Tessere la speranza per l’edificazione di un mondo diverso a partire dalla pastorale ordinaria
L’esperienza della misericordia di Dio apre l’attesa delle persone alla speranza della conversione dei cuori e all’azione concreta per il miglioramento del mondo, delle relazioni umane, di un’economia solidale, all’abbattimento delle barriere dei pregiudizi, al condono dei debiti, alla tutela e alla promozione del creato. Ogni Giubileo, a partire dai contesti della Prima Alleanza, si fa promotore di rinnovamento sociale, grazie alla sua portata tipicamente religiosa dell’evento di misericordia. Per il grande mistero dell’incarnazione, vita, passione, morte, resurrezione e ascensione al cielo di Cristo, la Trinità che è Dio opera in tutto il cosmo una “nuova creazione” e apre il cuore degli esseri umani ad una rinnovata speranza. Il centro del messaggio giubilare sta nel perdono dei peccati, grazie al quale si rinnova, per ogni persona e per la comunità ecclesiale, la promessa di redenzione, anche in dialogo con altre dimensioni religiose. È Cristo l’agnello liberatore, «ritto in mezzo al trono e insieme immolato» (Ap 5,6), che chiede ai suoi discepoli di adoperarsi nell’interesse degli oppressi, dei poveri, degli abbandonati, dei diseredati, degli immigrati, degli anziani dimenticati. Egli chiede ai suoi discepoli di mostrare la via concreta della speranza,
come il Papa indica nella Bolla di indizione del Giubileo del 2025. Una missione che aiuta i volti a mostrarsi per relazioni autentiche e liberanti. L’esperienza dell’Anno Santo, ormai alle porte, vuole rinnovare il pellegrinaggio della speranza di un
mondo nuovo, abitato da persone nuove, grazie al grande dono del perdono e della riconciliazione. Tutte le celebrazioni, i segni, le iniziative sono finalizzate a percorrere la strada che conduce alla Porta Santa in modo sempre più consapevole del dono offerto. Come Papa Francesco scrive, è necessario ribadire la “modalità diffusiva” delle celebrazioni giubilari affinché «la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone». La Chiesa, fondata sul mandato missionario di Cristo, continua l’opera di evangelizzazione, incentivando soprattutto processi di riconciliazione con l’Amore di Dio e tra gli esseri umani. Prima di tutto l’effetto della redenzione del Verbo incarnato si realizza nella comunità ecclesiale e quindi in ogni Chiesa particolare, affinché si disintegrino le barriere relazionali, i pregiudizi, le conflittualità, pur nel rispetto delle diversità. Nella dinamica esodale, i cristiani si esercitano in modo intenso, durante l’Anno Santo, ad essere testimoni coerenti della redenzione, operata dall’incarnazione della Seconda Persona della Trinità, aprendosi all’azione vivificante e liberatrice dello Spirito Santo Dio. Proprio in forza degli effetti della riconciliazione dell’umanità con Dio in Cristo, anche la nostra Chiesa di Teggiano-Policastro vuole rimanere in questo cammino di speranza con l’operosa carità, che si concretizza nel tessere e ritessere le relazioni umane, guardando con fiducia ai processi di rinnovamento interni alla comunità e alla vita sociale. Ognuno di noi è chiamato a dare il proprio concreto e fattivo contributo, orientato a consolidare il personale rinnovamento interiore e a facilitare la conversione dei cuori delle sorelle e dei fratelli e alla costruzione di un mondo rinnovato nel segno della Verità che è Cristo. In questo modo potremo dare ragione della speranza che è in noi, come Pietro chiede ai discepoli del Signore risorto di ogni tempo. Fede, Speranza, Carità non possono scindersi, come ho indicato negli anni precedenti, invitando la nostra Chiesa diocesana all’edificazione della pace nei nostri ambienti umani, facendo esprimere la ricchezza e la vivacità delle differenze di tutti. Far cadere le barriere vuol dire proseguire sul cammino di riconciliazione, ricordando il dovere di essere operatori di pace, continuando a stare sulla strada della missione. Noi siamo quelli della via, come erano chiamati i discepoli-missionari della prima ora (cfr. At 9,2). Ciò significa stare in prima linea con lo scopo di vivere e facilitare occasioni di prossimità. Paolo annuncia sì la certezza della riconciliazione con Dio, ma indica pure il compito delle comunità cristiane di ogni epoca. Scrive l’Apostolo delle Genti che:
Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia (Ef 2, 13-14).
Nella nostra Chiesa diocesana impareremo a essere pellegrini nel pieno senso della parola, quando praticheremo in modo costante e ricorrente l’esodo dall’autoreferenzialità, delle certezze “incrollabili” per mettere in discussione prima di tutto il nostro operato ed aprirci al rinnovamento della riconciliazione.

Cristo è la porta che ci fa accedere all’Amore trinitario e consente di sperimentare la bellezza della misericordia divina. Nel Vangelo secondo Giovanni l’immagine della “porta” è legata a Gesù buon/bel Pastore e al “suo” gregge. Questa immagine richiama quella della porta stretta, attraverso la quale si giunge alla vita vera e piena (cfr. Lc 13, 24-25; Mt 7, 13-14). Gesù è unica via di accesso delle pecore alla vita. Egli è venuto affinché le pecore «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Attraversare la Porta Santa a Roma significa per i
credenti nel Signore Risorto fare esperienza della bellezza della riconciliazione, secondo la dimensione evangelica, che conduce alla vita. Infatti, nel sacramento della penitenza e della riconciliazione, come sottolinea Papa Francesco, noi troviamo il “punto reale” di questo pellegrinaggio della speranza. La costante frequentazione sacramentale del perdono di Dio ci mette nella condizione di essere curati e sanati da Cristo così da non cadere nello sconforto e nello scoraggiamento. In Lui, infatti, troviamo la certezza dell’Amore nonostante i limiti, le fragilità, i conflitti dell’umanità. Nella comunità cristiana, qualora ci fossero, è urgente superare le tentazioni di marginalizzazione, perché nella Chiesa tutte le persone devono trovare il loro posto ed esprimono pari dignità nella bellezza delle differenze.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2, 19-22).
Paolo si riferisce ai convertiti, ma un tempo pagani. L’Apostolo continua a parlare oggi a noi, che abbiamo bisogno sempre di conversione da ogni paganesimo idolatra, dalle chiusure narcisistiche, dalle convinzioni inflessibili, che nutriamo ogni giorno o alimentiamo con i nostri atteggiamenti nel quotidiano vivere nella società. Invece il cristiano deve essere quasi incarnazione della speranza con la propria esistenza, intessendo vie di pace e di prossimità evangelica. Il Papa ha indicato alcuni segni di speranza, ovvero motivi di impegno per operare nella concretezza della realtà. Questi impegni sono rivolti alla nostra Chiesa di Teggiano-Policastro, intenta a camminare sulla via della speranza nella rotta della riconciliazione
con Dio e tra gli esseri umani. Il primo segno indicato da Francesco è proprio la pace. Essa è un processo che parte dall’inaspettato annuncio di Gesù dopo la resurrezione. Dice il Signore: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Un processo che inizia nelle nostre case, nei cuori di ciascuna persona, nelle comunità ecclesiali, cresce e si cementa nelle società, grazie a forme concrete e altrettante solide iniziative, volte all’impegno efficace per l’edificazione della fraternità. La nostra comunità ecclesiale, proprio sulle sollecitazioni delle istanze giubilari, è chiamata ad essere segno costruttivo ed efficace di speranza, coltivando in modo particolare il rinnovamento della pastorale ordinaria, rivolta in modo genuino e attento a creare una efficace e concreta alleanza sociale per la speranza. A tal proposito, occorre cogliere i “segni dei tempi”. Con Papa Francesco, sottolineo la tragedia della guerra che impedisce, ostacola, delude i processi faticosi della pace. Progetti concreti devono essere operativi al più presto, anche grazie all’impegno dei cristiani. Il secondo aspetto concerne una chiusura sempre più palese nei confronti della vita con un notevole calo della natalità. L’impegno delle coppie cristiane, come è stato ribadito nel corso del ritiro spirituale promosso dal nostro Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia dal tema “Spes non confundit” (Rm 5,5). Coppie evangelizzatrici come pellegrine di speranza nell’anno giubilare” (6-8 settembre 2024), rivolto a coniugi cristiani e famiglie della nostra comunità ecclesiale, ha evidenziato la necessità di insistere sulla formazione catecumenale dei nubendi attraverso l’azione e la testimonianza di coniugi catechisti ed evangelizzatori. Questo proposito ha inoltre aperto alle altre sfide presenti nella pastorale ordinaria con un’attenzione specifica all’apertura alla vita da parte delle coppie di sposi. I coniugi cristiani sono per la nostra Chiesa una forza missionaria notevole anche in campo sociale. In questo modo sono emerse, proprio in base alle istanze giubilari, le situazioni di degrado, di isolamento sociale, di criminalità. La “liberazione” dei detenuti e di tutte quelle persone bloccate dalle catene dei reati (si pensi alla detenzione a vita o alla pena di morte) devono trovare nella Chiesa una comunità accogliente che faciliti percorsi di giustizia riparativa, ovvero si adoperi a creare occasioni di riconciliazione autentica, grazie soprattutto all’impegno di genitori cristiani e di famiglie, impegnati in questo processo di accoglienza e di reinserimento sociale. Le “catene” della malattia, in base alle diverse condizioni di vita, devono essere sciolte avendo come priorità l’attivazione di processi inclusivi, che abbattano barriere a favore di ponti.

Pure in questo specifico apostolato, la nostra Chiesa diocesana deve continuare a prodigarsi per portare sollievo nella malattia nell’ordinarietà di tutti i giorni. Penso in particolar modo ai diaconi permanenti con le loro mogli e ai ministri della comunione anche in coppia, che possano collaborare con i presbiteri e i parroci, grazie a iniziative concrete finalizzate alla cura pastorale delle persone inferme a loro rivolta come segno di speranza nella fede dell’Amore trinitario. La Chiesa di Teggiano-Policastro continuerà ad
essere per gli anziani, penso in particolare alle nonne e ai nonni, segno di speranza visibile perché la loro testimonianza è un perno stabile delle nostre comunità. Così i giovani, i quali devono trovare sia nella Chiesa sia nella società ampi spazi umani e a loro più consoni per esprimere e sprigionare vivacità progettuale, alla riscoperta delle domande di senso, molte volte assopite da adulti indifferenti. È il legame generazionale, persone anziane e adulti con le nuove generazioni, che deve essere riscoperto e rinforzato, attraverso l’azione di formazione e coinvolgimento alla vita di fe-de, rilanciando in diocesi le iniziative di ascolto e partecipazione già da anni sperimentate e ormai consolidate in quest’epoca di cammino sinodale. Ai poveri e agli indigenti delle nostre comunità non indirizzo solo un messaggio accorato, ma rilancio il mio impegno personale e quello di tanti operatori pastorali, affinché nell’anno giubilare si trovino risorse più cospicue con lo scopo di individuare soluzioni concrete di liberazione dall’indigenza anche con il coinvolgimento e la partecipazione di associazioni ed enti non profit, guardando con particolare attenzione allo sviluppo di ulteriori progetti nell’ambito del terzo settore. Continueremo poi nella nostra Chiesa diocesana ad intensificare gli impegni nella pastorale ordinaria rivolti all’accoglienza solidale dei migranti e degli immigrati, affinché si realizzi la speranza di una vita degna di essere vissuta con dignità. Grazie a ulteriori iniziative di promozione umana, daremo concretezza alle linee progettuali già in essere e altre saranno elaborate con lo scopo di consolidare e ampliare strutture adeguate ed attrezzate, specialmente con il coinvolgimento dei giovani e delle famiglie delle diverse comunità parrocchiali. Ogni Giubileo ha inevitabilmente una valenza sociale, si apre ai contesti umani e alle situazioni più diverse soprattutto per la sua carica “utopica” di profezia di cambiamento. Una trasformazione sì profetica ed escatologica, ma che comanda ai discepoli del Signore, sin dalla tradizione ebraica, di abbandonare la tentazione del possesso, affinché le singole persone e le comunità, stando nella storia come pellegrini verso la Terra promessa, si adoperino a realizzare la liberazione di tutti e di ciascuno. Liberazione che chiede conversione con il fermo proposito prima di tutto di “cambiare mente”, grazie alla disponibilità ad essere perdonati e a condonare (è il caso, a livello dei Governi nazionali, del condono dei debiti dei Paesi a forte depressione economica e in situazione di sottosviluppo).
CONTINUA…