È stato presentato a Padula presso la Sala Cultura “Giovanni Russo” del Circolo Sociale “Carlo Alberto 1886” il volume di Carmine Pinto “Il brigante e il generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola” (Laterza Editori). Nel corso del convegno sono intervenuti la Presidente del Circolo, Rosanna Bove Ferrigno; il vicesindaco di Padula, Caterina Bianco; per la BCC Monte Pruno di Fisciano, Roscigno e Laurino (sponsor della manifestazione) il Presidente del Comitato Esecutivo, Pierangelo De Siervi. Hanno discusso con l’Autore del libro i giornalisti Geppino D’Amico e Angelo Raffaele Marmo, Vicedirettore di QN-Quotidiano Nazionale.
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Di Geppino Giuseppe D’amico
Carmine Pinto è professore ordinario di Storia Contemporanea, Direttore del Dipartimento Studi Umanistici presso l’Università degli Studi di Salerno e Direttore dell’Istituto della Storia del Risorgimento di Roma. Ha lavorato sui sistemi politici del Novecento; attualmente si occupa di guerre civili e movimenti nazionali nel XIX secolo. Ha insegnato in Università europee e, attualmente, in Università latino-americane; è membro di comitati di redazione di riviste italiane ed internazionali. Dirige il Centro di Ricerca sui conflitti in Età Contemporanea e il programma di Dottorato di Ricerca in Studi Letterari, Linguistici e Storici dell’Università di Salerno.
Con questo volume l’autore continua il discorso avviato tre anni fa con “La guerra del Risorgimento”. Entrambi analizzano i dieci anni successivi all’unificazione dell’Italia dopo il lungo periodo passato alla storia con il nome di Risorgimento. Con “Il brigante e il Generale” l’Autore continua ad approfondire le ferite della storia d’Italia. Ferite che non riguardano soltanto la storia del Mezzogiorno ma l’intera storia del nostro Paese. Usando un linguaggio cinematografico i protagonisti del volume sono il brigante Carmine Donatelli Crocco ed il Generale del Bersaglieri, Emilio Pallavicini di Priola,“uno spavaldo erede del mondo feudale contro un baldanzoso aristocratico di spada; l’ultimo esercito dell’antico regime contro il primo esercito nazionale. Una storia che ancora oggi suscita emozioni e divide”. Tra gli elementi che danno vigore al volume è doveroso indicare la ponderosa documentazione utilizzata (perché la storia si fa con i documenti), la capacità di analisi dell’autore e lo stile narrativo che ne rendono piacevole la lettura.
Teatro della grande sfida è il territorio dell’Ofanto, in Basilicata. Da una parte c’è un brigante, Carmine Crocco. Pastore, militare, bandito di professione già durante il regno dei Borbone, divenne il capobanda più famoso e temuto dalle popolazioni e del neonato esercito unitario nelle campagne meridionali dopo il 1860. Alla guida del brigantaggio filoborbonico, sperimentò forme di guerriglia che avranno fortuna nel XX secolo, anticipandone gli aspetti politici e una organizzazione criminale su larga scala.
Dall’altra parte un generale, Emilio Pallavicini di Priola, aristocratico sabaudo, militare esperto in operazioni speciali e al comando di reparti schierati nella campagna contro il brigantaggio. L’ufficiale interpretò la conclusione di un processo secolare, in cui i ruoli militari passavano definitivamente ai professionisti della guerra. Carmine Pinto racconta le loro “vite parallele” e, attraverso queste, gli episodi, i luoghi, le battaglie e le leggende, la guerra tra il primo esercito nazionale e l’ultimo brigante dell’antico regime, fino allo scontro finale e al sorprendente epilogo delle loro esistenze. Due personaggi diversi che combattono una battaglia senza esclusione di colpi e che interpretano in modo diverso la cultura della guerra, la cultura della violenza intrecciata con la politica che agiva in nome della ragion di Stato.
Intorno a loro ruotano altri protagonisti di primo piano: Francesco II che dall’esilio romano non fa mistero dell’intenzione di riconquistare il regno e per farlo non esita a servirsi dei briganti che già prima dell’unità terrorizzavano con le loro scorribande le regioni del Mezzogiorno seguendo l’esempio di Ferdinando IV che nel 1799, per abbattere la Repubblica Napoletana, si era servito dei briganti per tornare sul trono di Napoli dopo la precipitosa fuga a Palermo. Altro protagonista di primo piano della storia è lo spagnolo José Borges, inviato da Francesco II nelle regioni del Mezzogiorno il quale, però, non riesce a raggiungere un accordo con Crocco e, quindi, fallisce la missione. Dall’altro lato troviamo ufficiali e politici del neonato Regno d’Italia che aveva tutto l’interesse a porre fine alla guerra del Mezzogiorno per concentrarsi sul completamento dell’Unità che non poteva dirsi realizzata senza la conquista di Roma. La figura di Pallavicini è fondamentale. Indubbiamente, è un personaggio molto discusso, pieno di debiti e inaffidabile nella vita privata al punto che, prima di sposare una donna della borghesia calabrese, in Basilicata la sua richiesta di impalmare una donna del luogo era stata respinta. Come ufficiale, però, si dimostrerà all’altezza del compito non solo nella lotta al brigantaggio ma anche nel fermare in Aspromonte (1862) il tentativo di Garibaldi, sbarcato di nuovo nel Sud per tentare la conquista di Roma. A parte qualche scaramuccia e la famosa ferita al piede rimediata da Garibaldi non ci fu grande spargimento di sangue. Un’altra importante intuizione di Pallavicini riguarda il rapporto che stabilì con la stampa che non lo amava. Clamorosa la fake news del giugno del 1867 quando alcuni giornali scrissero che a Salerno “in un trasporto di gelosia aveva ucciso la propria consorte con un colpo di pistola”. Il generale non si scompose e per smentire la notizia fece lunghe passeggiate insieme alla consorte per le vie di Salerno suscitando la curiosità degli astanti.
Il libro analizza il decennio del cosiddetto “brigantaggio politico: Crocco era un vendicatore o un volgare brigante? José Borges non ebbe dubbi: Crocco prende servizio per i Borbone senza alcun patriottismo. Era l’opposto del guerrigliero legittimista; era, però, l’unico vero capo del brigantaggio”. Al processo di Potenza a suo carico vi erano 130 procedimenti. Ne furono ammessi solo 36 con 74 omicidi e 200 altri reati che rappresenterebbero il 30 per cento dei reati commessi.
Nel libro è ben presente anche il Vallo di Diano. Uno dei banditi più pericolosi alleati di Crocco era Angelantonio Masinidi Marsico che scorrazzò in lungo e in largo tra la Val d’Agri e il Vallo di Diano. Nel registro delle taglie della provincia di Basilicata Masini figurava al terzo posto con una taglia di 15.000 lire dopo Crocco (20.000 lire) ed il suo luogotenente Nicola Summa detto Ninco Nanco. Nel 1863, un anno prima di essere ucciso, Masini vantava 319 reati tra omicidi, rapine, estorsioni, sequestri di persona e azioni militari come risulta da un processo del 1865 non a suo carico perché Masini era stato ucciso a Padula il 20 dicembre del 1864. A fianco di Masini troviamo la sua druda, Maria Rosa Marinelli, che era con il brigante e i suoi 12 “apostoli” quando a Padula nella masseria del manutengolo Gerardo Ferrara fu tradito e ucciso dagli uomini della Guardia Nazionale guidati da Filomeno Padula. Indubbiamente, la lotta al brigantaggio non fu agevole e per venirne a capo il Parlamento approvò la Legge 15 agosto 1863, n. 1409, “Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette”, meglio nota come “Legge Pica”, dal nome del deputato abruzzese appartenente alla Destra storica che ne fu il promotore.
Studiando i conflitti di ieri possiamo capire meglio quelli di oggi. Scrive l’Autore: “Sindaci, politici e deputati meridionali chiesero a gran voce un provvedimento urgente e straordinario contro briganti e borbonici”. Qual è il merito di Carmine Pinto? In primo luogo, è nella metodologia: racconta, ma analizza, proponendo un’analisi che mostra tutta l’inadeguatezza di certa narrazione revisionista. Assumendo il problema del conflitto armato fra briganti e unitari nel primo decennio unitario del nuovo Stato, riporta i termini della questione nella cornice del tempo in cui si sono svolti i fatti, mostrando implicitamente il carattere anacronistico (e ideologico) di certe letture.
