Di Enrico Coiro

Divertirsi: letteralmente volgere l’attenzione altrove, divergere. Certamente è questo il senso più autentico che uno studioso di multiforme ingegno pone nell’intraprendere un viaggio che comporti lo studio dei documenti e della storia e, contemporaneamente, approfondisca la conoscenza diretta sul manufatto oggetto dello studio disegnandolo e rappresentandolo nei minimi dettagli; si potrebbe dire che, adoperando questo metodo, ci si possa «divertire» ma senza mai abbandonare la ricerca, per dedicarsi anima e corpo ad un argomento che sta particolarmente a cuore. Forse questo è il segreto che sottende la mole immensa di lavoro cui più di cento anni fa si è sottoposto Mons. Antonio Sacco (1849-1925), sacerdote dalla poliedrica personalità, per portare avanti un impegno che richiedeva insieme tante e diversificate competenze tutte dedite alla descrizione della Certosa di Padula nella storia, nei documenti e nell’architettura.

Ma questo è anche il senso di un convegno di studi poderoso e diversificato che, pur avendo un solo tema, «la Certosa di San Lorenzo in Padula, istituzione, arte, potere e religione in sette secoli di storia del Mezzogiorno e d’Europa», ha toccato molteplici ed interessantissimi argomenti, anche con interventi nettamente divergenti ed a volte in contrasto, e che si è svolto nei giorni 11, 12 e 13 dicembre 2025 nel monumentale refettorio dello stesso complesso monastico, tra i più grandi d’Europa, a cento anni dalla scomparsa dell’illustre studioso di Sant’Arsenio Mons. Antonio Sacco, docente e archivista della Città del Vaticano, a pieno titolo inserito nel dibattito culturale della Capitale nel clima di profondo rinnovamento della Rerum Novarum di fine ‘800.

In tre giorni intensi ed in quattro sessioni di lavoro si sono alternati, nelle relazioni didattiche e magistrali, oltre trenta studiosi, in massima parte docenti provenienti dalle Università di Salerno, Calabria, La Sapienza di Roma, la Federico II e Suor Orsola di Napoli, Teramo, Universitad Complutense de Madrid, Firenze; ma anche dirigenti e rappresentanti del Ministero degli Esteri, delle Direzioni Generali dei Musei del Ministero della Cultura e dei Musei della Campania, della Società Salernitana di Storia Patria, dell’Archivio di Stato di Salerno e dal Centro Studi e Ricerche Vallo di Diano; oltre ai borsisti vincitori del progetto «Centenario della scomparsa di Mons. A. Sacco». Mai si era vista, negli ultimi anni una tale concentrazione di saperi così diversificati e tutti tendenti a completare una visione, forse un sogno, dello stesso Sacco, il quale auspicava che un giorno altri avrebbero potuto completare la sua ricerca per rivalutare un monumento che era stato così barbaramente spogliato e mortificato. Il concorso di pubblico è stato inoltre insieme numeroso e selezionatissimo, a dimostrare, ove ce ne fosse stato bisogno, di quanta necessità ci sia di rivalutare la ricchezza culturale delle aree interne.

Come ha più volte sottolineato il Presidente del citato Centro Studi Giuseppe D’Amico, questo evento presenta, rispetto ad altri, due pregiate caratteristiche: la prima consiste nel superamento di ogni sterile campanilismo da parte del Sindaco di Sant’Arsenio, città natale del Sacco, Donato Pica, il quale ha voluto fortemente impegnare consistenti risorse in questa operazione di concentrazione di studi e ricerche oltre ad una successiva pubblicazione degli atti relativi, valutando così l’opportunità di rivalutare una territorialità complessiva e di abbandonare le consuete e trite commemorazioni «cittadine» che non vanno oltre l’evento stesso; la seconda invece di costituire finalmente un nuovo avanzamento di studi che riportasse nella storia reale, con tutte le sue luci ed ombre, la presenza autoritaria e spesso dispotica dei Certosini nel Vallo di Diano, con buona pace dello stesso Sacco che non ha voluto, pur di fronte all’evidenza dei documenti da lui stesso esaminati, andare oltre le pie considerazioni sulla spiritualità dell’Ordine eremitico di San Brunone, o forse con più probabilità non ha potuto per il suo status di ecclesiastico beneficiato alla basilica di San Pietro.

Gli argomenti del confronto, intriganti ed innovativi, hanno spaziato dalle considerazioni politiche ed alterne alleanze di potere, alle analisi delle nuove fonti, alla probabile collocazione dei documenti scomparsi e forse individuati, fino ad arrivare alle attribuzioni più recenti e supportate delle opere d’arte, al commento critico delle Consuetudini monastiche rigide e complesse (ivi comprese quelle musicali), e via via, oltre la funzionalità degli spazi architettonici autoreferenziali, alla gestione delle risorse del territorio e alla concezione originalissima del «deserto» certosino teso alla tutela della casa celeste.
Senza ombra di dubbio il «la» della qualificazione culturale del centenario è stato fornito dal Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Salerno, Carmine Pinto, che ha individuato e promosso la presenza dei tanti e competenti relatori, supportato da un comitato scientifico coordinato da Rosanna Giudice, sorprendente ed infaticabile ricercatrice dello stesso Ateneo. Sarebbe oltremodo interessante parlare diffusamente della qualità di ogni intervento; ma ci limiteremo a ricordare le incursioni appassionate all’architetto Vega De Martini, già direttrice della Certosa di Padula, che ha vigorosamente difeso le scelte operate per riportare in sito le tante opere trafugate o disperse del cenobio e che si è ripromessa di continuare in questa formidabile sfida anche nel prosieguo.

A lei è stato tributato un riconoscimento speciale per l’opera svolta a sostegno del monumento, unitamente all’architetto Gennaro Miccio, già Dirigente del Ministero della Cultura nonché direttore per lungo periodo del difficile ed appassionante restauro degli episodi architettonici più interessanti della Certosa. In particolare egli ha sottolineato l’importante e determinante testimonianza dei rilievi del Sacco nella conduzione e nelle scelte architettoniche degli interventi. In conclusione si potrebbe dire che il rammarico più evidente è il mancato dibattito tra gli esperti che avrebbe richiesto molte altre giornate di studio e di confronto. Ma siamo sicuri che, di fronte a tante e così variegate teorie sulla storia e le opere d’arte della Certosa di Padula, anche il nostro Monsignore, se avesse potuto essere presente, avrebbe per certo detto: «Mi è piaciuto un SACCO!».
ENRICO COIRO


