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L’ultimo sogno dei Certosini: il “nuovo ideato sistema” di Gaetano Barba

dell’arch. Vito Alessandro Cancellaro

Tra i numerosi documenti dimenticati negli archivi campani, si cela un sogno architettonico mai realizzato: l’ultima grande visione dei Certosini di Padula. Quella Certosa, da sempre al centro delle discussioni sul futuro del nostro territorio e che, insieme alle Grotte di Pertosa, rappresenta uno dei principali attrattori del Vallo di Diano. Eppure, nonostante questa importanza, ancora oggi restano ignoti molti aspetti e aneddoti della sua storia.

Immagine rielaborata dall’originale conservata presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli

Tra i tanti disegni e piante della Certosa, custoditi in vari archivi, è emerso quello che appare come un grande progetto mai realizzato dai Certosini di Padula: una pianta “anonima” conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Il disegno mostra chiaramente l’impianto del monastero padulese, ma con significative differenze nel corpo principale della Casa Alta. Due enormi chiostri rettangolari, posti subito dopo l’ingresso, fungono da atrio per una chiesa a pianta centrale, affiancata da un vasto corpo a navata unica, forse destinato al nuovo Capitolo. Non solo: nella corte esterna, l’intero spazio di una delle tre corti risulta edificato con fabbricati di servizio, probabilmente funzionali alla vita monastica. È evidente che si tratta di un progetto di ristrutturazione totale della Certosa della fine del ’700, in quanto sono già presenti tutte le modifiche settecentesche.

Colpisce anche lo schema dettagliato dei giardini, che coincide in parte con quanto effettivamente poi realizzato e descritto da A. Racioppi nel suo Poliorama Pittoresco nella prima metà dell’Ottocento.
Ma allora, chi fu l’autore di questo progetto così rivoluzionario?
Da una nota di pagamento del 1773, conservata presso il Banco di Napoli, si evince che Gaetano Barba, già architetto della Certosa e incaricato di progettare la passeggiata coperta e lo scalone, viene pagato: “[…] Delli due disegni consignati, della pianta in piccolo dell’intera vigna, e compreso di tutto l’edificio della Certosa, del Profilo e veduta delli due primi chiostri col prospetto esteriore della chiesa a seconda dell’andamento della pianta del nuovo ideato sistema […]”.

Ricostruzione ipotetica del progetto di Gaetano Barba
(realizzata con il supporto dell’IA).

La descrizione di uno dei due disegni consegnati da Barba coincide perfettamente con quanto presente nella pianta anonima della Biblioteca Nazionale di Napoli, quindi è possibile attribuire a lui la paternità del progetto. Immaginate come sarebbe stato un progetto così maestoso, con la spazialità scenografica tipica di Barba e una raffinata articolazione degli elementi architettonici in stile San Feliciano. Rispetto all’attuale, il progetto punta su una migliore qualità degli spazi aperti, concentrati in chiostri più grandi, con la delocalizzazione degli ambienti di servizio nella corte esterna. Il fulcro della ristrutturazione resta però la Chiesa: si passa da una chiesa a navata unica di chiara matrice trecentesca a una chiesa a pianta centrale, che ha tra i riferimenti più famosi il progetto di Michelangelo per San Pietro. Una chiesa con abside centrale e quattro cappelle laterali, sormontate da cinque cupole, di cui la centrale maestosa. Sarebbe stata la degna conclusione di una storia architettonica segnata da una continua evoluzione, una spinta costante a superarsi, in un vortice di aspirazioni smisurate che ha caratterizzato ogni fase della vita architettonica della Certosa. Purtroppo, per un’analisi più dettagliata, sarebbe necessario recuperare gli altri disegni realizzati da Barba attraverso una ricerca nei depositi della Biblioteca Nazionale.

Lo scalone Vanvitelliano della Certosa di Padula

Questo progetto credo debba farci riflettere — oltre che sugli aspetti storico-architettonici — sulla visione di chi la Certosa l’ha costruita e vissuta. Un progetto di questa portata significava cambiare totalmente la funzionalità e lo stile dell’intero monastero: una scelta che denota una grande volontà di cambiamento, ma soprattutto la volontà di restare al passo con le dinamiche artistiche e architettoniche sviluppate a Napoli in quel periodo. Ecco, credo che partendo da quest’ultima riflessione potremmo trarre ispirazione per le scelte future: la volontà e il coraggio di sconvolgere tutto e ambire a ridare alla Certosa un nuovo slancio. Uscire dalla categorizzazione museale a cui è soggetta rappresenterebbe un grande passo in avanti. Magari iniziando un processo di integrazione funzionale di molti ambienti, con progetti di laboratori che coinvolgano sia residenti che turisti.

In particolare, andrebbero valorizzati gli ambienti ristrutturati e mai del tutto utilizzati: ne è un esempio il laboratorio di restauro, ormai chiuso da anni. Un’altra idea potrebbe essere quella di dare in adozione le celle ai Comuni del Vallo o ad altri enti/associazioni, in modo da riaprirle e garantirne la funzionalità. In cambio, i Comuni riceverebbero un ritorno in termini di visibilità, magari utilizzando alcuni spazi per mostrare le proprie offerte turistiche.

È impensabile che un monumento come la Certosa di San Lorenzo non venga utilizzato a pieno, non solo come meta turistica, ma anche come fulcro di attività culturali e artistiche, così come era un tempo. Vi è la necessità di aprire un dibattito ampio e partecipato per definire le azioni intorno alla Certosa.

VITO ALESSANDRO CANCELLARO

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