Importante riconoscimento culturale per Vincenzo Andriuolo, lo studioso di Teggiano autore di rilevanti pubblicazioni dedicate al vernacolo.
A San Gregorio Magno, nel corso della 15a edizione dell’Angiolillo Folk Fest, organizzato dal Grippo Folk Gregoriano (presieduto da Francesco Tortoriello), Andriuolo è stato insignito del premio omonimo per i meriti acquisiti nello studio del dialetto culminati in importanti pubblicazioni di carattere scientifico dedicate in particolare al dialetto di Teggiano.
Nel corso della manifestazione ottimamente presentata dalla giornalista Barbara Landi, si sono esibiti i piccoli del Gruppo Folk Gregoriano e tre gruppi stranieri provenienti dalla Serbia dal Messico e dal Kenya.
Nel corso della stessa manifestazione il giornalista Giuseppe D’Amico ha illustrato la figura di Angiolillo. Sulla vita e le gesta del brigante Angiolillo, al secolo Angelo Duca (San Gregorio Magno 1734 – Salerno 1784), dall’Ottocento in poi fu un fiorire di leggende e racconti, come spesso nella storia del brigantaggio italiano.
Il saggio più attendibile sulle vicende di Angiolillo è senza dubbio quello di Benedetto Croce, “Angiolillo (Angelo Duca). Capo di banditi”, pubblicato nel 1892 da cui emerge una notevole simpatia umana nei confronti del bandito che per quattro anni imperversò nel suo territorio e nella vicina Basilicata.
Catturato dalla polizia borbonica il 10 aprile 1784, fu traferito insieme al suo luogotenente Peppe Russo a Salerno dove il 26 luglio successivo veniva impiccato insieme a Peppe Russo, che era già morto in carcere il giorno prima.
Prima di ricevere il premio dalle mani del vice sindaco di San Gregorio Magno, Rita Robertazzi, intervistato da Barbara Landi, Vincenzo Andriuolo ha spiegato l’importanza dello studio del dialetto di cui riportiamo di seguito un ampio abstract.

Riportiamo l’intervento di Vincenzo Andriuolo
Mentre ripensavo alla motivazione del riconoscimento (il mio impegno per la promozione e salvaguardia della lingua e, con essa, della cultura locale ed il suo insegnamento come disciplina curriculare) mi sono ritornate alla mente due cose:
- le parole di Ignazio Buttitta che, peraltro, hanno costituito il principio ispiratore del percorso di studio curriculare e del saggio di fine anno per i ragazzi delle scuole medie di Teggiano che hanno seguito il corso di Dialetto nel passato anno scolastico. Per il poeta siciliano, un popolo non perde la libertà quando lo mettono in catene, non diventa povero quando gli tolgono il lavoro. Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ereditata dai padri: allora sì, è perso per sempre;
- ma soprattutto, il concetto che Nicolò Tommaseo aveva della lingua materna, qualunque essa fosse; un concetto, un’idea altissima: perché, secondo il Tommaseo, essa “ … è la lingua che proferisce parole aventi senso, la lingua cioè delle cose”.
Si tratta di principi che ritroviamo – ancorché con termini, tempi e sfumature differenti – in tanti e grandissimi studiosi, tra i quali mi piace ricordarne due: Graziadio Isaia Ascoli e Giuseppe Lombardo Radice. Sulla base di questi principi:
Ascoli, che sarebbe poi diventato il padre della dialettologia italica come scienza, si contrappose con forza vivissima allo stesso Alessandro Manzoni nell’ambito della Commissione istituita dal Ministro della Pubblica Istruzione nel 1868, subito dopo la Unità d’Italia, per risolvere la questione della lingua: fatta l’Italia bisognava fare la lingua.
Semplificando, Manzoni voleva che fosse il fiorentino puro dell’epoca, Ascoli che fosse il volgare di Dante ma cosi come si era evoluto nella penisola e quindi arricchito delle contaminazioni che si erano venute sedimentando.
Ascoli espose i termini della polemica nell’oramai famosissimo Proemio della Rivista “Archivio Glottologico Italiano”;
Lombardo Radice fissò i canoni della riforma scolastica del 1923. Il cardine di quella riforma era, infatti, la cosiddetta didattica della Scuola Serena che aveva il suo fondamento proprio nei dialetti: educare, formare le nuove generazioni a partire dalla lingua, i dialetti, e dalla cultura locali. Quei dialetti che di lì a poco sarebbero divenuti oggetto di bieco e dannosissimo ostracismo.
Ecco, dare corpo e forma a questi principi, riparare ai guasti di questo cieco ostracismo è stata l’idea guida che ci ha mosso a Teggiano, e che so per certo muove anche i promotori dell’Angiolillo Folk Fest, a partire da Francesco Tortoriello, il cui impegno nella salvaguardia del patrimonio di cultura, folklore e tradizioni locali ha dato frutti importantissimi ed unanimemente riconosciuti.
Idea guida che mi ha dato la spinta per iniziare i mei studi sulla lingua di Teggiano; idea guida che ha mosso me ed il gruppo di lavoro che insieme a me ha portato avanti quello straordinario progetto che è “Alla riscoperta delle radici.
La lingua di Diano, veicolo della cultura degli avi”. Perché – è bene ricordarlo sempre – i risultati in questo campo se c’è una azione collettiva della comunità locale, o quantomeno di un gruppo, più o meno influente e deciso e, soprattutto, che abbia voglia di affrontare la ricerca con rigore scientifico.
Ed è perciò che questo premio non è solo mio; questo premio è anche di tutti i componenti di quel gruppo di lavoro di cui ho fatto sopra cenno, da Salvatore Gallo a Cono Cimino – tra l’altro straordinari poeti dialettali –, dalla professoressa Maria D’Alessio, Dirigente Scolastico dell’ Istituto Comprensivo di Teggiano, che, insieme alla vicaria Giuliana Morena, ha sostenuto con forza il progetto, per finire alle professoresse di lettere Michelina Di Mieri, Angela Morello, Giusy Lo Buglio ed Elisa Mangieri, impagabili compagne di viaggio.
Gruppo folk KENYA I giornalisti GIUSEPPE D’AMICO e BARBARA LANDI Francesco Tortoriello e Barbara Landi Gruppo folk MESSICO Gruppo folk SERBIA

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Premio Angiolillo Folk Festival