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Padula, sabato il libro di Maria Teresa D’Alessio su Andrea Cariello, “nu cafunciello ‘e fora”

Di Giuseppe Geppino D’Amico

Sarà presentato sabato 21 dicembre (ore 10,30) a Padula, nella Chiesa della SS. Annunziata, il libro di Maria Teresa D’Alessio “Andrea Cariello nel Panorama Artistico Napoletano – Il talento di una famiglia”. Dopo i saluti istituzionali, oltre all’Autrice, il programma (V. Locandina) prevede gli interventi, tra gli altri, di Vega De Martini (Storica dell’Arte, già direttrice della Cerosa di San Lorenzo), Francesco Simone (Direttore del Museo Diocesano di Taranto), Antonio Cariello (Rappresentante della Famiglia) e Tommaso Di Napoli (Governatore Lions Ya). Coordinerà gli interventi Vincenzo Onorato.

Andrea Cariello, incisore e scultore, è senza dubbio considerato l’artista che nella prima metà dell’Ottocento raggiunse la maggiore notorietà. Nato a Padula il 1 dicembre 1807 da mastro Nicola il “tabaccheraro” (in realtà faceva il tornitore) e da Maria Santomauso, fin da piccolo mise in mostra le sue eccezionali doti di artista. A soli 13 anni scolpì un artistico mortaio utilizzando la pregiata pietra di Padula. Due anni dopo si trasferì a Napoli dove cominciò a frequentare uno studio di scultura in legno. Per le sue doti, e dopo che fu visto copiare mirabilmente un San Vincenzo, opera del maestro, fu ammesso a frequentare l’Istituto delle Belle Arti. Il primo lavoro che gli diede notorietà fu un bassorilievo d’avorio su cui incise l’immagine del re Ferdinando II di Borbone. Fu presentato al sovrano con queste parole: ”Maestà, vi presento nu cafunciello ‘e fora”. Il crescente successo ed il fatto di non essere napoletano, bensì un “regnicolo” (così venivano chiamati coloro i quali dai paesi delle province del regno si trasferivano a Napoli) gli attirò l’invidia degli artisti napoletani e questo gli impedì di vincere il concorso di incisore di pietre dure e di occupare la cattedra di professore in una scuola di incisione di acciaio. Il re gli preferì un altro incisore ma la sua grande abilità consentì al Cariello di emergere comunque.

Infatti, resosi conto del suo grande valore, il re in persona lo nominò incisore della Zecca regia con uno stipendio di 120 ducati l’anno. L’Artista lo ripagò scolpendo una statua del re a mezzo busto. Fu l’inizio del successo perché i suoi lavori cominciarono ad essere apprezzati in tutta Europa. Quando uno scultore inglese gli offrì il posto di Direttore della Zecca di Londra dove avrebbe avuto uno stipendio molto cospicuo, egli rifiutò per non lasciare la famiglia in Italia. Andrea Cariello è noto principalmente agli studiosi di numismatica per la sua attività di incisore, grazie all’enorme produzione di medaglie e di monete nel corso del XIX secolo. Meno conosciuto è, invece, in qualità di glittico, di scultore e di decoratore. “Grazie alla cospicua produzione epistolare lasciata dal sacerdote Arcangelo Rotunno e al carteggio intercorso tra questi e il figlio dell’Artista, Nicola, unitamente ai documenti conservati negli archivi napoletani -scrive nella Prefazione Maria Teresa D’Alessio- è stato possibile ripercorrere le linee generali della storia umana e artistica dell’Incisore, peraltro mai esaminate in maniera organica fino a oggi, anche dagli studiosi locali, nonostante egli sia uno dei pochi artisti di senso compiuto nativo di Padula”. Nel 1853 Ferdinando II gli commissionò un lavoro che altri incisori non erano riusciti a portare a termine: lavorare un grosso topazio. Andrea Cariello portò a termine l’opera meritando lodi unanimi. La sua opera fu portata in mostra sia all’Esposizione di Chicago. Tra i tanti meriti del nuovo libro c’è quello della ricostruzione, grazie a documenti rinvenuti negli archivi di Napoli, della vicenda del Gran Topazio (V. foto in bianco e nero allegata tratta da un articolo di Arcangelo Rotunno del 1908 sulla Rivista “Vita d’Arte).

Sul topazio finora erano circolate versioni diverse ma è, senza alcun dubbio l’opera più significativa dell’Artista padulese che una commissione di esperti francesi definì “il più grande gioiello artistico del mondo”. Oggi il Gran Topazio è custodito nel Museo Diocesano di Taranto. Con l’arrivo a Napoli di Garibaldi, Andrea Cariello fu nominato Direttore del Gabinetto d’Incisione della Zecca di Napoli e professore all’Istituto Tecnico. Onorato d’alte cariche, visse sempre modesto e fu cittadino, consorte e padre esemplare. A Padula di Andrea Cariello è possibile ammirare soltanto una Santa Filomena, un medaglione in rame di Vittorio Emanuele II e qualche altra opera minore. Delle molte opere da lui realizzate vanno ricordate il busto in marmo di Ferdinando II a Caserta; un monumento a Mons. Rosini, a Pozzuoli; un busto in marmo del canonico Lucignano a Pozzuoli; un busto in marmo di Mons. Rosini a Napoli. Vanno poi evidenziate le splendide monete eseguite in rame, argento e oro. Realizzò i ritratti in pietre dure di Ferdinando II e Maria Teresa scolpiti in sardonica; una baccante, su ametista (proprietà Hothford, Londra); il ritratto della Principessa di Belmonte, a Napoli; Alcibiade (proprietà Conte Nigra), Venere e Amore. Fra le sue opere di maggiore pregio va inserito un ritratto della moglie, inciso su di una corniola grande pochi centimetri. Statue in legno da lui realizzate si conservano in varie chiese del Salernitano e della Basilicata, a Teggiano, a Calandra, ad Altamura ed a Ferrandina. Quella del Cariello fu un’ autentica famiglia d’arte. “Nel libro -si legge nella prefazione- sia pur brevemente per l’esiguità delle fonti, si accenna anche alla “Scuola dei Cariello” e alla sua produzione, essendo essa presente sul territorio del Vallo di Diano come unico esempio di scuola di arte figurativa tenutasi nel Vallo di Diano tra il XIX e il XX secolo. Mentre il più illustre esponente della famiglia svolgeva la sua attività nella Napoli Borbonica prima e Post-Unitaria poi, a Padula, infatti, si affermavano il fratello Francesco Saverio e suo figlio Vincenzo. Entrambi, anche se in un ambito minore, davano impulso all’attività familiare intrattenendo continui contatti con Andrea, divenuto, negli anni, Direttore del Gabinetto d’Incisione presso la Reale Zecca Napoletana. A questi ultimi di affiancavano in maniera parziale, Antonio e agli inizi del XX secolo, il figlio di Vincenzo, Paolo…..In particolare, Vincenzo, ancora oggi, è citato nell’America del Sud, a Buenos Aires alla cui riqualificazione urbanistica partecipò insieme ad una nutrita schiera di artisti e artigiani italiani. Oggi è Maria Letizia, più nota come Leita, suo nome d’arte che continua a coltivare, sotto alternative espressioni, l’amore per la creatività figurativa”.

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