Mercoledì scorso durante una seduta della Commissione Bilancio del Senato, chiamata a deliberare sull’abbassamento del canone RAI, si è consumata una nuova spaccatura nella maggioranza di Centrodestra che sostiene il Governo Meloni: Forza Italia ha votato insieme con l’opposizione contro l’emendamento della Lega che proponeva di tagliare la tassa da 90 a 70 euro per cui la proposta è stata bocciata. Poco dopo, per ripicca il Carroccio si è astenuto e in un colpo solo ha affondato un provvedimento di Forza Italia sulla sanità in Calabria il cui presidente, Roberto Occhiuto, vice segretario di Forza Italia, peraltro, non ha mani nascosto la sua contrarietà all’autonomia differenziata. Come dice un antico proverbio, con una sola astensione la Lega ha preso due piccioni con una fava.
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Franchi tiratori o fuoco amico? Entrambi fanno parte a pieno titolo del lessico politico ma qualche differenza c’è. In politica “franchi tiratori” è una locuzione usata sempre più spesso in riferimento a chi, approfittando del segreto dell’urna, vota in modo diverso dal proprio schieramento o partito. È una espressione vecchia di almeno un paio di secoli; arriva dalla Francia e significa “libero”. A quanto è dato sapere la prima volta che si parlò di franchi tiratori fu negli anni della Rivoluzione francese alla fine del Settecento in riferimento a singole persone o piccoli gruppi di fanteria leggera che combattevano una sorta di guerriglia autonoma e non dipendente dagli ordini o dai piani a cui doveva invece sottostare l’esercito regolare. Dalla Francia, la parola si diffuse anche in Italia: infatti “franco tiratore” è attestato nell’italiano scritto dal 1870. Chi si occupa di politica da tempo ricorderà i tre “mezzi tecnici” che il più volte ministro democristiano, Carlo Donat-Cattin, propose tra il serio e l’ironico quelli che a suo dire erano gli unici mezzi davvero efficaci per non far eleggere un candidato sicuro: “veleno, pugnale o franchi tiratori”.
Di “franchi tiratori”, che secondo il giornalista Giuliano Ferrara sono “il sale della democrazia parlamentare”, si parla anche in occasione di votazioni a scrutinio segreto che danno risultati diversi da quelli previsti. Casi simili si sono verificati in diverse occasioni anche quando il Parlamento era chiamato a votare per l’elezione del presidente della Repubblica. E questo si è verificato più volte: nel 1992 Arnaldo Forlani, candidato alla Presidenza della Repubblica, fu ostacolato dal fuoco amico proveniente dall’interno della Dc. Del resto, sono numerosi coloro i quali ritengono che anche nel Vallo di Diano i veri nemici dei Democristiani siano sempre stati i Democristiani.
Merita di essere ricordata, inoltre, la carica dei “101” che nel 2013, sabotando il voto del centrosinistra dall’interno, impedirono a Romano Prodi di diventare Presidente della Repubblica, certificando la tendenza autolesionistica del Centrosinistra. Stessa sorte toccò a Silvio Berlusconi nel 2022: la candidatura del Cavaliere al Quirinale dovette fare i conti con un gruppo di parlamentari del Centrodestra che, anche a causa delle note vicende giudiziarie, la ritenevano inopportuna.
Nel caso del voto di mercoledì in Commissione Bilancio del Senato: poiché il voto contrario di Forza Italia non è stato “a sorpresa” ma ampiamente annunciato, più che di “franchi tiratori” dobbiamo parlare di “fuoco amico” che gli Americani chiamano “Friendly fire”. La raffica che parte dalle file degli “amici” può essere la clamorosa manifestazione di una distonia, di un tradimento, di una ritorsione ma anche di un mero errore. Nel gergo militare indica un colpo o esplosione d’arma da fuoco che ha come bersaglio accidentale commilitoni o appartenenti a una coalizione di forze armate alleate. Va ricordato, in proposito, il caso di Nicola Calipari, stimatissimo ufficiale dei Servizi Segreti Italiani, ucciso per un tragico errore dalle truppe alleate USA a Baghdad il 4 marzo 2005 mentre rientrava alla base dopo aver liberato la giornalista Giuliana Sgrena.
E in politica? Qui tensioni e sospetti hanno stabile e inamovibile presenza perché è permesso. Il termine “fuoco amico” indica un attacco rivolto a persone che militano nello stesso schieramento o appartengono allo stesso gruppo sociale. Si manifesta soprattutto in occasione di elezioni ma non mancano esempi clamorosi sia a livello nazionale che a livello locale. Gli episodi sono tantissimi ma un fatto è certo: il “fuoco amico” fa molto male a chi lo subisce.
Sulla politica del Vallo di Diano un libro intero non basterebbe per elencare tutti i casi di “fuoco amico” che si sono verificati per cui ci limitiamo a raccontare ciò che avvenne in occasione delle elezioni politiche dell’aprile 1992 quando era ancora in vita la Democrazia Cristiana: ne fu protagonista, ma forse è più giusto definirlo vittima, l’avv. Angelo Paladino. Democristiano da quando portava i calzoni corti, con un passato di sindaco di Sala Consilina e di consigliere e assessore provinciale all’ambiente, Angelo Paladino era candidato alla Camera dei Deputati per la corrente andreottiana che in provincia di Salerno faceva capo a Paolo Del Mese. Risultò il primo dei non eletti: per soli 162 voti dovette cedere il passo a Ivo Russo, figlio dell’ex presidente DC della Regione Campania, Gaspare Russo, leader salernitano della Sinistra di Base. A Paladino mancarono i voti degli amici DC in paesi del Vallo di Diano in cui lo Scudocrociato pure disponeva di una forza notevole. Il danno non fu fatto solo all’interessato ma anche al partito di appartenenza e al territorio. Territorio che avrebbe potuto giovarsi della presenza di un proprio rappresentante in Parlamento. Va anche detto che alla mancata elezione contribuì probabilmente anche il sistema elettorale che fu cambiato pochi mesi prima delle elezioni: nel 1992 si votò con il sistema proporzionale classico ma con una sola preferenza invece della quattro consentite nelle elezioni precedenti.
Quale conclusione trarre dalla vicenda elettorale del ‘92? È molto semplice: la lezione non è stata recepita e nel Vallo di Diano si continua ad andare in ordine rigorosamente sparso con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Rispetto a “franchi tiratori” e “fuoco amico” in politica non c’è mai da stare tranquilli perché spesso l’urna è fonte di sorprese. Bisogna essere bravi a prevenirle.