I vari dibattiti in corso a 42 anni dal terremoto del 23 novembre 1980 possono offrire un’importante occasione per verificare se, ed in qual misura, le Comunità abbiano preso coscienza della soglia di vulnerabilità del territorio e fare in modo che tale soglia possa essere ulteriormente abbassata. Un fatto è certo: per ottenere risultati positivi è necessario promuovere e stimolare incontri con professionalità diverse e collaborazioni tra le discipline operanti nei più vasti campi del sapere. Questo, perché, purtroppo dobbiamo abituarci a convivere con il terremoto, sperando di non dover affrontare disastri come, purtroppo, è più volte avvenuto.
Prima di parlare del terremoto del 1980 è opportuno analizzare due drammatici terremoti precedenti (Lisbona 1755, Vallo di Diano e Val d’Agri 1857) perché, unitamente a quello del 1980, hanno lasciato il segno non soltanto in termini di vittime e di danni al patrimonio abitativo ma anche in termini di inversione di tendenza sulla modalità più opportune per affrontare le conseguenze di simili disastri. In pratica, i tre eventi hanno cambiato il modo di studiare, interpretare e affrontare le catastrofi. Si sono verificati a distanza di un secolo o poco più l’uno dall’altro e già questo dovrebbe far riflettere.
Il terremoto di Lisbona, uno dei più drammatici eventi sismici della storia, il più devastante che abbia colpito l’Europa, si verificò il 1° novembre del 1755 provocando un numero imprecisato di vittime: solo a Lisbona, che allora contava 150.000 abitanti, ci furono 100.000 morti ai quali vanno aggiunti almeno altri 10.000 deceduti in Marocco perché il sisma interessò quel Paese ed anche la Spagna.
Analizziamo ora le reazioni a quella immane tragedia partendo dall’opinione espressa dal Gesuita, Padre Gabriele Malagrida, il quale sostenne con forza che “il terremoto era stato un castigo di Dio”. Il dibattito che ne scaturì contribuì ad una prima analisi del fenomeno perché furono fornite le prime spiegazioni scientifiche del sisma. Il primo che si muoverà in questa direzione sarà Immanuel Kant. Nei suoi scritti sul terremoto Kant non dimostrerà interesse a discutere del terremoto in termini morali, bensì solo in termini fisici, ovvero delle cause e delle modalità che producono un sisma. In precedenza, altri due illustri pensatori, Voltaire e Jean-Iacques Rousseau, non avevano cercato chiarimenti empirici per comprendere la natura di un terremoto, ma avevano indagato sulle possibili cause del terremoto, rispondendo in maniera differente.
Voltaire nel suo Poème sur le désastre de Lisbonne condanna la natura, in quanto portatrice di sofferenza per tutte le creature che ne fanno parte. Rousseau nella Lettre à M. de Voltaire del 18 Agosto 1756 accusa il pensatore francese di essere troppo duro nella sua interpretazione della natura e di essere un irriconoscente verso quella stessa natura che tanti benefici gli dona ogni giorno. Voltaire non muove nessun tipo d’accusa agli uomini per le morti verificatesi a causa del terremoto. La sola responsabile è la natura, ed il solo da interrogare è Dio, perché la natura è muta.
Rousseau, invece, addebita agli uomini la cause delle morti del terremoto di Lisbona: gli uomini si intestardiscono nel costruire case a più piani per cui quando si verifica un sisma facilmente cadono loro addosso. E, cosa anche più grave, i cittadini di Lisbona non lasciarono subito le loro case per mettersi in salvo, ma persero del tempo prezioso per raccogliere i propri beni, giudicando erroneamente di non poter vivere senza questi. Quindi, sarebbe stata l’avidità umana a provocare più decessi; di conseguenza, la natura non è responsabile di nulla.
Conseguenze gravissime si ebbero a seguito del terremoto del 16 dicembre del 1857 che interessò varie regioni: Basilicata, Molise, Campania, Puglia e Calabria ma il maggior numero di vittime ed i danni più ingenti si verificarono nella Val d’Agri e nel Vallo di Diano. L’epicentro fu individuato mei territori di Saponara (oggi Grumento Nova), Montemurro e Viggiano. L’intensità massima venne registrata proprio a Saponara e Montemurro ma il 10° grado fu raggiunto in molti comuni tra i quali ricordo soltanto quelli più vicini a noi: Paterno, Sant’Angelo Le Fratte, Atena Lucana, Brienza, Marsico Nuovo, Tramutola e Viggiano e Polla. Complessivamente, più di 180 paesi in un’area di oltre 20.000 chilometri quadrati subirono danni gravissimi al patrimonio edilizio e gran parte delle case divennero inagibili. All’interno di quest’area, interi paesi e villaggi (almeno 30) furono rasi al suolo. Complessivamente si contarono 3.313 case crollate e 2.786 pericolanti e inabitabili. Si parlò di 19.000 morti; diverse, per fortuna, le cifre ufficiali rese note dal Giornale del Regno delle Due Sicilie in data 13 febbraio 1858: “I morti nel Principato Citeriore ascendono al numero di 1213, ed i secondi, cioè i feriti a 347, de’ quali rimangono in cura altri 18. Ben più vasta la piaga fu per la Basilicata: 9.237 morti e 1359 feriti” .
Nel Vallo di Diano il paese più colpito fu Polla dove furono estratti dalle macerie 867 corpi privi di vita per una popolazione di 6.692 abitanti. Drammatica la notizia del ritrovamento del corpo di un bambino nato in quello stesso giorno pubblicata su un giornale dell’epoca: “Nacque, pianse, morì”! Nel Vallo di Diano un tributo molto alto fu anche quello pagato da Pertosa con 153 vittime su 1179 abitanti. Ad Atena Lucana i morti furono 55, ad Auletta 37, a Padula 32, a Caggiano 28. Andò decisamente meglio negli altri paesi. Cica 100 famiglie delle zone terremotate tra quelle rimaste senza casa furono trasferite a Battipaglia, dove fu realizzato un villaggio denominato Le Comprese. Dall’analisi dei dati relativi all’intera area del sisma, rispetto a Polla solo due comuni ebbero un numero maggiore di vittime: Montemurro (5.000 morti su 7.002 abitanti) e Saponara, dove perirono 2.000 persone su 4.010 abitanti. Tra gli altri paesi della vicina Val d’Agri maggiormente colpiti troviamo Viggiano (800 morti), Tramutola (177) e Paterno di Marsiconuovo (122).
Il terremoto del 1857 suscitò forte emozione anche all’estero e non mancarono aiuti economici sia ad opera di singoli cittadini (anche dalle Americhe) che contribuirono a diverse raccolte di fondi avviate dai giornali. Ma il contributo più importante, anche in chiave futuristica, fu quello di uno studioso inglese, Robert Mallet, il quale venne in Italia per studiare il terremoto grazie ad un contributo di 150 sterline concessogli dalla Royal Society di Londra. Pure importante fu il contributo alla spedizione scientifica del Mallet offerto da Alphonse Bernoud, un fotografo francese che si era stabilito a Napoli già da qualche tempo ed era molto noto anche a corte. Al ritorno in patria, dopo una attenta elaborazione dei dati raccolti Mallet darà alle stampe un ponderoso studio che ancora oggi è un punto di riferimento per gli studiosi dei fenomeni sismici. Pubblicato nel 1862 a Londra da Chapman and Hall, il lavoro del Mallet è uscito in Italia per iniziativa di Emanuela Guidoboni e Graziano Ferrari. Alcuni anni fa l’opera è stata ristampata in una nuova edizione riveduta ed ampliata in sei volumi.
Oltre al terremoto del 1857 altri eventi si sono abbattuti sul territorio dell’Italia Meridionale. L’elenco è particolarmente lungo: Matese nel 1805; Messina e Reggio Calabria nel 1908; Potenza nel 1826; Monte Vulture nel 1851 e 1930; Vallo di Diano e Val d’Agri nel 1857; Roccamonfina nel 1960; Ariano Irpino nel 1962 senza dimenticare il sisma del 1980 che colpì principalmente l’Irpinia, la Valle del Sele, l’Alto Potentino, il Vallo di Diano e città capoluoghi di provincia. Ultimi in ordine di tempo i vari terremoti che hanno colpito Marche, Umbria e Lazio e, nella nostra provincia, il Golfo di Policastro. In quest’ultimo caso per fortuna non ci sono stati danni eccessivi.
(1, continua)