Di Giancarmine Vicinanza
Il calcio, a volte, smette di essere uno sport e diventa specchio dell’esistenza. È quello che sta accadendo a Salerno che assiste incredula alla sua Salernitana sprofondata dalla Serie A alla Serie C, in due anni che sembrano due secoli. Non è una retrocessione. È un’apocalisse emotiva. È la caduta di un popolo. Perché la Salernitana non è mai stata solo una squadra di calcio.

È il battito del cuore di una città che si ritrova nelle mura millenarie del castello di Arechi e nelle gradinate del Vestuti dove si sono formate e infiammate intere generazioni di tifosi. È l’orgoglio di chi ha costruito la propria identità attorno a quella maglia che porta i colori dell’amore, di chi si è sempre sentito fiero della propria salernitanità. Di quella Curva Sud, di quella tifoseria che ha incantato l’Italia intera per passione e coreografie da oscar. E ora? Ora Salerno si ritrova a dover spiegare ai propri figli perché la squadra del cuore giocherà contro il Picerno. Il punto, sia chiaro, non è solo e tanto la retrocessione. Non è il dover giocare contro il Giugliano o la Cavese… Il problema è il modo di fare. È il “faremo”, “diremo”, “compreremo”. È il mercato eterno, quello che inizia sempre domani e non finisce mai oggi. Così a poco più di venti giorni dall’inizio del campionato, la rosa non è ancora completata. Non è un dettaglio, è la fotografia di un metodo.

È la riproposizione di quello stesso cliché che ha accompagnato la caduta all’Inferno. Dalle gloriose prestazioni contro Juventus, Lazio e Milan in trasferta, al derby del prossimo autunno contro la Cavese. I tifosi salernitani stanno vivendo il loro Maracanazo. Come il Brasile del 1950, che perse i mondiali in casa davanti al proprio popolo, Salerno ha visto sgretolarsi il sogno più bello proprio quando sembrava a portata di mano.

Ma se il Brasile perse contro l’Uruguay, la Salernitana ha perso contro se stessa vittima di un tradimento a più livelli: 1) quello di una proprietà che promette la parte sinistra della classifica e consegna macerie; 2) quello di una politica locale dove le forze di maggioranza non hanno mai mosso un dito per aiutare la squadra della città 3) quello delle opposizioni semplicemente non pervenute. E invece la Salernitana è un patrimonio collettivo che genera economia, identità e coesione sociale. Chi governa il territorio ha il dovere di tutelarlo.

Il 24 agosto la Salernitana ripartirà dalla serie C. I suoi tifosi ripartiranno dal loro amore che non conosce categoria. È l’unica certezza in una storia che meriterebbe un finale diverso e che speriamo possa trovare in patron Iervolino lo sceneggiatore per ricominciare. Perché o la Salernitana rinascerà dalle proprie ceneri, oppure questo sarà solo l’ennesimo capitolo di un declino che va ben oltre il calcio.