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Di Giuseppe Geppino D’Amico
Sta riscuotendo notevole successo la mostra “L’ultimo ramo dell’arte bizantina, immagini del mondo venturo”, curata da Giuseppe Brunasso e allestita a Eboli, nel complesso monumentale di San Francesco, per iniziativa del locale Club Rotary. Sarà visitabile fino al prossimo 8 gennaio. Trentasei le icone esposte. Tutte splendide. Due quelle di cui ci occuperemo: l’Icona della Madre di Dio dalle tre mani e il Mandylion.
“Ciò che il Vangelo ci dice con la parola, l’Icona ce lo annunzia con i colori e ce lo rende presente”. Questo concetto tratto dagli atti del Concilio costantinopolitano IV (869 – 870 d.C.) evidenzia nel modo migliore l’importanza delle icone. Si va dal ritratto imperiale al ritratto di Dio, della Vergine e dei Santi. “Il viaggio nella comprensione delle Sacre Icone Russe -sostiene il curatore della mostra, Giuseppe Brunasso- impone un excursus storico che chiarisca modi e tempi di creazione e diffusione di queste affascinanti opere d’arte”. L’iconografia russa affonda radici profonde nell’arte bizantina che vide la luce allorquando, nel 330 d.C., l‘imperatore romano Costantino il Grande, trasferì la capitale dell’impero d’Oriente nella città di Bisanzio cambiandone il nome in Costantinopoli. Ne avviò una rapida ricostruzione secondo i canoni di bellezza greco-romana servendosi dei migliori artisti dell’epoca a cui affidò il compito di sviluppare l’arte monumentale.
Duplice il risultato: Costantino si servì del Cristianesimo e dell’arte per i suoi scopi, di riflesso anche la chiesa acquisì una centralità insperata grazie all’arte imperiale, usandola per diffondere il suo credo. All’artista non solo si chiedeva che la sua opera facilitasse la comprensione ed il conseguente apprendimento della dottrina Cristiana ma che esaltasse notevolmente la figura dell’imperatore. Di conseguenza nell’elaborazione delle sue opere, questi subiva un doppio controllo: quello dello stato e quello dell’istituzione religiosa. Nelle chiese, in dipinti, affreschi e mosaici erano “raccontate” la vita e la passione di Gesù Cristo; nei tribunali vi era il ritratto dell’imperatore.
Per San Giovanni Damasceno (vissuto dal 676 al 749 d.C.): “le Icone sono la sacra scrittura che si offre con precisione e facilità di interpretazione: esse parlano, non sono mute come gli idoli dei pagani, poiché ogni scrittura che si legge nel tempio ci racconta della venuta di Cristo, dei miracoli della Madonna, dei martiri e delle lotte dei santi”. Non a caso, nelle icone russe una precisa connotazione simbolica è data dai colori: il verde è il colore dell’obbedienza; il rosso è il colore dei martiri; il blu quello della divinità.
L’iconografia bizantina ha vissuto periodi di immenso splendore e di fulgida diffusione e venerazione, ma anche periodi bui sfociati in atti persecutori e distruttivi delle sacre immagini. Questo ha provocato la perdita di molti capolavori creati dalla profonda fede degli iconografi, pionieri di questa meravigliosa arte. Nell’VIII secolo l’ecumene bizantino fu lacerato da un movimento iconoclasta utilizzato dall’imperatore Leone III per sottrarre al controllo della Chiesa i territori sui quali sorgevano i monasteri che venivano trasformati in stalle o caserme. Per sfuggire alla furia iconoclasta molti monaci fuggirono verso l’Europa e, in particolare, verso l’Italia portando con se molte icone per metterle in salvo, scegliendo posti inaccessibili e abbandonati. Alla deriva iconoclasta si opposero con decisione Papa Gregorio III e Giovanni Mansur, gran visir di Damasco, detto il Damasceno. Papa Gregorio III nel 731 convocò un concilio allo scopo di fermare la deriva iconoclasta. Dura la reazione di Leone III che, utilizzando una fake news mise in cattiva luce Giovanni Mansur nei confronti del califfo Yazid: Giovanni fu processato per alto tradimento e condannato all’amputazione di una mano che venne esposta al pubblico nella piazza di Damasco. Narra la leggenda che Giovanni, con l’aiuto di amici compiacenti, recupera la mano amputata e prega davanti all’icona della Vergine senza però chiederne la restituzione. Addormentatosi, riceve in sogno una visione: dall’icona fuoriesce una mano che gli riattacca la sua al moncone dell’arto affinché potesse continuare ad usarla in difesa della fede. Ottenuto il miracolo, in segno di riconoscenza Giovanni applica all’icona della vergine una mano d’argento: è questa la prima testimonianza di ex voto del cattolicesimo. Una volta scoperto l’inganno e la falsità della missiva recapitatagli, il califfo Yazid restituì la carica di Gran Visir a Giovanni che oppose un netto rifiuto e si ritirò nel monastero di S. Saba nel deserto di Palestina, portando con sé l’icona miracolosa. A tale episodio è dedicata l’icona raffigurante la Madre di Dio dalle tre mani (Russia, inizio XIX secolo).
L’altra icona che merita di essere meglio conosciuta è il Mandylion (in aramaico significa asciugamano) ed è legato alla leggenda di Abgar, re di Edessa (oggi Urfa, in Turchia). Gravemente ammalato di lebbra, Abgar non riusciva a guarire nonostante avesse consultato i medici migliori e provato innumerevoli cure. Giuntogli voce che in Palestina c’era un uomo che operava molti prodigi, decise di inviare un messo alla sua ricerca. La scelta cadde su Anania, un abile pittore, con l’incarico di cercare Cristo e invitarlo a palazzo perché lo guarisse dalla malattia; nel caso di un rifiuto, avrebbe dovuto farne un ritratto. Arrivato a Gerusalemme non riuscendo ad avvicinare Gesù, tentò di fargli un ritratto da lontano senza riuscirci. Accortosi della sua difficoltà Gesù lo fece avvicinare, si bagnò il volto con dell’acqua e si asciugò con un panno (il Mandylion) sul quale rimase impresso il suo volto e lo affidò ad Anania che si rimise in cammino verso Edessa. Giunto al palazzo, consegnò il Mandylion al re Abgar che guarì quasi completamente dalla lebbra. Come raffigurazione iconografica, il Mandylion ebbe un’ampia diffusione in tutta la Russia. Le prime immagini riportavano sulla tavola esclusivamente il Sacro Volto ed il Panno su cui si era impresso mentre, a partire dal XV secolo, si diffuse una particolare tipologia in cui il Sacro Lino era retto da due angeli adoranti che avevano il compito di enfatizzare l’ostensione della sacralità dell’immagine.
Nel XVIII secolo, l’arte iconografica subisce l’influsso di quella occidentale: in particolare le tavole si arricchiscono di ornamenti, il panneggio diviene più curato, compaiono decorazioni sempre più complesse. In un territorio come il nostro, che ha vissuto la tradizione e la cultura bizantina, ancora ammirare oggi le splendide icone russe significa stabilire un rapporto ontologico tra l’immagine e chi guarda. Dietro le icone ci sono pagine importanti della nostra storia. Napoli fu bizantina per circa sei secoli, dopo la conquista di Belisario nel 536 d.C. Dietro le icone ci sono pagine importanti della storia dei nostri territori. Napoli fu bizantina per circa sei secoli, dopo la conquista di Belisario nel 536 d.C.Nei giorni scorsi è stata allestita, nel Museo Archeologico Nazionale una mostra dedicata proprio ai Bizantini visitabile fino al 13 febbraio. Un periodo storico che merita di essere conosciuto.