di Miguel Sormani
La decisione assunta dal giudice fu considerato un gesto forte e coraggioso, che destò l’ammirazione dei curatori della rivista La “Gazzetta dei Tribunali” in cui fu pubblicarla e meritò un singolare encomio, forse tra i primi in Italia, che merita di essere riportato integralmente.
L’encomio al giudice Michele Arriola
“Questa sentenza è meritissima di ogni encomio, tanto maggiormente che è resa da un Giudice di Mandamento, al quale ogni massima lode vuole essere retribuita, siccome con ogni spontaneo coscienzioso convincimento veniamo adempiendo.
Per quanto ci sia pervenuto a conoscenza, non ci ha Collegio giudiziario, e molto meno un giudice pedaneo in queste province meridionali, che abbia dato non dubbio argomento di coraggio civile per impugnare e resistere agli atti del potere esecutivo, che in qualsiasi maniera non fossero conformi, o facessero mal governo delle sanzioni inviolabili della legge, costituente il diritto comune. La sola Cassazione di Milano ha dato l’esempio di codesto coraggio civile, cotanto necessario, che rivendica la gloria della indipendenza assoluta della magistratura, e mantiene inalterate la sua sublime missione e le sue nobili prerogative. L’arresto di quel Supremo Consesso fu da noi riferito in questo periodico. La Cassazione di Milano ha trovato egregio riscontro ed imitamento nel giudice pedaneo, che rendeva la sentenza che rapportiamo.
Che cosa è un giudice mandamentale a rimpetto di un Prefetto della provincia? E pure, codesto Giudice con l’ausilio della legge Statutaria dello Stato, e con le sanzioni del diritto comune, dinegò ogni valore giuridico alla potestà del moderatore provinciale che non si trovava in armonia con il diritto inviolato del cittadino!
Egregiamente bene, signor Giudice Arriola! Voi avete aggiustato un diritto innegabile alla pubblica estimazione: voi avete manifestato che sentite nell’animo l’altezza della nobile missione e della indipendenza della magistratura; voi avete dato esempio di coraggio e di saper civile, che se trovasse molti imitatori, le guarentigie sociali, le liberali istituzioni, gli ordinamenti costituzionali, la libertà del cittadino non avrebbe a temere giammai di essere soverchiati dall’arbitrio prepotente e da soprusi che fossero conculcatori dello Statuto costituzionale e del diritto comune.
Signor Arriola, Sume superbiam quaesitam meritis, io non vi conosco né so chi siete, ma per questa sentenza voi solo nell’ultimo scalino della magistratura siete a pari di un Consesso Supremo di Cassazione”.
Firmato: T.P.
All’articolo di encomio pubblicato dalla Gazzetta dei Tribunali di Napoli si associò anche “La Legge” di Torino (monitore giudiziario ed amministrativo del Regno d’Italia, anno V, 1865, pubblicato a Torino), ma l’autore dell’articolo, che si firmò B.B., protestò sull’asserzione fatta in merito al fatto che fossero stati solo il Giudice di Padula e la Cassazione di Milano ad aver dato l’esempio di “quel qualunque siasi coraggio” che si richiede in chi amministra la giustizia per impugnare e resistere agli atti del potere esecutivo. Se ciò fosse, continua l’autore dell’articolo, la Magistratura italiana sarebbe indegna dell’alto ufficio a cui è chiamata, sarebbe immeritevole della stima di cui gode presso ogni ordine di cittadini. Abbiamo detto, continua l’articolo, quel “quel qualunque siasi coraggio”, poiché in verità non ci sembra che sia d’uopo di coraggio civile in un Giudice per decidere che un Ministro o un Prefetto non hanno diritto di far leggi penali.
A ciò fare basta ch’egli abbia il sentimento di proprio dovere. Che può mai temere un Magistrato dal Prefetto o dal Ministro in un Governo costituzionale? È mal credibile che ci siano Prefetti e Ministri di mente sì corta, d’indole si abbietta da volersi vendicare di un povero Magistrato, il quale, chiamato dalle parti a risolvere una questione, l’abbia risolta nel senso ch’egli ha creduto conforme alla legge?
Il Giudice ha tanto meno a temere, quantoché o la sua decisione viene riformata sia in grado d’appello, sia in grado di cassazione, e l’amor proprio del Prefetto e del Ministro ha avuto una piena soddisfazione; o vien confermata, e la sua responsabilità (se responsabilità ci può essere) va divisa con tutti i Giudici superiori, è fors’anche con lo stesso Pubblico Ministero.
Se, parlando ai Magistrati, fosse permesso di far appello ad altri sentimenti che a quelli del proprio dovere, noi diremmo ai timidi: osate, i Prefetti e i Ministri passano, ciò che resta è la pubblica opinione, e la pubblica opinione vi compenserà presto o tardi, e vi compenserà largamente del danno che costoro vi avrebbero fatto.
Firmato B.B.
Con i decreti del 17, 20, 23 e 27 aprile 1865 ci furono le seguenti disposizioni per il personale dell’ordine giudiziario. Con quello del 27 aprile si stabilì che il giudice Arriola fosse trasferito a Vibonati, mentre il giudice Francesco De Sanctis da quel comune fu inviato a Padula. Una settimana dopo, con decreto del 4 maggio, il giudice <michele Arriola fu promosso dalla seconda alla prima classe.
Fonti:
Gazzetta dei Tribunali per gli anni 1864-1865: udienza del 3 dicembre 1864, “Causa a carico di Tepedino Michele ed altri 49 imputati”.
La Legge, monitore giudiziario ed amministrativo del Regno d’Italia, anno V, 1865, pubblicato a Torino.