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Le picconate di Pichetto sul Consiglio del Parco: “Le Quote Rosa vanno rispettate!”

Di Giuseppe Geppino D’Amico

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Chi ha avuto modo di seguire le imprese ciclistiche di Gino Bartali e poi i suoi commenti in Tv sul Giro d’Italia ricorderà la vis polemica e la frase che il campione usava quando non condivideva il pensiero dei suoi interlocutori.  Chi si è ricordato di Gino Bartali è il Ministro Gilberto Pichetto Fratin. Forse, anche per rendere omaggio al suo cognome, Pichetto ha rifilato una “picconata” ai sindaci della Comunità del Parco che il 10 novembre scorso hanno eletto, quali rappresentanti dei Comuni in seno al Consiglio Direttivo dell’Ente, quattro maschietti su quattro senza tenere conto delle quote di genere, meglio note come quote rosa.

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La notizia è di pochi giorni fa: i sindaci dei comuni del Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, nell’eleggere i quattro rappresentanti in seno al consiglio direttivo dell’Ente, pur sapendo che il risultato avrebbe dovuto essere di parità (due e due), non hanno rispettato il criterio della parità di genere facendo en plein: quattro maschietti su quattro: Carmelo Stanziola (candidato anche alla vice presidenza), Rosario Cairone, Domenico D’Amato (espressione del Centrosinistra) e Francesco Bellomo (in quota Centrodestra).  Per dovere di cronaca, va ricordato che il sindaco di Roscigno, Pino Palmieri (storico esponente del Centrodestra) aveva ammonito i colleghi ma, rimasto inascoltato, non ha partecipato al voto. Il risultato (quattro a zero) non è piaciuto al ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che pure il 20 luglio scorso aveva avvisato i sindaci sulla necessità di garantire le quote di genere. Quindi, ha chiesto alla Comunità del Parco di annullare il risultato del 10 novembre e di procedere al più presto a nuove designazioni.

Sembra, però, che i sindaci la pensino diversamente dal ministro e sarebbero intenzionati a fare orecchie da mercante e respingere le picconate di Pichetto Fratin anche perché è difficile trovare tra i quattro designati due volontari disposti a fare il fatidico passo indietro e rinunciare alla poltrona. Del resto, attualmente non sembra facile per i due schieramenti sottoscrivere un nuovo accordo se si considerano le difficoltà incontrate per raggiungere quello precedente.

In questa diatriba, chi preferisce starsene alla finestra è il presidente del Parco Giuseppe Coccorullo il quale, novello Ponzio Pilato, ha rilasciato alla stampa una laconica dichiarazione: “La questione non è di mia competenza”. Si andrà allo scontro dinanzi alla Magistratura? Sull’esito della vicenda, non essendo giuristi, preferiamo non addentrarci in anticipazioni che potrebbero essere smentite. Però, secondo autorevoli esperti, la delibera sarebbe “conseguenza di un improvvido salto in avanti frutto dell’arroganza della politica locale e, quindi, palesemente illegittima”.

Appare evidente che, in tal caso di bocciatura del ricorso i sindaci farebbero una brutta figura anche perché nei comuni del Parco ci sono alcune donne sindaco (poche in verità) che potrebbero entrare nel consiglio direttivo dell’Ente. Sperando di non incorrere in errori per i quali chiediamo preventivamente scusa, ne ricordiamo tre: Elena Gerardo ad Alfano, Angela D’Alto a Monte San Giacomo e Michela Cimino a Padula. Avremo porte girevoli, cioè fuori due maschietti e dentro due donne? Ai giudici l’ardua sentenza!

 Le disposizioni che regolano la presenza delle quote di genere nella pubblica amministrazione traggono origine dall’art. 51 della Costituzione che, richiamandosi al principio di eguaglianza, nell’accesso “agli uffici pubblici e alle cariche elettive” prevede che “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Appare evidente la volontà del legislatore di esprimere un principio di democrazia paritaria, contrario ad ogni atto discriminatorio fondato sul sesso, assicurando alle donne di accedere a condizioni di parità effettiva ai ruoli apicali del settore economico e politico, compresi tutti i processi decisionali pubblici. Viene sancito il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale previsto dall’art. 3 della Costituzione.

L’esigenza di stabilire la parità di genere ha spinto il legislatore ad intervenire nella disciplina elettorale con una serie di norme protese a rendere concrete le “pari opportunità”. Sono diverse, si intrecciano tra loro e trovano una collocazione precisa nel TUEL (d.lgs. n. 267/2000) dove si impone che «gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro), e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti».

Concludiamo il Con-tatto di questa settimana ricordando un’altra legge che segna una delle ultime importanti conquiste delle donne: la legge della Regione Campania n. 17 del 2021 recante “Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra i sessi, il sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria femminile di qualità, e la valorizzazione delle competenze delle donne”. La Regione riconosce la parità di genere quale presupposto per un sistema equo di cittadinanza e convivenza e per lo sviluppo socio-economico del territorio, e detta disposizioni per favorire la parità retributiva tra i sessi; la permanenza, il reinserimento e l’affermazione delle donne nel mercato del lavoro; la valorizzazione delle competenze delle donne; la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, e l’equa distribuzione delle responsabilità di cura familiare. Ma di questa legge e delle altre conquiste, frutto delle lotte delle donne, torneremo ad occuparci in modo più dettagliato.

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Direttore responsabile: Giuseppe Geppino D’Amico
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