Riceviamo e pubblichiamo integralmente la Nota pastorale dei Vescovi della Campania dal titolo “Custodire ogni vita, accompagnare ogni sofferenza”, dedicata al tema del fine vita.
Custodire ogni vita, accompagnare ogni sofferenza
Nota Pastorale dei Vescovi della Campania sul “fine vita”
1. Il Vangelo della vita

“Tutti noi viviamo grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole”. A volte però “s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere”: così si è espresso Papa Leone XIV in occasione del Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, il 1° giugno di quest’anno. Su questo tema e, in particolare, sulla discussa questione del “fine vita”, interpellati anche dal dibattito politico e da tante situazioni di dolore, a conclusione del Giubileo della Speranza, con paterna sollecitudine desideriamo rivolgerci a voi, fedeli delle nostre Chiese, e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà della Campania. Ci sta a cuore, infatti, la causa della vita, come ci stanno a cuore anche i malati terminali, alcuni dei quali, in situazioni particolari, arrivano a chiedere di essere assistiti nella scelta estrema di porre fine alla loro vita. “Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù”: queste le prime parole dell’Evangelium vitae di San Giovanni Paolo II. L’anniversario dei trent’anni di quella Lettera Enciclica e la pubblicazione della Dignitas infinita da parte del Dicastero per la Dottrina della Fede, ci offrono l’opportunità di riaffermare con forza la centralità della persona umana e il valore inviolabile della vita. Questa nota nasce come risposta all’emergere di derive sempre più drammatiche, quali l’eutanasia, il suicidio assistito e l’abbandono terapeutico, e intende essere uno strumento di accompagnamento pastorale e culturale per le nostre comunità cristiane, perché siano sempre più testimoni credibili del Vangelo della vita. In un tempo in cui si fa strada una cultura della morte, alla luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa, desideriamo rinnovare il nostro “sì” alla vita, alla cura, all’accompagnamento amorevole di chi soffre.
2. La persona al centro: la sua dignità in sé e in relazione
La Dignitas infinita afferma con chiarezza che ogni essere umano possiede una dignità intrinseca, inalienabile, incommensurabile, che non dipende da qualità accidentali o da capacità funzionali, ma dalla sua natura di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26). Questa dignità, radicata nella creazione e redenta in Cristo, non viene mai meno, nemmeno nella malattia, nella sofferenza, nella disabilità o nella fase terminale della vita. L’antropologia cristiana afferma una visione integrale della persona, che unisce corpo, psiche e spirito, e la riconosce come essere relazionale, chiamata alla comunione con Dio e con gli altri. Ogni tentativo di ridurre l’uomo a semplice individuo, misurabile secondo criteri di efficienza o autonomia assoluta, è contrario al Vangelo.
3. La vita: dono e compito
L’Evangelium vitae ci ricorda che la vita non è un diritto assoluto e soggettivo, ma un dono ricevuto, da accogliere con gratitudine e custodire con responsabilità. Essa è un bene primario, fondamento di ogni altro diritto, e pertanto non può essere soppressa, nemmeno per ragioni di compassione. Nel contesto culturale odierno, dominato da un paradigma tecnocratico e individualista, è urgente riscoprire la dimensione sacrale della vita, che interpella la coscienza personale e collettiva. Il dono della vita implica anche il dovere di promuoverla, sostenerla e difenderla, specialmente là dove essa è più minacciata.
4. La sofferenza e la morte nella luce pasquale
L’esperienza del dolore e della morte interroga profondamente l’uomo e la sua fede. La risposta cristiana non si esprime in una fuga dalla realtà, ma nella condivisione e nella speranza. Cristo, con la sua Passione e Risurrezione, ha redento anche il dolore, trasformandolo in via di salvezza. La Lettera Samaritanus bonus dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, ci ricorda che la vicinanza al malato, l’accompagnamento nella sofferenza, il prendersi cura fino alla fine, costituiscono un atto di amore e di giustizia. La sofferenza non è mai inutile: vissuta nella fede, può diventare luogo di purificazione, di comunione con il Crocifisso Risorto e di testimonianza.
5. Il no all’eutanasia e al suicidio assistito
Nel ribadire con forza il “no” della Chiesa all’eutanasia e al suicidio assistito, vogliamo farci eco della parola chiara del Magistero: nessuna legge può legittimare atti che sopprimono intenzionalmente una vita umana innocente. Tali pratiche, anche quando motivate da pietà o dal desiderio di evitare il dolore, rappresentano una grave violazione della dignità umana e un fallimento della società nel suo compito di accompagnare, sostenere, amare. Esse minano il fondamento della convivenza civile e rischiano di alimentare quella “cultura dello scarto” da cui tante volte ci ha messo in guardia Papa Francesco.
6. Il sì alla cura e alle cure palliative
Affermare il valore della vita significa dire un “sì” pieno e convinto alla cura, evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato. Curare significa prima di tutto “prendersi cura” della persona, non solo della malattia. Le cure palliative rappresentano oggi una risposta etica e scientifica adeguata alla sofferenza, capace di lenire il dolore, accompagnare con dignità e offrire sostegno umano e spirituale. Purtroppo, anche nella nostra Regione, però, esse sono adottate solo in minima parte: di fatto la legge sulle cure palliative non ha visto ancora una piena attuazione. Con la Presidenza della CEI, mentre auspichiamo che al più presto “si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza”, ribadiamo la necessità che le cure palliative siano “garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo” (Nota del 19 febbraio 2015). In questa prospettiva le cure palliative sono da considerarsi atto di giustizia e di carità, non rappresentano semplicemente un’opzione clinica, ma un dovere umano e sociale. La Chiesa le considera una risposta concreta e pienamente conforme all’etica cristiana, perché alleviano il dolore e la sofferenza senza provocare la morte, accompagnano la persona con rispetto e prossimità e mettono al centro il paziente e non solo la malattia. Secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, il bene comune richiede che lo Stato garantisca l’accesso universale ed equo alle cure palliative. Chiediamo con forza, perciò, che le strutture sanitarie, pubbliche e private, siano sempre più dotate di unità di cure palliative e che il personale sia formato secondo una visione integrale della persona. La cura non è solo un dovere professionale, ma una vocazione all’amore.
7. L’impegno pastorale: prossimità, accompagnamento, consolazione
Come Pastori, ci sentiamo chiamati a promuovere una pastorale della vita che sappia essere prossima, accogliente, concreta. Le nostre comunità diventino sempre più “case della misericordia”, luoghi dove chi soffre possa trovare ascolto, sostegno, preghiera. Invitiamo, perciò, i presbiteri, i diaconi, le consacrate e i consacrati, gli operatori pastorali e tutti i fedeli laici a farsi “buoni samaritani”, capaci di fermarsi accanto all’umanità ferita. Ogni parrocchia promuova “il ministero della consolazione”, che coinvolga anche medici, psicologi e volontari, per accompagnare gli ammalati e le loro famiglie. Ai cappellani, ai consacrati e ai tanti volontari che operano nelle strutture per anziani e malati chiediamo di essere segni luminosi di speranza e di coinvolgere le comunità cristiane in questo servizio così prezioso.
8. Educare alla vita, formare le coscienze
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica ampio spazio alla cura della vita anche nella fase terminale e al rifiuto dell’accanimento terapeutico e dell’eutanasia. Si tratta di una vera e propria sfida culturale per la quale si richiede un forte impegno educativo. In un tempo in cui aumentano fenomeni di violenza anche tra i giovani, è necessario formare le coscienze al rispetto e all’amore per la vita, al senso della fragilità, al valore della solidarietà. Le scuole, gli oratori, i gruppi giovanili devono essere luoghi dove si coltiva una “cultura della vita”. Anche nei percorsi di iniziazione cristiana, dei nubendi, come pure nella catechesi permanente, la Comunità cristiana, mentre annuncia la bellezza della vita nuova in Cristo, è chiamata a formare ogni persona al servizio alla vita come risposta concreta a una precisa istanza evangelica (cfr. Direttorio per la Catechesi, 2020). Nei cammini di formazione si dia, perciò, ampio spazio alla conoscenza dei santi educatori e della carità, modelli concreti a cui ispirarsi. Pensiamo ad esempio a San Camillo de Lellis, patrono degli ammalati e degli ospedali; a Santa Teresa di Calcutta che ha testimoniato la carità verso i morenti; a San Giovanni Paolo II, il Papa della Salvifici Doloris che ha vissuto nella carne la sofferenza con dignità e fede, annunciando la “grazia della debolezza”. Non possiamo dimenticare, inoltre, i tanti testimoni di santità delle nostre terre, primo fra tutti Giuseppe Moscati, il medico santo che “vedeva Cristo stesso nel malato, che, nella sua debolezza, nella sua miseria, nella sua fragilità e insicurezza, a lui si rivolgeva invocando aiuto; vedeva chi gli stava innanzi come una persona, un essere in cui c’era un corpo bisognoso di cura, ma anche un essere in cui albergava uno spirito pur esso bisognoso di aiuto e di conforto” (San Giovanni Paolo II Omelia della canonizzazione, 25 ottobre 1987). Sarebbe, però, importante riscoprire anche la testimonianza di tanti “santi della porta accanto” che sono stati segno dell’amore di Dio per gli ammalati e i morenti. Tutta la comunità credente potrebbe trovare occasioni significative di sensibilizzazione, formazione e crescita. Anche ai medici, agli infermieri, agli operatori sociosanitari e a quanti sono impegnati nel sociale, si offrano cammini di formazione per aiutarli a discernere e a scegliere, rigettando ogni forma di “falsa compassione”, affinché riscoprano la grandezza della loro vocazione che è curare, accompagnare, mai abbandonare. La clausola dell’obiezione di coscienza deve essere salvaguardata come espressione di libertà e responsabilità etica. Anche ai politici e a quanti operano a servizio del bene pubblico sia offerta una opportuna formazione.
9. Appello alla società civile, alle istituzioni e ai politici
La vita non è un affare privato. Chiediamo con forza alle istituzioni pubbliche di difendere e promuovere la vita in ogni fase e condizione. Chiediamo che si tutelino i più deboli, che si garantisca l’accesso universale alle cure, che s’incentivino le cure palliative e ci si opponga con chiarezza all’eutanasia e al suicidio assistito. “La legge naturale – ci ha ricordato Papa Leone XIV nel Giubileo ai Governanti – universalmente valida al di là e al di sopra di altre convinzioni di carattere più opinabile, costituisce la bussola con cui orientarsi nel legiferare e nell’agire”. Domandiamo, perciò, sul “fine vita” leggi giuste che tengano conto delle reali necessità dei cittadini e siano espressione di un confronto il più ampio possibile, libero da logiche di parte ed eventuali strumentalizzazioni. A riguardo ci preoccupano le recenti iniziative regionali, intraprese in Campania come in altre Regioni, e riteniamo, in linea con le sentenze della Corte Costituzionale, che la sede naturale per legiferare su un tema così delicato debba essere il Parlamento. Ai politici, in particolare, chiediamo di avviare, su questo tema, una riflessione profonda, sulle basi della dignità della persona. A loro domandiamo uno sguardo non parziale sui diritti della persona in ogni fase della sua vita, e in particolare nei momenti di massima vulnerabilità. Con Papa Francesco riteniamo di dover ricordare loro che quando si parla dell’uomo, vanno tenuti presenti tutti gli attentati alla sacralità della vita umana: “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente” (Discorso all’Associazione Scienza e Vita, 30 maggio 2015).
10. Testimoni del Vangelo della vita
“Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione”: così scrivevano i padri conciliari nella Gaudium et spes. A sessant’anni di distanza, quelle parole appaiano oggi quanto mai attuali, anzi profetiche. “Noi, invece, – ci ha ricordato Papa Francesco – in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria” (Spes non confundit, 19). Questa certezza viene dalla fede nella vita eterna, la stessa che permise a Francesco d’Assisi, anche quando la sua vita fu sfigurata dal dolore e dalla sofferenza, di cantare “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale”: una fede che ci responsabilizza. Le Chiese della Campania, perciò, nel ribadire il “sì” incondizionato alla vita, consapevoli della loro vocazione a essere madri amorevoli, voci profetiche, testimoni credibili del Vangelo della vita, in un tempo segnato da guerre e conflitti, dalla paura della sofferenza e dalla tentazione della morte procurata, scelgono di essere “popolo della vita e per la vita” (Evangelium vitae, 6).
Costruiamo insieme una cultura della cura e seminiamo la speranza! Consegniamo questo cammino a Maria, Madre della Vita, che ha saputo accogliere, custodire, accompagnare, offrire. A Lei affidiamo ogni madre, ogni padre, ogni malato, ogni medico, ogni comunità, le donne e gli uomini della Campania. Con Lei, Donna sotto la Croce, vogliamo proclamare: la vita è buona, sempre, anzi “cosa molto buona”!
I Vescovi della Campania


