annunciato che continuerà ad occuparsi del grande incisore si è detta favorevole alla proposta avanzata da Antonio Cariello di dare vita in Padula ad un museo intestato ad Andrea Cariello.

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Nato a Padula il 1° dicembre 1807 da mastro Nicola il “tabaccheraro” (in realtà faceva il tornitore) e da Maria Santomauro, Andrea Cariello fin da piccolo mise in mostra le sue eccezionali doti di artista. A soli 13 anni scolpì un artistico mortaio utilizzando la pregiata pietra di Padula. Due anni dopo si trasferì a Napoli dove cominciò a frequentare uno studio di scultura in legno. Per le sue doti, e dopo che fu visto copiare mirabilmente un San Vincenzo, opera del maestro, fu ammesso a frequentare l’Istituto delle Belle Arti. Il primo lavoro che gli diede notorietà fu un bassorilievo d’avorio su cui incise l’immagine del re Ferdinando II di Borbone. Fu presentato al sovrano con queste parole:”Maestà, vi presento nu cafunciello ‘e fora”.

Il crescente successo ed il fatto di non essere napoletano, bensì un “regnicolo” (così venivano chiamati coloro i quali dai paesi delle province del regno si trasferivano a Napoli) gli attirò l’invidia degli artisti napoletani, ma resosi conto del suo grande valore, il re in persona lo nominò incisore della Zecca regia. L’Artista lo ripagò scolpendo una statua del re a mezzo busto. Fu l’inizio del successo perché i suoi lavori cominciarono ad essere apprezzati in tutta Europa.

Quando gli fu offerto il posto di Direttore della Zecca di Londra rifiutò per non lasciare la famiglia in Italia. Con l’arrivo a Napoli di Garibaldi, Andrea Cariello fu nominato Direttore del Gabinetto d’Incisione della Zecca di Napoli e professore all’Istituto Tecnico. A Padula di Andrea Cariello è possibile ammirare soltanto una Santa Filomena, un medaglione in rame di Vittorio Emanuele II e qualche altra opera minore. Delle molte opere da lui realizzate vanno ricordate il busto in marmo di Ferdinando II a Caserta; un monumento a Mons. Rosini, a Pozzuoli; un busto in marmo del canonico Lucignano a Pozzuoli; un busto in marmo di Mons. Rosini a Napoli. Vanno poi evidenziate le splendide monete eseguite in rame, argento e oro. Realizzò i ritratti in pietre dure di Ferdinando II e Maria Teresa scolpiti in sardonica; una baccante, su ametista (proprietà Hothford, Londra); il ritratto della Principessa di Belmonte, a Napoli; Alcibiade (proprietà Conte Nigra), Venere e Amore. Statue in legno da lui realizzate si conservano in varie chiese del Salernitano e della Basilicata, a Teggiano, a Calandra, ad Altamura ed a Ferrandina. Quella del Cariello fu un’autentica famiglia d’arte. Nel libro, sia pur brevemente per l’esiguità delle fonti, si accenna anche alla “Scuola dei Cariello” e alla sua produzione, essendo essa presente sul territorio del Vallo di Diano come unico esempio di scuola di arte figurativa tenutasi nel Vallo di Diano tra il XIX e il XX secolo.

Mentre il più illustre esponente della famiglia svolgeva la sua attività nella Napoli Borbonica prima e Post-Unitaria poi, a Padula, infatti, si affermavano il fratello Francesco Saverio e suo figlio Vincenzo. Entrambi, anche se in un ambito minore, davano impulso all’attività familiare intrattenendo continui contatti con Andrea, divenuto, negli anni, Direttore del Gabinetto d’Incisione presso la Reale Zecca Napoletana. A questi ultimi di affiancavano in maniera parziale, Antonio e agli inizi del XX secolo, il figlio di Vincenzo, Paolo. In particolare, Vincenzo, ancora oggi, è citato nell’America del Sud, a Buenos Aires, in quanto partecipò alla riqualificazione urbanistica della città insieme ad un folto gruppo di artisti e artigiani italiani. Oggi è Maria Letizia, più nota come Leita, che continua a coltivare, sotto alternative espressioni, l’amore per la creatività figurativa. L’Artista è stata insignita dell’Ambrogino d’oro, massima onorificenza della Città di Milano, come migliore artista di fine ‘900.

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